OMELIA S. MESSA CRISMALE
4 APRILE 1996
1. “Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore
mi ha consacrato con l’unzione”.
Chi parla così è un profeta che descrive l’esperienza
fondamentale della sua vicenda esistenziale: il momento della sua vocazione,
il momento in cui gli viene svelato il senso ultimo della sua vita, la
ragione stessa del suo esserci. E’ la luce decisiva questa, poiché
in essa il profeta vede l’intera verità della sua persona e missione:
“portare il lieto messaggio ai poveri, fasciare le piaghe dei cuori spezzati...”
in una parola, “promulgare l’anno di misericordia del Signore”. La verità
della persona e il contenuto della sua missione è creata dall’unzione
dello Spirito, ed è una consacrazione. “Consacrarsi”, tra profani,
è dedicarsi in pieno ad una occupazione, al perseguimento di un
ideale. La S. Scrittura lo concepisce come donazione permanente e totale
a Dio: chi è consacrato si sottrae ad ogni uso profano, e passa
ad essere di Dio. Pertanto il profeta sente come una sorta di “espropriazione”
di se stesso. Egli non si appartiene: “mi ha mandato”. Egli appartiene
esclusivamente alla sua missione, cioè a colui che lo ha consacrato
con l’unzione. Si ha come una vera e propria identificazione fra la propria
esistenza e la propria missione: esiste esclusivamente e totalmente per
la missione. Questo evento è posto in essere dallo Spirito che è
sul profeta. Egli lo manda, lo dona ai poveri, ai cuori spezzati, ai prigionieri.
A quale scopo? “Per consolare tutti gli afflitti... per dare loro ... olio
di letizia invece di un cuore mesto”. Il profeta opera un cambiamento della
condizione umana, poiché nella sua missione il Signore concluderà
una alleanza perenne, eterna con l’uomo.
2. “Oggi si è adempiuta questa scrittura”.
Tutto ciò che il profeta aveva presagito in sé, aveva
come sperimentato in modo frammentario, ora si compie nella persona e missione
di Gesù. Unto dal Padre con lo Spirito, egli non si apparteneva
più: viveva per il Padre e in questo, viveva interamente per l’uomo.
Egli non vuole più un solo atto della sua esistenza per sé.
In questa donazione del Cristo la Scrittura si adempie. Egli non la spiega,
ma l’attualizza. Non l’adatta al suo tempo: la realizza. Nella sua volontà
la Scrittura, cioè la volontà del Padre si compie. Quale
volontà? La liberazione dei prigionieri, la luce donata ai ciechi;
l’anno definitivo della misericordia del Padre.
La liberazione dei prigionieri: dell’uomo schiavo di se stesso, chiuso
nel carcere della propria trasgressione che lo rende sempre meno libero.
La luce donata ai ciechi: la cecità di non conoscere più
la verità di se stesso. L’anno definitivo della misericordia: la
rivelazione del mistero di Dio come pura misericordia, come sola misericordia.
Tutto questo non è solo detto da Cristo: Egli lo realizza.
Fratelli: posiamo il nostro sguardo semplice e contemplativo
sul Cristo; non distogliamolo mai, da Lui e guardando Lui, in Lui vediamo
l’uomo concreto e sofferente. Il nostro sguardo semplice: è lo sguardo
che non filtra la luce che viene da Cristo; che non seleziona ciò
che è comprensibile da ciò che è incomprensibile.
E’ lo sguardo che lascia irrompere in sé la pienezza della luce
di Cristo.
E che cosa vede chi guarda con occhi semplice il Cristo? Vede
in Lui un amore senza limiti, un amore impastato di umiltà, perché
si pone al servizio di ogni uomo. Chi vede questo amore, è penetrato
nel mistero più profondo. Ascoltate le parole immense che solo a
noi è dato di pronunciare: “Lo spezzò ... prendete e mangiate”.
“Prendi”: Dio è a tua disposizione, al tuo servizio. “Mangiate”:
non si appartiene più.
3. “Ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre”
Ciò che il profeta aveva vissuto in figura in se stesso, Gesù
lo realizza nella verità e noi vi partecipiamo in sacramento. Oh
fratelli, lasciamoci commuovere dal mistero che è la nostra esistenza
sacerdotale. Tutto quello che dice la parola di Dio del profeta, di Gesù,
è vero di ciascuno di noi, poiché l’unzione sacramentale
ha radicato la nostra persona nell’oggi di Cristo che compie la Scrittura.
Egli è qui.
Egli è qui come nella sinagoga di Nazareth: è qui nella
persona di ciascuno di noi, unta dal suo Santo Spirito. La mia vita ormai
è piantata nella missione messianica di Cristo, e da questa riceve
tutto il suo senso. Lo Spirito chiede di compiere quell’espropriazione
di noi stessi, che ci porta ad identificare pienamente la nostra esistenza
colla missione a cui siamo inviati: annunciare ai poveri un lieto messaggio,
proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista. In una parola:
la misericordia del Padre. Non ci apparteniamo più.
Fratelli, non contristiamo lo Spirito Santo che ci ha unto! Lo
contristiamo se perdiamo la consapevolezza della nostra dignità,
riducendo la nostra missione entro la misura solo o prevalentemente umana
di un servizio sociale. Lo contristiamo, se lasciamo che dimori nel nostro
cuore il demone della tristezza e dello scoraggiamento, dimenticando che
Dio opera precisamente attraverso la nostra debolezza e che la nostra miseria
è la sua forza. Lo contristiamo, se ci chiudiamo nel deserto di
un risentimento amaro e sterile, dimenticando che la gioia del Signore
è la nostra forza.
“Canterò per sempre l’amore del Signore”: è così,
nella nostra quotidiana fatica e solitudine? Dal cuore sgorga sempre il
canto dell’amore del Signore? La fedeltà e la grazia del Signore
sono con noi: che lo Spirito Santo non ci faccia mai mancare la gioia di
sperimentarlo. Così sia.
S. MESSA “IN COENA DOMINI”: 4 aprile 1996
1. “Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla
fine”.
Entriamo, guidati ed illuminati da queste immense parole, nel “sacro
triduo” della Passione e Risurrezione del Signore. Sono i tre giorni che
risplendono al vertice del nostro vivere nel tempo, poiché in essi
Dio manifesta la Gloria della sua Misericordia. E questa sera noi contempliamo
il dono che concede a ciascuno di noi, nella Chiesa, di essere coinvolti
in quell’amore che è andato fino alla fine, di averne una esperienza
reale e quotidiana: il dono del’ Eucarestia. Che cosa è l’Eucarestia?
E’ la presenza del Sacrifico di Cristo, di quel sommo atto di adorazione
che è nello stesso tempo l’atto del supremo amore, dell’amore “sino
alla fine”. E quindi distribuzione di Se stesso sotto le figure del pane
e del vino, per essere nostro nutrimento e bevanda.
Mettiamoci con tutta l’umiltà di cui siamo capaci, alla
scuola di Paolo e di Giovanni. Il primo ci istruisce attraverso le parole
dell’istituzione dell’Eucarestia; il secondo ci istruisce attraverso il
racconto della lavanda dei piedi.
Le parole con cui Gesù istituisce l’Eucarestia: “Questo
è il mio corpo che è per voi”; “Questo calice è la
Nuova Alleanza nel mio sangue”. Il corpo, cioè la persona stessa
del Verbo fattosi uomo; il sangue, cioè la sua vita uccisa dalla
violenza, sono ora il sacrifico reale e definitivo che costituisce la Nuova
Alleanza fra Dio e l’uomo: fra Dio e ciascuno di noi. E’ questo sacrificio,
il Sacrificio che Cristo fa di se stesso, eucaristicamente presente nella
Chiesa, che ricongiunge l’uomo a Dio. Non esiste una relazione fra Dio
e l’uomo che non passi attraverso l’Eucarestia: ogni dichiarazione d’amore
di Dio all’uomo e dell’uomo a Dio, è detta attraverso l’Eucarestia.
Il pane è spezzato: il Servo di Dio - come aveva detto il profeta
- è stato spezzato per i nostri delitti. Il sangue è effuso.
È il dono della sua vita per la remissione dei peccato. E così
si comprende perché, come insegna l’Apostolo, è “la Nuova
Alleanza”. Infatti, il profeta Geremia aveva profetizzato: “Questa è
l’Alleanza che io stipulerò, dice il Signore, io porrò la
mia legge nei loro cuori e le imprimerò nella loro mente. E non
mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità”.
Ma come è possibile che noi oggi possiamo partecipare
al Sacrificio che Cristo fece del suo corpo spezzato, del suo sangue
effuso? Come può essere possibile per noi diventare contemporanei
con quel sacrificio, evento accaduto circa duemila anni orsono? Oh, fratelli
e sorelle: ora parliamo del più grande avvenimento che accade nella
Chiesa! E’ possibile, per la “conversione” del pane e del vino nel Corpo
e nel Sangue di Cristo. Poiché attraverso le parole della consacrazione,
per la potenza dello Spirito Santo, il pane ed il vino si trasformano nel
Corpo e nel Sangue di Cristo, ciascuno di noi mediante quei santi segni,
partecipa realmente al dono che di sé Cristo compie. Non esiste
più la sostanza del pane, anche se ne permangono tutte le sue qualità;
non esiste più la sostanza del vino, anche se ne permangono tutte
le qualità. Ecco perché anche oggi, anche qui, tu puoi accostarti
“alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi
di angeli”, perché ti accosti al Mediatore della nuova Alleanza
e sulle tue labbra si posa il sangue “dalla voce più eloquente di
quella di Abele”.
Il modo di partecipare al sacrifico consiste dunque nel comunicare
al Corpo ed al Sangue di Cristo attraverso i santi segni del
pane e del vino: la celebrazione del sacrifico si compie nella nostra comunione
eucaristica. Diventiamo concorporei e consanguinei di Cristo.
2. “Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche
voi”.
Fare come ha fatto Cristo! Come ha fatto Cristo? Ha lavato i piedi
ai suoi discepoli! Cioè: li ha serviti fino in fondo, non
ritenendo la sua gloria divina un tesoro da possedere gelosamente, ma spogliando
se stesso. L’umiltà di Dio, la sua carità: ecco che cosa
ci è proposto. Il Sangue di Cristo costituisce la nuova Alleanza:
ora ci viene donato il nuovo Comandamento. Non è una imposizione
esterna: esso è l’intima struttura della nostra esistenza cristiana.
Hai partecipato al sacrifico di Cristo, al suo Amore: hai affondato le
radici della tua verità nel Sangue di Cristo. I frutti non possono
essere che l’amore ed il servizio del fratello. L’Eucarestia costruisce
così la comunione fraterna, costruisce il nostro essere Chiesa.
Fratelli e sorelle, alla fine di questa celebrazione porteremo
il Ss.mo Sacramento in un cappella laterale: seguendolo e poi pregando
in essa, noi manifestiamo la nostra volontà di stare con Cristo
nella solitudine dell’orto degli Ulivi. Non è solo un gesto liturgico.
E’ l’invito a cercarlo tra coloro che sono soli, dei quali nessuno si preoccupa,
fra chi ha più bisogno. E’ invito all’adorazione di Cristo nell’Eucarestia:
dolcezza di stare coll’amato, il Cristo presente nello splendore della
Cattedrale e nelle piccole chiese battute dagli anni. Egli sempre presente
col suo amore crocifisso.
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