PRIMA DOMENICA DI AVVENTO
1 dicembre 1996
1 “Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione
del Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro”. Sabato scorso abbiamo
iniziato solennemente il nostro cammino verso il grande giubileo del 2000.
Che cosa sorregge i nostri passi? Che cosa ci da forza? La chiamata del
Padre: noi ci siamo mossi perché il Padre ci chiama. A che cosa?
Alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo , Signore nostro. La nostra
vita, fratelli, è come un cammino che ha un suo inizio, la chiamata
del padre che è nei cieli. Alla vita certo; ma ci ha chiamati alla
vita, perché ci ha destinati ad essere conformi al suo Figlio unigenito;
ad essere partecipi della sua stessa condizione di Figlio. In una parola:
ci ha “chiamati” alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo”. Ecco
la nostra meta finale verso cui stiamo camminando. Il nostro cammino verso
il giubileo ci fa prendere coscienza più esplicita di questa nostra
condizione di pellegrini verso la comunione piena col Signore.
Saremo certi del nostro arrivo alla meta oppure ci perderemo
lungo la strada? Quale sarà la nostra sorte finale? Ognuno di noi
si porta dentro nel cuore questa domanda “perché i giorni” che viviamo
“sono cattivi” (Ef. 5,16) e nel cuore di tutti dimora tanta incertezza
sul nostro futuro.
Da parte del Signore, la nostra sorte non può che essere
una buona sorte, poiché Egli - come ci insegna il Profeta - è
nostro Padre e noi siamo opera delle sue mani. Anche quando noi vaghiamo
lontano dalle sue vie, le nostre iniquità ci portano via come il
vento e siamo in balia delle nostre ingiustizie, il Signore non viene meno
alle sue promesse. Noi siamo opera delle sue mani: apparteniamo a Lui ed
Egli non può rinnegare se stesso e la sua paternità nei nostri
confronti.
Da parte nostra tuttavia possiamo rifiutare il nostro consenso
alla chiamata del Signore e così fermare il nostro cammino verso
la meta finale cui siamo destinati. Quando e come avviene questo rifiuto?
Quando usciamo dal cammino verso la vita? Quando la chiamata del Signore
è come “un seme caduto in mezzo alle spine”. Cioè: dopo aver
ascoltato, strada facendo, ci lasciamo sopraffare dalle preoccupazioni,
dalle ricchezze e dai piaceri della vita (cfr. Lc 8,14). Così si
spegne in noi ogni desiderio della nostra vera patria.
Quando alla chiamata del Signore noi preferiamo od opponiamo
la nostra decisione di vivere non secondo il progetto di Dio, ma secondo
la nostra autonoma volontà. Diventiamo come coloro sui quali Egli
non regna, sui quali il suo nome non è invocato (come dice il Profeta).
Dunque, vedete che viviamo in un tempo di grandi sfide e di drammatiche
decisioni. Da una parte, incombe su di noi e dentro di noi la chiamata
del Padre alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo. Dall’altra,
la nostra libertà è così provocata ad acconsentire
a questa chiamata, mettendoci veramente in cammino verso il giorno del
Signore, di cui il giubileo è il segno. Ecco perché l’apostolo
ci chiede di vigilare attentamente sulla nostra condotta, comportandoci
non da stolti, ma da uomini saggi, profittando del tempo presente (cfr.
Ef. 5,15-16). E’ l’insegnamento che Gesù ci dona nel suo Vangelo.
2. “State attenti, vegliate ... perché non sapete ...”. Dobbiamo,
dunque, vivere questo tempo nella “veglia” e nell’ “attesa”. Che cosa significa
vivere in attesa vigilante?
Significa custodire nel nostro cuore, attraverso la preghiera,
il ricordo della promessa, della fedeltà del Padre: custodire sempre
nel cuore la certezza che Egli ci ama, ci chiama alla comunione col suo
Figlio Gesù nostro Signore. Il ricordo della sua promessa ci impedirà
di cadere nell’oppressione della sfiducia e dello scoraggiamento. Avremo
così la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere,
e di comparire davanti al Signore (cfr. Lc 21,36). Saremo pronti ad andare
incontro al Signore.
Vivere in attesa vigilante significa non permettere mai che la
tenebra dell’errore venga a spegnere in noi la luce della coscienza. Nonostante
tutte le seduzioni, guardiamoci dal non cadere nella maledizione di “coloro
che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce
e la luce in tenebre” (Is 5, 20).
Vivere in attesa vigilante significa compiere amorosamente e
fedelmente quel compito che il Signore ha affidato a ciascuno di noi, nella
nostra vita.
Conclusione
Fratelli e sorelle: quando noi celebriamo l’Eucarestia, noi “celebriamo
la morte ... in attesa della sua venuta”. Celebrando questi divini misteri,
noi nutriamo nel nostro cuore il desiderio dell’incontro col Cristo. “Lo
vogliamo o non lo vogliamo, egli verrà. Se non viene subito, non
significa che non verrà mai. Verrà di certo quando meno te
lo aspetti. Se ti troverà preparato, non sarà certo un male
che sia venuto a tua insaputa” (S. Agostino).
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