OMELIA VENERDÌ SANTO
Cattedrale Ferrara
10 aprile 1998
La solenne semplicità della liturgia che stiamo celebrando ci
guida ad un raccoglimento profondo, ad una contemplazione pacata del mistero
della morte di Cristo. La “parola della Croce” rappresenta la suprema rivelazione
del mistero di Dio: della sua sapienza e del suo amore. Essa risuoni profondamente
nel nostro cuore.
Vorrei cominciare con una considerazione molto semplice. Dopo che gli
apostoli videro la gloria del Risorto, ci si poteva forse aspettare che
essi avrebbero fatto in modo di dimenticare, e di far dimenticare la terribile
umiliazione che il Signore risorto aveva subito nella sua passione e morte.
E’ accaduto il contrario. Anzi un evangelista, Luca, costruisce tutto il
suo racconto evangelico come la narrazione del viaggio che Gesù
compie dalla Galilea verso Gerusalemme, per esservi messo a morte. Il racconto
poi di Giovanni, appena ascoltato, vede nella Croce la glorificazione del
Cristo. Dunque, è essenziale che ogni cristiano custodisca intatta
nel suo cuore, che la Chiesa faccia sempre memoria della passione e morte
del Signore. L’esempio dei santi è, come sempre, al riguardo inequivocabile.
Alcuni di essi furono talmente pervasi dal ricordo di Cristo sofferente,
da divenirne anche fisicamente, attraverso le stigmate, il segno vivente.
Ed allora mi rivolgo questa sera a ciascuno di voi con le parole stesse
di S. Chiara: “contempla l’ineffabile carità per la quale volle
patire sul legno della croce e su di essa morire della morte più
infamante … rispondiamo, dico a Lui che chiama e geme, ad una voce e con
un solo cuore: non mi abbandonerà mai il ricordo di Te e si struggerà
in me l’anima mia” (Lettera IV ad Agnese).
2. Ma la parola di Dio risponde ad una domanda che sorge inevitabilmente
nel cuore di chi medita la passione di Cristo: perché questa sofferenza?
perché questa morte così umiliante? La domanda poi
si fa particolarmente urgente, quando pensiamo che Cristo ha liberamente
scelto di morire in questo mondo. Non ha subito la sua passione; ha voluto
quella passione e quella morte. Pertanto la domanda si fa ancora più
drammatica: perché ha voluto morire in quel modo? La parola di Dio
risponde nel modo seguente: per i nostri peccati, a causa dei nostri peccati!
Egli, il solo giusto, ha preso su di sé tutto il nostro peso di
peccato; si è addossato le nostre colpe, per mutare la nostra condizione
e reintegrarci nella vita nuova. In questo senso passione-morte-risurrezione
sono un unico ed identico mistero. Gesù si sentì «addosso»
il peccato: non solo il mio, il tuo, ma tutti i peccati commessi da Adamo
fino alla fine del mondo. E’ questa la vera passione di Cristo. “Non faceva
differenza, in questo momento, il fatto che non li avesse commessi lui;
erano suoi perché se li era liberamente assunti: egli portò
i nostri peccati nel suo corpo (1Pt 2,24); Dio lo trattò da peccato,
in nostro favore (2Cor 5,21). “E’ l’intero genere umano con le sue innumerevoli
colpe, con tutta la sua perdizione, a pesare sul Figlio di Dio fatto uomo:
è con tutta questa maledizione che Egli sta davanti al Padre, mentre
passa davanti al Sinedrio, davanti ad Erode, davanti a Pilato, davanti
alla folla”. E’ in questa condivisione che noi siamo stati salvati, perché
Egli si è abbandonato al Padre. “E’ questa misteriosa coincidenza
fra “peccatore” e “Figlio” la vera passione di Cristo. Quando ci poniamo
di fronte alla passione di Cristo, non dovremmo mai cessare di dire: è
stato a causa del mio peccato!
Ma la parola di Dio ci conduce ancora più in profondità,
nel rispondere alla domanda del perché della passione e morte di
Cristo. La nostra fede infatti ci insegna che la passione così come
è stata scelta da Cristo, non era assolutamente necessaria per la
nostra salvezza. Nel senso spiegato in un antico inno liturgico: “una sola
goccia del suo sangue, può salvare il mondo intero”. Perché
allora, diremmo, un tale “spreco”? S. Paolo ci risponde: “Dio (il Padre)
dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora
peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8); e S. Giovanni: “Dio
ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). La
vera ragione della passione, la più profonda è questa: il
Padre invia il suo Figlio unigenito e Questi acconsente ad essere inviato
“in una carne di peccato”, per subire la morte. In questo modo, all’uomo
era tolta ogni possibilità di dubitare dell’amore di Dio verso
di sé. Come infatti non esclamare, con la liturgia: “O immensità
del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare
lo schiavo, hai sacrificato il Figlio”. In sostanza, tutto il cristianesimo
è racchiuso in queste parole: “Dio ha tanto amato il mondo da donare
il suo Figlio unigenito”.
Questa sera possiamo continuare il nostro faticoso vivere quotidiano
con più grande certezza nel cuore: “Dio mi ama: di fronte a Lui
la mia persona è di un’infinita preziosità”. La parola della
Croce è solo questa.
Attraverso l’apertura del costato, ci è stato aperto il passaggio
fino al Cuore di Dio. Attraverso questa ferita, è aperto l’ingresso
al segreto del cuore ed appaiono quelle viscere di misericordia con cui
è venuto a visitarci il nostro Dio.
“Il mio merito, pertanto, è la misericordia del Signore”. Non
siamo privi di merito fino a che Egli non lo è di misericordia:
le misericordie del Signore sono molte, anche i nostri meriti allora
lo sono. E poiché la misericordia del Signore dura in eterno, anche
noi cantiamo in eterno la sua misericordia (cfr. S. Bernardo, Sermone sul
cantico dei Cantici, LXI, 5).
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