GIORNATA DELL’AMMALATO 1999
11 febbraio 1999
Comacchio - Concattedrale
Festa della Madonna di Lourdes
Due sono le ragioni del cuore per cui questa sera abbiamo accolto l’invito
del Signore a celebrare i santi e divini misteri.
Oggi, in primo luogo, ricordiamo la ricorrenza della prima apparizione
della beata Vergine Maria a S.Bernardetta Soubirous nella grotta di Massabielle,
a Lourdes. Numerose altre apparizioni si susseguiranno nel corso delle
quali S.Bernardetta divenne la confidente, la collaboratrice e lo strumento
della materna sollecitudine di Maria per la redenzione della persona umana.
Oggi in tutta la Chiesa Cattolica si celebra la Giornata mondiale
dell’ammalato: allo scopo in primo luogo di pregare con e per i nostri
fratelli infermi e di riflettere sui doveri che la comunità ha nei
loro confronti.
Lasciamoci dunque ammaestrare dalla Parola di Dio: per avere
un’intelligenza più penetrante di questi avvenimenti.
1. “Fratelli, portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte
di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti
nel nostro corpo”. Con queste parole l’apostolo ci introduce nel mistero
del nostro essere cristiani, in ciò che ci definisce come tali:
la nostra unione a Cristo. E’ un’unione posta in essere dal santo Battesimo,
confermata dalla santa Cresima e pienamente perfezionata dalla partecipazione
all’Eucaristia. E’ un’unione che ci fa essere in Cristo e partecipi della
sua stessa divina figliazione. Egli è venuto fra noi per farci entrare
in possesso di tutto ciò che Egli è (cfr. S.Gregorio Nazianzeno,
Discorso 7, 24; SCh. 405, pag. 241).
L’apostolo richiama la nostra attenzione questa sera su una conseguenza
del fatto che il Cristo è in ciascuno di noi: Egli rivive in ogni
discepolo il mistero della sua morte e risurrezione. “Fratelli – ci dice
l’apostolo – portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù”.
Che cosa concretamente intendeva dire l’apostolo? Che tutte le tribolazioni,
le sofferenze di ogni genere, la malattia che lo tormentava e lo umiliava,
non erano «disgrazie» che un oscuro destino gli imponeva. Erano
il modo attraverso cui Cristo riviveva in lui la sua morte e Paolo reciprocamente
partecipava alla morte di Cristo. Fratelli e sorelle: qui sta racchiusa
tutta l’interpretazione cristiana della malattia e della sofferenza umana.
Chi soffre, chi è ammalato, è «il sacramento»,
se così posso dire, del Cristo sofferente: è cioè
il suo segno visibile in mezzo a noi. E’ Cristo che continua la sua passione
fra noi.
Poiché questo è il «mistero» della
sofferenza del discepolo, l’apostolo coerentemente ne deriva due conseguenze.
La prima: come Cristo giunse alla pienezza della vita attraverso
la sua passione e morte, così ogni discepolo giunge alla piena partecipazione
della vita divina ed alla trasfigurazione della sua persona, attraverso
la propria passione e sofferenza. “Sempre infatti… veniamo esposti alla
morte… perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella
nostra carne mortale. “Per questo” - continua l’apostolo - “non ci
scoraggiamo… “.
La seconda: come Cristo non ha sofferto per sé ed a suo
vantaggio, così il suo discepolo non rivive la passione di Cristo
solo per se stesso, ma anche per gli altri. Tocchiamo qui il mistero più
profondo della sofferenza umana. La nostra unione a Cristo è così
intera che fa di ogni ammalato – in Cristo, con Cristo e subordinatamente
a Cristo – un comprincipio della stessa azione salvifica: siamo così
redenti che diventiamo cooperatori dell’atto redentivo di Cristo. “ In
noi opera la morte, ma in voi la vita”.
L’esperienza di S.Bernardetta è stata al riguardo esemplare.
“Io non ti prometto” le disse Maria “di farti felice in questo mondo, ma
nell’altro”. La Madonna l’associò così ai misteri dolorosi
della passione del Figlio: veniva esposta alla morte a causa di Gesù,
perché anche la vita di Gesù si manifestasse nella sua carne
mortale. E così poteva scrivere nelle sue Note intime: “Gesù
mi dona il suo cuore, io sono dunque cuore a cuore con Gesù, amica
di Gesù cioè un altro Gesù”.
2. La parola di Dio ci ha così svelato l’intima dignità
di ogni persona sofferente, di ogni ammalato. La venerazione che abbiamo
verso la divina Eucaristia, presenza reale di Cristo in mezzo a noi, non
deve essere maggiore che quella verso la persona di chi soffre e di chi
è ammalato, segno visibile di Cristo in mezzo a noi. Che cosa significa
venerare la persona dell’ammalato?
In primo luogo dandogli un luogo degno. I nostri ospedali lo
sono? Hanno sempre quell’ordine, quella pulizia, quella dignità
che ne fanno dei templi, dei luoghi sacri nei quali è presente Cristo
stesso?
Venerare poi la persona dell’ammalato significa assicurargli
in tempo ragionevolmente breve, in modalità non eccessivamente difficoltose
ciò che è necessario alla sua salute. Siamo veramente tutti
convinti che gli ospedali e le strutture sanitarie amministrative hanno
non tanti scopi, ma uno solo: la persona dell’ammalato? Quando chi ne ha
il dovere, prende una decisione fra le tante possibili, la prima domanda
che si pone è: «quale decisione mi fa risparmiare maggiormente?»,
oppure, come deve essere, «quale decisione salvaguarda meglio la
dignità del malato?». Oltre tutto, il rispetto dell’ordine
morale “funziona” anche dal punto di vista economico. Non dovremmo chiederci,
almeno qualche volta, se una burocrazia sempre più complessa ed
invadente non rischi di diventare insidia all’azione e scoraggiamento dei
volonterosi?
Ancora una volta chiedo, a nome dei poveri che non hanno voce,
agli amministratori: ricordatevi in primo luogo dei più poveri,
degli anziani. Mettete la dignità della loro persona al primo posto.
Perché non avvenga che alla fine della vostra vita Cristo vi dica:
“ero infermo e non mi avete visitato”.
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