PRIMA DOMENICA DI AVVENTO
3 dicembre 1995
1. “Fratelli, è ormai tempo di svegliavi dal sonno”. In
questa sera, nella quale il Signore ci concede la gioia di cominciare un
nuovo anno liturgico, risuona l’esortazione dell’Apostolo: l’esortazione
a non dormire più, a svegliarci, a gettare via le opere della tenebra
e a rivestirci del Signore Gesù.
L’avvertimento dell’Apostolo è grave, perché esso
ci aiuta a prendere coscienza sia dello scorrere del tempo sia dei due
modi fondamentali con cui la nostra persona può vivere nel tempo.
Prendere coscienza dello scorrere del tempo in primo luogo.
Ad uno sguardo superficiale, può sembrare naturale che
l’uomo senta in sé il passare del tempo. Il succedersi del giorno
e della notte, il susseguirsi degli anni e della propria vita sono inevitabili
testimoni di come la nostra vita sia immersa nel tempo. Ma tutto questo
appartiene alla cronologia della nostra esistenza. E non è di questa
che l’Apostolo parla. C’è qualcosa di più profondo che la
cronologia. Che cosa? Ascoltiamo ora quanto ci dice il Signore stesso:
“Nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano
moglie e marito...e non si accorsero di nulla”. C’è un modo di vivere,
di trascorrere il proprio tempo, senza aspettare, senza attendere più
nulla. Ecco: siamo arrivati alla completa caratterizzazione del primo modo
di vivere il passare dei giorni. Vivere nel tempo senza attendere nulla
di radicalmente nuovo, senza speranza. Era già l’amara ricetta del
poeta pagano: “Non illuderti. Mentre parliamo, il tempo invidioso scivola
via. Goditi l’istante presente, non pensare al domani. Abbrevia la tua
troppa lunga speranza” (Orazio). Abbrevia la tua speranza: cioè,
non sperare qualcosa di diverso da ciò che normalmente ti è
già accaduto e ti accade. Quale è lo sbocco finale di questo
modo di vivere il tempo? Ascoltiamo ancora il Signore: “Venne il diluvio
e inghiottì tutti”. E’ la scomparsa e la rovina di tutto: morire
come se non fossimo mai esistiti.
L’Apostolo precisamente vuole metterci in guardia da questo modo
di vivere, di trascorrere il tempo della propria esistenza. Per uscire
da esso, per cominciare a vivere in un altro modo il tempo della propria
vita è necessario, in primo luogo, “svegliarsi dal sonno”. Quel
modo di vivere è come un dormire, è un’apparenza di vita:
è una vita che, come il sonno, è una immagine di morte. Perché
dobbiamo uscire da questa situazione? L’Apostolo ci dà la ragione.
“La nostra salvezza è ora più vicina di quando
diventammo credenti”. Ci è svelato il mistero più profondo
del tempo della nostra vita: in esso accade. Può accadere ogni momento
la nostra salvezza. Anzi, ogni giorno che passa, possiamo stare certi che
la salvezza si sta sempre più avvicinando. Il tempo non è
chiuso in sé. Esso è il luogo in cui può accadere
qualcosa di nuovo. Ma in che cosa consiste questa salvezza? Essa ci viene
descritta in due modi, oggi, dalla parola di Dio. La prima descrizione
è drammatica: “la notte è avanzata, il giorno è vicino”.
La salvezza è il trionfo della Luce del giorno di Dio sulle tenebre
del male. In che cosa consiste questo trionfo? Nella venuta del Figlio
dell’uomo, nella venuta del Signore risorto, colla pienezza del suo Santo
Spirito. Egli è la Luce che illumina ogni uomo; è lo splendore
della vita nuova che ci fa uscire dalla nostra notte di disperazione e
di noia. Egli è il Giorno eterno che viene dentro alle nostre giornate.
Ora finalmente possiamo capire, nella luce della parola di Dio,
il significato ultimo del tempo. Esso è l’attesa di Colui che viene
a liberarci dal sonno della nostra incoscienza, dalle tenebre della nostra
ignoranza. Nel tempo, dentro al nostro tempo accade l’avvenimento della
Salvezza. Quando viviamo il nostro tempo in questo modo, abbiamo trasformato
il nostro anno in anno liturgico, in tempo sacro cioè nel quale
celebriamo il Mistero della nostra salvezza. E questa sera vogliamo iniziare
a vivere il nostro tempo liturgico così: vogliamo iniziare un nuovo
anno liturgico.
2. Ma come si fa a trasformare il nostro tempo in tempo liturgico? Cioè,
come si fa a vivere nell’attesa del Signore? La parola di Dio, oggi, ci
offre molte indicazioni pratiche al riguardo.
“Vegliate, dunque, perché non sapete in quale giorno il
Signore vostro verrà”. La vigilanza è una attitudine cristiana
assai profonda: è vegliare “col Signore” pregando; è tenere
in mano la propria lampada accesa dalla parola di Dio che ci rende sapienti;
è “vegliare” compiendo le opere della carità che ci distacca
da un possesso morboso dei beni di questo mondo.
“Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della
luce”, ci dice poi l’Apostolo. La nostra vigilanza è lotta continua
contro le tenebre del male dentro e fuori di noi. Quali siano queste armi,
l’Apostolo lo spiega chiaramente altrove. Ecco quali sono: cintura, la
verità; corazza, la giustizia; scudo, la fede; elmo e spada dello
Spirito, la parola di Dio (cfr. Ef. 6,11-18).
E quali siano le opere delle tenebre è pure spiegato chiaramente:
crapule ed intemperanze, che a molti paiono comportamenti innocenti; fornicazioni
ed impurità, oggi così largamente diffuse anzi esaltate come
liberazione della propria sessualità; contese e gelosie, segno inequivocabile
dell’instaurarsi di Satana nei rapporti umani.
|