OMELIA MESSA AMMALATO
Cattedrale Ferrara
11 febbraio 1998
1. “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia
fatta la mia, ma la tua volontà”. Raramente la S. Scrittura ci consente
di penetrare nell’esperienza più intima, più personale e
più nascosta della vita di Cristo: il suo rapporto col Padre nella
preghiera. Lo fa solo tre volte. Avete sentito nel Vangelo la preghiera
fatta nell’orto degli ulivi. Perché Gesù prega, da quale
esperienza nasce la sua preghiera? da una sorta di “contrasto” fra la volontà
del Padre e la sua volontà. La volontà del Padre è
che beva “questo calice”: un calice pieno di sofferenza e di morte. E di
fronte a questa prospettiva, Gesù sente una profonda ripugnanza
nella sua umanità in tutto simile alla nostra, dominata come la
nostra dalla paura della morte. Gesù vive in sé durante quella
notte il dolore umano nel suo peso più schiacciante: la divisione
che ogni sofferenza vera porta dentro al nostro essere. E’ per questo che
la sofferenza rischia sempre di cacciare l’uomo nella disperazione, perché
insidia alla radice la certezza di cui abbiamo bisogno assoluto: che il
vivere ed il soffrire abbia un senso.
La preghiera che Gesù fa è la via di uscita da
questa situazione: la preghiera, fratelli e sorelle, è la lotta
che dobbiamo fare per passare dalla «nostra» alla volontà
«di Dio». La preghiera non è per “piegare” la volontà
di Dio alla nostra, ma la nostra a quella di Dio. Gesù vive questa
lotta nella sua umanità: una lotta indicata dalla sua preghiera
«non sia fatta la mia, ma la tua volontà». E in che
cosa consiste la vittoria? Nel consegnarsi al Padre, nell’abbandonarsi
a Lui comunque ed in ogni caso. “”Nei giorni della sua vita terrena egli
offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a Colui che
poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua riverenza”. (Eb 5,7).
Fu esaudito non nel senso che fu liberato dalla passione e dalla
morte; fu esaudito perché attraverso la passione e la morte entrò
nella vita nuova della risurrezione “Dopo il suo intimo tormento vedrà
la luce e si sazierà della sua conoscenza”. La notte del Getsemani
lo introduce nel giorno della Pasqua.
2. “Tre volte ho pregato il Signore che lo allontanasse da me”. L’esperienza
vissuta da Cristo si ripete nel suo discepolo Paolo; si ripete in ciascuno
di noi; si ripete in modo singolare in ogni fratello/sorella ammalati.
In Cristo Gesù agonizzante nel Getsemani ciascuno di noi
era incluso. Egli è il Nuovo Adamo ed i suoi misteri prefigurano
e compiono il nostro vero destino. Ed infatti se meditiamo attentamente
la seconda lettura, noi possiamo capire come l’esperienza di Paolo ri-presenta
la stessa esperienza di Cristo.
Anche l’Apostolo visse in se stesso una profonda divisione fra
il desiderio di dedicarsi interamente al suo ministero apostolico e una
malattia che lo umiliava e non gli dava riposo: “mi è stata messa
una spina nella carne”. E da questa condizione nasce la preghiera: “per
ben tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me”. Come Gesù:
“Padre … allontana da me questo calice”: Cristo rivive nel suo discepolo
l’agonia del Getsemani, la sua stessa difficoltà ad abbandonarsi
pienamente alla volontà del Padre.
Cristo ricevette la visita di un angelo perché ne fosse confortato.
Nell’ora della prova il Padre non ci lascia soli. Ed anche l’apostolo sente
una parola di consolazione, una parola di straordinaria forza: “ti basta
la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta nella debolezza”. Siamo
vasi si argilla, ma in noi è depositato un incomparabile tesoro.
Anche l’apostolo che vive in Cristo la sua lotta contro la propria
volontà, è esaudito. E’ esaudito come è stato esaudito
Cristo. Non perché sia guarito dalla sua malattia, ma perché
attraverso essa la potenza redentiva di Cristo si manifesta in tutto il
suo splendore: “dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sacrificherà
della sua conoscenza"”
3. L’agonia di Cristo, la malattia dell’apostolo in cui rivive l’agonia
di Cristo. La vostra malattia, carissimi fratelli/sorelle ammalati, la
vostra debolezza, carissimi fratelli/sorelle anziani (senectus ipsa morbus!)
ora è il “luogo” in cui Cristo rivive tutto il mistero della sua
agonia nel Getsemani. Nell’esperienza di ogni ammalato e sofferente rivive
la stessa lotta spirituale, interiore contro se stessi per abbandonarsi
pienamente alla volontà di Dio. Dentro a questa “consegna” di se
stessi al Padre sta la nostra vera vittoria “nelle infermità, negli
oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce”. Non
necessariamente perché ne siamo materialmente liberati, ma perché
in essi ed attraverso essi, la persona rivive quel mistero di Cristo che
lo fa entrare in una vita nuova. E’ questa mistica identificazione-conformità
dell’ammalato con Cristo, che fa della persona dell’ammalato un sacramento
della presenza di Cristo in mezzo a noi: “A Betlemme ti amò Dio-bambino
nella culla; all’ospedale Dio-infermo nel letto” (Lope de Vega).
E’ questo il “punto centrale” di ogni rapporto con l’ammalato:
la sua persona, la dignità della sua persona. I nostri ammalati
nelle nostre strutture sanitarie sono trattati come persone? Oppure “parti
ammalate” consegnate a medici e infermieri con la speranza che le restituiscano
sane? Non rischiamo sempre più che né la persona malata riceva
una considerazione integrale né chi lo cura gli si offra interamente?
Non rischiamo che l’incontro non sia da persona a persona, ma tra una malattia
e una competenza? Ci sono riforme che costano denaro. Ma vi è una
riforma che è la più importante di tutte e non costa economicamente
nulla: considerare sempre l’ammalato una persona sacra; non trattarlo mai
come “una voce” del bilancio.
“Un ministero del governo indiano, paragonando i risultati ottenuti
da Madre Teresa e quelli ottenuti dall’assistenza pubblica, un giorno le
disse con ammirazione e un po’ di tristezza che la differenza è
questa: «noi lo facciamo per qualcosa, voi lo fate a qualcuno»
(cit. da A. Sicari, Il grande libro dei Santi, ed. Jaca Book, Milano 1997,
pag. 282).
E’ questo tutto il Vangelo: che ciascuno è il segno di
Qualcuno che redime tutto e tutti.
|