Mercoledì delle Ceneri
Cattedrale
5 marzo 2003
1. "Così dice il Signore: ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti". La parola profetica ci rivela subito il significato vero di questa celebrazione, durante la quale saranno imposte sul nostro capo le ceneri: è l’inizio di "un cammino di vera conversione, per affrontare con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male".
L’imposizione delle ceneri ci richiama alla verità della nostra condizione. "Costituito da Dio in uno stato di giustizia, l’uomo però, tentato dal maligno, fin dagli inizi della storia abusò della sua libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio" [Cost. past. Gaudium et spes 13,1; EV1/1360]. L’abbandono di Dio ha posto l’uomo in una condizione di ingiustizia e di morte, di cui le ceneri poste sul nostro capo sono il simbolo eloquente.
Noi siamo qui questa sera per dire nell’umiltà di un cuore lacerato: "perdona, Signore, al tuo popolo e non esporre la tua eredità al vituperio". Ed augurarci che "il Signore si mostri geloso per la sua terra e si muova a compassione del suo popolo". Quale è la "eredità del Signore" da non esporre al vituperio? Quale è "la terra del Signore" di cui chiediamo che si mostri geloso? Eredità del Signore è l’umanità di ogni uomo; terra del Signore è ogni persona umana. L’uomo infatti è nell’universo visibile l’unica creatura che il Signore ha voluto, destinandola al possesso immediato della Sua vita divina. Ed ora questa eredità è esposta al vituperio perché l’uomo ha scelto di essere guidato dall’egoismo, dal desiderio smodato di beni, dalla prepotenza nei confronti dei più deboli; da un disordine morale nei rapporti fra le persone ed i popoli: disordine dentro cui è impossibile che fiorisca la pace. Noi siamo qui questa sera per iniziare il cammino quaresimale di conversione, perché non vogliamo più che l’eredità del Signore – l’umanità di ciascuno di noi, l’umanità di ogni uomo – sia esposta al vituperio.
2. "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di Lui giustizia di Dio".
Carissimi fratelli e sorelle, il grido di invocazione messo sulle nostre labbra questa sera dal profeta, "non esporre la tua eredità al vituperio", trova la sua risposta in Cristo: nell’atto redentivo di Cristo. Iddio che ha creato l’uomo si rivela in Cristo come il Dio che redime l’uomo: il Dio "fedele a se stesso" [cfr. 1Ts 5,24], fedele al suo amore per l’uomo. Ed è il Suo un amore che non indietreggia di fronte a nulla. Giunge fino al punto di "trattare da peccato Colui che non aveva conosciuto peccato, in nostro favore". Se trattò da peccato Colui che era assolutamente senza peccato, lo fece per rivelare l’amore che è più grande di ogni umana ingiustizia. Lo fece perché la sua eredità non fosse esposta al vituperio: perché l’uomo ritornasse a vivere nella giustizia, da cui solo può nascere la pace. "La redenzione del mondo – questo tremendo mistero dell’amore in cui la creazione viene rinnovata – è nella sua più profonda radice, la pienezza della giustizia in un cuore umano: nel cuore del Figlio primogenito, perché essa possa diventare giustizia dei cuori di molti uomini". [Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptor hominis 9,1; EE 8/26].
L’invito profetico quindi trova il suo pieno sviluppo nell’invito apostolico: "Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio". La quaresima cristiana che oggi iniziamo è precisamente questo: consentire al Padre di riconciliarci a Sé in Cristo e per mezzo di Cristo. Durante queste settimane dovremo come entrare in Cristo con tutto noi stessi; appropriarsi ed assimilare tutta la ricchezza dell’atto redentivo di Cristo. In forza di questa appropriazione ed assimilazione ciascuno di noi ritroverà se stesso, la sua originaria giustizia e quindi la sua capacità di essere operatori di pace.
La celebrazione odierna ci fa allora comprendere nuovamente quale è la vera missione della Chiesa. E’ quella di introdurre ogni uomo dentro all’atto redentivo di Cristo, nella certezza di fede che solo in questo modo l’uomo ridiventa capace di costruire una civiltà della verità e dell’amore.
Carissimi, mai come questa sera trova eco nel vostro cuore l’esortazione che la Chiesa fa all’inizio di ogni cammino: "procedamus in pace". Iniziamo il nostro cammino quaresimale per giungere completamente rinnovati a celebrare la Pasqua di Cristo, nostra pace.
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