OMELIA GIORNATA MARIANA SACERDOTALE
10 ottobre 1996
Carissimi fratelli nel sacerdozio,
carissimo fratello nell’episcopato,
Celebrando la divina Eucarestia noi celebriamo il memoriale del
sacrificio di Cristo, compiuto “una volta per sempre” sul Calvario. Egli
porta a compimento ciò che disse entrando nel mondo, al Padre: “Ecco
un corpo mi hai preparato ... perché io compia la tua volontà”
(Eb 10,5-7). “Un corpo mi hai preparato”: il sacrifico della Nuova ed Eterna
Alleanza è intimamente connesso col mistero dell’Incarnazione. E
l’Incarnazione fu operata dallo Spirito Santo, discendendo sulla Vergine
di Nazareth, allorquando Ella disse: “Avvenga in me secondo la tua parola”.
Sì, fratello, non dimentichiamolo! Il corpo offerto in sacrificio
è il corpo nato da Maria: ave verum corpus natum de Maria Virgine
... vere passum immolatum in cruce pro homine. E’ il corpo offerto in sacrifico;
è il sangue versato per la remissione dei peccati, attraverso il
nostro ministero in persona Christi. Sul Calvario era presente Maria, ai
piedi della Croce, «dove» - come insegna il Vaticano II - «non
senza un disegno divino se ne stette, profondamente soffrì in unione
col suo Unigenito e si associò con animo materno al sacrificio di
Lui, amorosamente consentendo all’immolazione della vittima da Lei generata»
(LG 58; EV 1/432).
Comincia così a profilarsi un rapporto profondo, in un
certo senso singolare, fra ciascuno di noi e la Madre di Cristo. Del resto,
Cristo non ci ha forse lasciato una divina indicazione al riguardo? Non
ha Egli forse “donato” Maria al suo discepolo e questi, in conseguenza
di questo dono, non ha introdotto, nella sua esistenza la persona di Maria,
in profondità? Egli, prendendola «nella sua casa», accolse
tutto ciò che era in Lei in quel momento, sul Calvario. Che cosa?
Tutta la sovrumana esperienza dell’offerta sacrificale di Cristo, impressa
nel cuore di Maria, fu affidata a Giovanni che, cogli altri apostoli, nel
Cenacolo aveva la sera prima ricevuto l’ordine di celebrare il memoriale
del sacrifico di Cristo. Nessun cuore umano sentì in sé l’evento
del Sacrifico di Cristo come Maria: a noi (in Giovanni) è stata
donata, perché nella permanente vicinanza ad Essa, si inseriva anche
nel nostro cuore in modo incomparabile ed unico il mistero della redenzione.
Nella consuetudine di vita con Lei, che cosa noi impariamo? Niente altro
Ella ci insegna, se non come lasciarci plasmare dallo Spirito Santo, così
che anche in noi si formi il Christus traditus per la salvezza del nostro
popolo. Oh fratelli, non è forse vero che siamo sempre minacciati
dal pericolo di non essere ministri abbastanza degni del Corpo e Sangue
di Cristo, anzi - sto dicendo qualcosa che fa tremare tutto l’edificio
stesso della Creazione - si rischia di “abituarci” alla divina Eucarestia?
Stiamo vicini a Maria: ci difenda Ella che «profondamente soffrì
in unione con suo Unigenito».
1. La parola del Vangelo ci introduce, a questo punto, nella “chiave
di volta” - se così possiamo dire - dell’esistenza di Maria: la
sua obbedienza di fede. E’ questa stessa obbedienza che qualifica la sua
stessa divina maternità: a nulla le sarebbe valso l’aver portato
il Verbo nel suo grembo, se non lo avesse accolto anche nel suo cuore.
La sua maternità, secondo la verità intera della parola,
è un avvenimento che accade, prima che nel corpo di Maria, nel suo
spirito. In questa prospettiva, Gesù lascia intendere che l’esperienza
della maternità di Maria può essere partecipata anche ad
altri credenti: «beata», dice la donna; «beati»
dice Gesù. La beatitudine di una sola può divenire la beatitudine
di molti, poiché trattasi di vivere la stessa esperienza. Ascoltiamo
che cosa dice il Concilio: “ ... la Chiesa la quale contempla l’arcana
santità di lei e ne imita la carità e adempie fedelmente
la volontà del Padre per mezzo della parola di Dio fedelmente accolta,
diventa essa pure madre, poiché con la predicazione e il battesimo
genera ad una vita nuova e immortale i figli, concepiti ad opera dello
Spirito Santo e nati da Dio” (LG 64; 1/440).
Tutto ciò ha uno speciale significato per noi e dobbiamo
fare in modo che la verità della maternità della Chiesa -
di Maria, penetri sempre più nella nostra coscienza sacerdotale.
Ogni pastore d’anime vive, almeno in alcuni momenti particolarmente significativi
del suo ministero pastorale, il mistero della “rigenerazione” dell’uomo
come parte in un qualche modo attiva di essa.
In occasione di questo momento di particolare intimità
con Maria, dobbiamo approfondire nuovamente questa misteriosa verità
della nostra vocazione: questa “paternità nello Spirito” nei confronti
dei fedeli chi ci sono affidati, paternità che sul piano umano e
degli affetti, è simile alla maternità. Del resto Dio stesso,
dal quale viene ogni paternità in cielo ed in terra, non si presenta
forse come madre? (cfr. Is 49,15; 66,13)? Si tratta di una dimensione essenziale
del nostro servizio pastorale, che ne esprime proprio la maturità
apostolica e la fecondità spirituale. Chi ha viscere di paternità-maternità
non si risparmia più; non ama solo se è riamato: ama sempre
e comunque; non pretende più nulla dai suoi fedeli per se: egli
è puro dono.
Se la Chiesa intera apprende da Maria la beatitudine della vera
maternità, non bisogna che lo facciamo soprattutto noi? Prenda Ella
dimora in casa nostra, nella dimora del nostro sacerdozio: perché
ci insegni la vera beatitudine del dono di se stessi, per essere segni
della tenerezza materna e della misericordia paterna di Dio.
|