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XVIII DOMENICA PER ANNUM (C)
S. Bianca, 6 settembre 1998
“… non può essere mio discepolo”. Questa affermazione ritorna
per ben tre volte nella breve pagina che è stata ora proclamata.
Essa costituisce l’insegnamento fondamentale che Gesù oggi vuole
donarci: le condizioni fondamentali per essere suo discepolo.
Fate subito attenzione a ciò che ha dato occasione al Signore
di darci questo insegnamento: “siccome molta gente andava con Lui, Gesù
si voltò e disse”. Cioè: molta gente va con Lui, ma questo
non è sufficiente per “andare dietro a Lui”, essere suo discepolo.
Quanti uomini lungo i secoli, quante persone anche oggi possono essere
presi da ammirazione per Lui! Non per questo essi sono suoi discepoli.
Che cosa allora è richiesto per diventarlo? Precisamente la pagine
del Vangelo risponde a questa domanda. E Gesù pone tre condizioni.
La prima è enunciata in questi termini: “se uno viene
a me …”. Eliminiamo subito un equivoco: Gesù non insegna a nutrire
sentimenti di odio verso i propri familiari. Come sarebbe possibile? Egli
ci ha detto di amare perfino chi ci fa del male! Nel linguaggio di Gesù
l’enunciazione della prima condizione ha il seguente significato: Gesù
chiede di essere scelto come “valore” assoluto e determinante della vita
del discepolo. Questa supremazia della persona di Cristo, questa dedizione
totale a Lui è tale per cui, qualora sorgesse un conflitto tra il
seguire Cristo e gli affetti ispirati dal vincolo di parentela, è
necessario porre la “causa di Cristo” anche al di sopra di essi. La formulazione
di questa condizione, come ci è stata tramandata dal Vangelo sec.
Matteo, è più chiara: “chi ama suo Padre e sua madre più
di me, non è degno di me” (10,37).
La seconda condizione è enunciata nei seguenti termini:
“chi non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può
essere mio discepolo”. Negli ascoltatori di Gesù, queste parole
avevano un significato terribile, perché risvegliavano in essi un’immagine
precisa. Quando uno era condannato a morte, era costretto a portare sulle
sue spalle il tronco di legno su cui sarebbe stato crocifisso, fino
al luogo del supplizio. Non puoi diventare discepolo di Cristo, se non
ti metti nella disposizione di chi è disposto ad affrontare tutti
i sacrifici, la morte stessa, per rimanere fedele al Vangelo. Nei primi
secoli del cristianesimo, molti di coloro che si facevano discepoli di
Cristo perdevano ogni diritto sociale, ogni avere, subivano spesso una
vera e propria “morte civile”. La situazione si sta ripetendo per chi vuole
oggi essere discepolo di Cristo: senza nessun apparente violenza fisica,
in nome di una supposta libertà religiosa e male intesa laicità
dello Stato, chi vuole oggi tradurre visibilmente concretamente socialmente
il suo essere discepolo di Cristo, viene subito tacciato di integralista,
di violentatore della libertà altrui. In una parola: emarginato.
A causa di leggi sempre più invasive della libertà dell’iniziativa
privata, di controlli continui anche se formalmente corretti, alle comunità
cristiane diventa sempre più difficile svolgere la loro missione
educativa. Il non rispetto del “principio di sussidiarietà” ci porta
alla situazione in cui al discepolo di Cristo viene sempre più chiesto
di portare la croce, reietto come Cristo dai potenti di questo mondo.
La terza condizione è enunciata nei seguenti termini:
“chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere
mio discepolo”. Quest’ultima condizione è un po’ la conclusione
delle altre due. La decisione del discepolo ed il suo coraggio, il distacco
radicale da se stesso e la serietà dell’impegno restano, o rischiano
di restare parole vuote fino a quando non si comincia a perdere i propri
averi, intesi nell’accezione più vasta. Solo così si dà
veramente spessore concreto al progetto di libertà nella sequela
di Cristo.
Fratelli e sorelle: non so, se mi avete seguito, quali pensieri
sono sorti nel vostro cuore, ascoltando questo S. Vangelo. Uno sicuramente:
essere cristiani, cioè discepoli del Signore, è qualcosa
di estremamente serio. E’ una decisione che deve nascere da una profondità
spirituale vera, con una attenta riflessione. Le due parabole del testo
vogliono precisamente illustrare questa verità. Esse non significano
che bisogna calcolare le nostre forze prima di cominciare a seguire Gesù:
come se la sequela di Gesù fosse un optional, oppure come se ci
fosse una persona con forze sufficienti per farlo. No: esse vogliono dirci
che non è possibile tirarsi indietro una volta che ci siamo impegnati
a seguire Gesù; che è necessario andare fino in fondo. Tanto
che si tratti del proprietario che costruisce la torre che del re che comunque
ha la pace, ogni volontà vera realizza ciò che intende. Così
accade per ogni vero discepolo di Gesù.
“Chi ha conosciuto il tuo pensiero…” (cfr. prima lettura). Seguire
Cristo è impossibile, non difficile, all’uomo lasciato alle sole
sue forze. Ma noi celebriamo l’Eucarestia perché, nutrendoci del
corpo e del sangue di Cristo, riceviamo in dono la pienezza dello Spirito
Santo, vera forza motrice che dal di dentro ci spinge dietro a Cristo.
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