OMELIA AL FUNERALE DI MONS. ALDO MARCOTTO
9 gennaio 1996
1. “Vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il cielo e
la terra di prima erano scomparsi”: Quando visitai per l’ultima volta Mons.
Marcotto, egli mi disse: “Il corpo ormai si va disfacendo, ma lo spirito
non è mai stato così elevato”. La Chiesa di Ferrara-Comacchio
nel dare oggi il suo estremo saluto ad un figlio e pastore tanto degno,
prega perché si compia ora in lui quanto detto da Giovanni: “Vidi
un nuovo cielo...” Perché si compia in pienezza quella elevazione
della sua persona che egli già, per grazia di Cristo, mi disse di
vivere negli ultimi giorni della sua vita terrena. Solo la morte rende
possibili, rende pienamente vere le parole dell’Apocalisse: “Egli dimorerà
tra di loro... tergerà ogni lacrima”. E pertanto solo attraverso
la morte si compie pienamente nel la persona umana il mistero pasquale
di Cristo, mistero di passaggio da questo mondo alla gloria del Padre.
E’ di questo mistero che il fratello, che oggi la Chiesa consegna alla
Misericordia di Dio, fu testimone sul letto della sua malattia mortale,
dopo esserlo stato come pastore. I medici mi dissero che erano edificati
dalla pace e dalla serenità di quell’ammalato: “Il suo letto” -
mi disse uno di essi - “è diventato un pulpito da cui predica il
Vangelo”. Fratelli e sorelle: quando la Chiesa annuncia la morte del Signore
e ne proclama la Risurrezione, non racconta un mito. Essa testimonia un
evento che sta accadendo ora: nelle nostre carni che si vanno disfacendo,
nel nostro corpo che si va corrompendo, poiché nella nostra morte
trionfa la vita di Cristo. Di questo evento, Mons. Marcotto fu testimone
durante la sua malattia mortale.
Ma, carissimi fratelli e sorelle, si può improvvisare
tutto. Non si improvvisa la morte, anche se la stoltezza del mondo vorrebbe
farci credere anche questa menzogna, augurandosi come bene la morte improvvisa.
Si può tenere la maschera in ogni situazione, ingannare se stessi
e gli altri per tutta l’esistenza, ma non dentro la morte: in quel contesto
ogni maschera cade. La morte denuda le radici ultime della nostra personalità.
Mons. Marcotto non ha improvvisato la sua morte edificante. La sua vita
lo dimostra. Mi riferisco soprattutto al servizio più prezioso che
egli svolse per il bene della nostra Chiesa: l’insegnamento della Teologia
dogmatica nel nostro Seminario. E’ la dimensione più delicata della
formazione del futuro sacerdote: educarlo ad avere una degna intelligenza
del Mistero di Dio.
Miei fratelli e sorelle, consentitemi di svelarvi ancora una
confidenza che Monsignore mi fece quando lo visitai per la prima volta.
Egli mi disse che come Vescovo, dovevo soprattutto preoccuparmi della formazione
teologica dei sacerdoti. E parlammo a lungo di questo. Monsignore apparteneva
a quella schiera di persone, oggi sempre meno numerose, che ritengono il
problema della verità, il problema fondamentale della vita e che
quindi nutrono una stima incondizionata per la ragione.
2. “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio
lo voglia rivelare”. Giovanni nella prima lettura parla di una sete per
spegnere la quale viene dato all’uomo gratuitamente di bere alla fonte
della vita stessa. La fonte della vita dove sgorga? là dove il Padre
genera il Figlio. Ed all’uomo è dato di conoscere questo mistero,
di viverlo, chiamati come siamo ad essere figli nel Figlio. Sempre nel
primo dialogo che ebbi con Mons. Marcotto, rimasi impressionato dal fatto
che Egli, pur nella ben visibile sofferenza fisica, mi volle parlare lungamente
della “processione” del Verbo dal Padre. Forse sentiva già in sé
l’invito profondo: “venite a me ... ed io vi ristorerò”, dandovi
a conoscere il Padre.
Ed in questa conoscenza, Mons. Marcotto non si lasciò guidare
dalle “opinioni”, si mise sempre alla scuola del Maestro comune della
Chiesa Cattolica Latina, San Tommaso. Proprio perché radicato in
questa grande tradizione, egli seppe capire le nuove esigenze, come Assistente
della Gioventù Operaia Cristiana Femminile.
“Io sarò il suo Dio ed Egli sarà mio Figlio”: si
compia pienamente nel nostro fratello questa parola che introduce l’uomo
nella Trinità Santa ed indivisibile.
Ma mi sia consentito di terminare con una preghiera umile e povera.
E’ il primo sacerdote o Signore che presento al tuo cospetto, come Pastore
di questa santa Chiesa. Monsignore: prega per me la Misericordia del Padre
che ora, lo speriamo tutti, vedi nel suo splendore.
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