OMELIA DELLE PALME E DI CONCLUSIONE DELLA MISSIONE
Cattedrale Ferrara
5 aprile 1998
Il Signore che conduce la nostra vita, ci fa oggi vivere una singolare
coincidenza di avvenimenti: l’ingresso solenne di Gesù in Gerusalemme,
la sacra memoria della sua passione, la conclusione della Grande Missione
cittadina e la giornata mondiale della gioventù. E’ in questa coincidenza
che il Signore oggi vuole parlarci.
1. Abbiamo in primo luogo fatto memoria dell’ingresso solenne di Gesù
in Gerusalemme: Egli vi entra come re, “il re, nel nome del Signore”. E’
un gesto profetico, un gesto cioè attraverso il quale Gesù
vuole rivelarci una verità riguardante la salvezza dell’uomo. Inserendosi
infatti in un’antica ed ininterrotta tradizione di fede del suo popolo,
Egli con questo ingresso si manifesta come colui che dava compimento alle
attese di un re, di un principe che finalmente avrebbe realizzato
la giustizia, avrebbe donato la vera libertà. “Esulta grandemente,
figlia di Sion” aveva detto un profeta “giubila, figlia di Gerusalemme.
Ecco a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca
un asino, sopra un puledro, figlio di asina” (Zac 9,9). Tutti i particolari
descrittici dal Vangelo vanno in questa direzione. Viene fatto salire sull’asino
e acclamato re, come era accaduto nella consacrazione e proclamazione di
Salomone, il discendente davidico (cfr. 1Re 1,33-35). Si stendono i mantelli
sulla strada come si usava fare per l’accoglienza di un nuovo re (cfr.
2Re 9,13): E le acclamazioni della gente dicono: “Benedetto colui che viene,
il re, nel nome del Signore”.
Ma a questa scena, che abbiamo voluto anche noi pochi istanti fa, ripresentare,
è succeduto un altro racconto: la memoria di un altro avvenimento,
quello della passione di Cristo, della sua suprema umiliazione. Come mai,
nel giro di pochissimo tempo, la stessa persona, Gesù Cristo, passa
dal trionfo del suo ingresso in Gerusalemme all’umiliazione della condanna
a morte? Che cosa è accaduto frattanto?
Se leggiamo attentamente il racconto della passione, noi vediamo chiaramente
la ragione per cui Gesù viene condannato. “Allora tutti esclamarono:
tu dunque sei il Figlio di Dio? Ed Egli disse loro: lo dite voi stessi,
io lo sono”. Egli è stato condannato a causa di questa testimonianza
che ha reso a se stesso. Ma l’apostolo Paolo nella seconda lettura ci apre
un cammino di riflessione ancor più profonda. Colui che umile e
mite si trova ora condannato, è il Figlio di Dio che “pur essendo
di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza
con Dio, ma spoglio se stesso, assumendo la condizione di servo”. Ciò
che è insopportabile è il trovarci di fronte ad uno che dice
di essere Dio pur avendo assunto la condizione e la causa dell’uomo. Ciò
che è insopportabile è che un uomo rivendichi la piena sovranità,
regalità di Dio. Ed allora il potere di questo mondo si difende
con le sue armi proprie: la menzogna e la violenza. E trova il suo principale
alleato nel potere politico, in Pilato che fa uccidere Gesù. Non
è la regalità, la sovranità di Dio che viene respinta.
E’ la modalità con cui questa sovranità vuole affermarsi:
attraverso una totale, reale condivisione della povertà della nostra
condizione; attraverso una reale assunzione della causa dell’uomo. Questa
modalità i potenti di questo mondo non potevano accettarla, ed uccisero
Gesù.
Non potevano accettare che fosse Dio stesso, mediante una via diversa
e contraria alla loro, quella del servizio umile ed obbediente, ad assumersi
la causa dell’uomo.
Ma quale è la causa dell’uomo? Quale è il suo vero, eterno
problema? Ma chi è alla fine l’uomo? Subito, nelle prime pagine
della Sacra Scrittura ci viene svelata la nostra verità più
profonda: “Dio creò l’uomo a sua immagine” (Gen. 1,27a). In queste
parole è racchiuso il vero, eterno problema dell’uomo: essere una
creatura – essere ad immagine di Dio. “L’una e l’altra condizione determinano
l’essere stesso dell’uomo… essere uomo vuol dire mantenere la giusta proporzione
tra creatura e l’immagine di Dio, mantenere l’equilibrio” (Giovanni Paolo
II, Omelia del 31/3/1985 in Piazza S. Pietro). Diedero ascolto, l’uomo
e la donna, alla voce satanica, “diventerete come dei, conoscendo il bene
ed il male” (cfr. 3,5): Pensarono che il loro essere a somiglianza di Dio
esigesse il non rimanere più nell’obbedienza che è propria
della creatura. Distrussero la proporzione tra l’immagine di Dio e la creatura
di Dio. Cristo ha assunto la causa dell’uomo. Egli che era uguale a Dio
si è fatto obbediente divenendo simile alla creatura, perché
la creatura fosse riportata nell’obbedienza alla sua originaria somiglianza
a Dio. Non attraverso la disobbedienza, ma nell’amore e nella grazia l’uomo
è chiamato in Cristo ad essere figlio del Padre. Un antichissimo
testo cristiano pone sulle labbra di Cristo queste parole: “Adamo, Adamo
non temere! Hai voluto diventare Dio, Dio io ti farò … Per te nascerò
da Maria Vergine; per te gusterò la morte … E dopo tre giorni nei
quali sarò stato nel sepolcro, io risusciterò il corpo che
avrò rivestito da te, e ti farò sedere alla destra della
mia divinità; e ti farò Dio come hai voluto… E sarà
questa la giustizia del Cielo (Il testamento del nostro Padre Adamo).
Questa è la regalità di Cristo. Questo è il segno
che Egli ha preso su di sé la causa dell’uomo: la sua passione,
la sua obbedienza fino alla morte.
2. Carissimi fratelli, carissimi sorelle: la Grande Missione cittadina
ha voluto dire a questa città che Cristo ha assunto la causa dell’uomo,
che Cristo ha reintegrato l’uomo nella sua verità originaria: creatura
fatta ad immagine e somiglianza di Dio.
Ecco perché oggi può essere un giorno di speranza vera
per la nostra città. Dice l’apostolo Paolo: “Dio lo ha esaltato
e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché
…”. Sì, Lui è il Signore che ha vinto ed ha ridonato ad ogni
uomo la sua dignità: ogni potenza di menzogna è distrutta
dalla sua morte. La Grande Missione ha voluto dire questo.
O Ferrara! Lascia che la signoria di Cristo rifulga nelle tue case
e nei tuoi luoghi più grandi: nella famiglia, negli ospedali, nelle
istituzioni pubbliche, nell’Università, nei luoghi del lavoro. Solo
così rifiorirà in te la sapienza, il lavoro, il gusto di
donare la vita: guarita da quella “rassegnazione” che sembra condannarti
ad una permanente tristezza del cuore.
3. Ma la Grande Missione non finisce oggi, in senso profondo: inizia,
in un significato più vero. A chi è affidata questa continuazione?
In primo luogo a voi giovani. Poiché il futuro della causa dell’uomo
è affidata a voi: anzi voi site il futuro di questa causa. Da come
essa sarà trattata o risolta, dipenderà in larga misura da
voi. L’esito è già presente, in seme, oggi nei vostri cuori.
E’ presente nel modo con cui vi ponete fin da oggi di fronte a Cristo,
e quindi di fronte alla persona umana: alla vostra e a quella degli altri.
Cristo nella sua regale passione vi ha mostrato in che cosa consiste la
vera grandezza dell’uomo: nella sua libertà, cioè nella sua
capacità di amore, di dono.
È questo il senso che avete della vostra grandezza? o ponete
questa in qualcosa d’altro? So bene che il vostro cuore ha già risposto:
che cosa infatti desiderate di più che amare ed essere amati?
Ma potete anche essere sedotti da quella cultura che fa dell’utilità
il valore supremo. Essa vi promette successo, carriera rapida ed affermazione
di sé anche contro gli altri. Essa vi invita ad un uso irresponsabile
della vostra sessualità, fuori del santo amore del matrimonio; ad
una libertà priva di progetti. Carissimi giovani: questa cultura
non fa propria la causa dell’uomo, l’eterna ed ultima causa dell’uomo.
“Il Dio eterno – Padre, Figlio e Spirito Santo – si è assunto
la causa dell’uomo, l’eterna ed ultima causa dell’uomo, in Cristo che ha
reso testimonianza alla verità, in Cristo condannato come bestemmiatore
ed usurpatore… Dio si è assunto la causa dell’uomo ieri, oggi e
sempre” (Giovanni Paolo II, loc. cit.).
Questa sera, questa causa, carissimi giovani l’affido a voi: a voi
affido il futuro della causa dell’uomo in questa città. La Missione
oggi è aperta nei cinque vicariati foranei: è continuata
nel senso già detto in città. Perché in essa la causa
dell’uomo sia vinta a favore dell’uomo: colla forza del Padre, del Figlio,
dello Spirito Santo. Amen
|