DEDICAZIONE DELLA CATTEDRALE
Meditazione ai sacerdoti
Cripta della Cattedrale, 20 ottobre 2005
Non avendo potuto celebrare con voi la solennità della dedicazione della nostra Cattedrale l’anno scorso, ho voluto nel corrente anno interrompere la consuetudine di invitare un fratello nell’episcopato per vivere con voi interamente questo grande momento di gioia e di comunione. Dall’anno prossimo, a Dio piacendo, riprenderemo la tradizione.
La celebrazione odierna è giorno favorevole per approfondire la nostra coscienza della Chiesa, e questi pensieri che intendo sottoporre alla vostra meditazione non vogliono essere altro che un piccolo aiuto per questo approfondimento.
A modo di premessa parto da una domanda: che cosa accade in un battezzato, in un sacerdote quando prende coscienza di essere, di vivere nella Chiesa? Rispondo molto semplicemente: incontra veramente, realmente la persona vivente di Cristo ed in Cristo i fratelli nella fede. Questo è l’avvenimento che accade quando prendo coscienza di essere, di vivere nella Chiesa. La Chiesa diventa esistenzialmente il luogo nel quale la "pretesa", con cui l’annuncio evangelico si presenta all’uomo, trova la sua possibilità concreta. Esso infatti afferma che Dio è apparso nel tempo nella persona di Cristo, e che l’uomo si salva per l’eternità incontrando Lui.
Questa coincidenza che ho posto fra "essere-vivere nella Chiesa" ed "incontrare Cristo ed in Cristo i fratelli", descrive l’intero contenuto della nostra coscienza di Chiesa.
È quando vivo questa esperienza, quando vivo questa coincidenza divento capace dello sguardo adeguato sulla Chiesa: la guardo nel modo giusto.
Per capire la Pietà di Michelangelo una domanda sul suo peso non è adeguata: è inutile; ugualmente la domanda sulla composizione chimica del marmo di cui fatta. Queste domande non sono adeguate perché sono generiche: il peso e la composizione chimica sono di tutti i pezzi di marmo. Ora di fronte ad una scultura di Michelangelo ciò che stupisce non è ciò che essa ha in comune con ogni pezzo di marmo [peso e composizione chimica], ma ciò che ha di assolutamente unico: incorporare ed esprimere un evento spirituale, l’ispirazione artistica.
Per avere un’intelligenza adeguata della Chiesa e quindi per conoscere l’intima verità, non si deve considerarne il "generico": ciò che la accomuna, nel bene e nel male, con altre comunità umane. La Chiesa infatti si presenta esibendo all’uomo una singolarità unica, che ovviamente l’uomo può accettare o rifiutare, ma che chiede di essere riconosciuta per ciò che è.
Quando noi viviamo questa esperienza, quando ci sentiamo dentro a questa singolarità unica, siamo salvi.
La giornata di oggi è un dono di grazia che il Signore ci offre perché viviamo più consapevolmente la realtà della Chiesa.
1. Il primo "luogo" in cui la vita nella Chiesa coincide con l’incontro con Cristo ed in Cristo coi fratelli è la liturgia eucaristica. Non è questo il luogo di fare lezioni di teologia sulla celebrazione eucaristica – non ne sarei neppure capace – dal momento che vogliamo piuttosto vivere questo momento celebrativo in un’atmosfera di preghiera. Desideriamo percepire con l’occhio semplice della fede tutta la forza creativa e formativa della liturgia eucaristica.
Il prefazio della IV Preghiera eucaristica dice: "Tu solo sei buono e fonte della vita, e hai dato origine all’universo, per effondere il tuo amore su tutte le creature e allietarle con gli splendori della tua luce". È la narrazione dell’atto creativo di Dio, che è sostanzialmente un’effusione di amore, nel senso che la decisione di rendere partecipi del suo essere altri da sé trova la sua spiegazione solo nella gratuità dell’amore.
Per questa ragione l’atto creativo fa sorgere un interlocutore della Parola d’amore consapevole e libero. Il testo liturgico continua infatti nel modo seguente: "Schiere innumerevoli di angeli stanno davanti a te per servirti, contemplano la gloria del tuo volto, e giorno e notte cantano la tua lode". La prima inter-locuzione avviene fra Dio e le persone create puri spiriti: essi stanno davanti a Lui per compiere nell’istante permanente dell’eternità il servizio, la liturgia celeste.
Ma questa persone create non sono né le uniche né le principali interlocutrici della Parola di Dio. È l’uomo il cardine di tutta la creazione, il vero interlocutore di Dio. Il testo liturgico infatti conclude dicendo: "Insieme con loro anche noi, fatti voce di ogni creatura, esaltanti cantiamo". Notate bene: "fatti voce di ogni creatura". È l’uomo che è destinato ad assumere in sé tutto il creato, se è vero, come insegna Rom 8, che il mondo creato condivide il destino della persona umana, nella corruzione della morte come nell’incorruttibilità della vita. L’uomo "ha pertanto una identità dialogale che realizza nella misura in cui è "rivolto", è "proteso" al suo Creatore. L’effusione d’amore che dal cuore della Trinità Dio riversa sul creato, la Parola rivolta, aspetta una risposta che è la lode e la celebrazione della grandezza del suo Nome, cioè della sua Presenza" [T. Spidlik – M. Rupnik, Teologia pastorale. A partire dalla bellezza, LIPA ed., Roma 2005, pag. 402].
Come è noto a voi tutti, la lettera agli Ebrei applica il Sal 8, 5-7 (LXX) a Cristo stesso, ed alla sua opera salvifica-sacerdotale [cfr. Eb 2,5-9]. È Cristo nella sua umiliazione e glorificazione il vero uomo profeticamente indicato dal Salmo, ed è nel suo mistero pasquale che il destino essenzialmente liturgico dell’uomo si realizza. Pertanto, soprattutto quello scritto neotestamentario lo rivela, la liturgia cristiana è Gesù Cristo: è la sua morte e risurrezione ed ascensione al cielo, dove Egli è sempre vivo ad intercedere per noi.
E la nostra liturgia? "La liturgia cristiana nel senso paolino è questa stessa realtà, Gesù Cristo in noi… e consiste nel vivere la sua vita, come egli ci ha mostrato, morendo al peccato per risorgere a vita nuova in lui" [R.F. Taft, Oltre l’Oriente e l’occidente. Per una tradizione liturgica viva, LIPA ed., Roma 1999, pag. 262]. La liturgia eucaristica poi è il momento privilegiato di questa nostra identificazione con Cristo; è il luogo della suprema rivelazione dell’incontro in Cristo di Dio coll’uomo e della risposta dell’uomo al dono di Dio. È il momento in cui in piena verità l’uomo "fatto voce di ogni creatura", ritorna al Signore che lo ha destinato all’incontro con Lui.
Non voglio procedere oltre, rimettendomi alla vostra riflessione e preghiera personale. Mi piace ritornare al nostro punto di partenza, che costituisce la ragione del nostro incontro odierno.
È la celebrazione eucaristica che genera la nostra coscienza di Chiesa perché semplicemente genera il nostro essere Chiesa. E pertanto la consistenza della nostra soggettività ecclesiale è misurata dall’oggettività della celebrazione. È questo un punto centrale nella nostra esistenza sacerdotale.
Vi dicevo che quando prendiamo coscienza del nostro essere Chiesa avviene l’incontro con Cristo; che l’incontro con Cristo è il contenuto completo del nostro essere Chiesa; che questo è vero in grado eminente nella liturgia eucaristica. Ora vorrei suggerirvi semplicemente alcuni itinerari di riflessione per entrare nei vari significati di queste affermazioni.
Il nostro essere Chiesa non è un "mettersi assieme", ma è una "con-vocazione" che ha la sua origine nella gratuita decisione del Padre di con-vocarci in Cristo mediante il dono dello Spirito Santo. Questo primato della grazia deve essere custodito gelosamente nella nostra coscienza, è chiaramente manifestato nelle nostre celebrazioni.
C’è un’altra dimensione dell’esperienza della Chiesa che oggi chiediamo al Signore di vivere con forza e che ci è svelata in modo eminente dalla liturgia eucaristica. Pensiamo alla preghiera di presentazione dei doni del pane e del vino. In essa mettiamo a disposizione del Signore il "frutto della terra e del lavoro dell’uomo" e lo stesso frutto ci viene restituito come "pane di vita eterna" e come "bevanda di salvezza". È la stessa realtà che "viene dal basso" e che ci ritorna "donata dall’alto" intimamente trasformata. È il punto in cui emerge – culmeń – la redenzione della creazione. L’evento redentivo non passa accanto o sopra la realtà creata; non le è estraneo. La creazione non è irrimediabilmente perduta. In quel punto essa è salvata e trasfigurata, nelle due dimensioni che la costituiscono: la materia e la cultura – lavoro umano. "Tramite il simbolo liturgico … ci è posto davanti ciò che deve avvenire in pienezza, il nostro uomo nuovo definitamente separato dal suo uomo di carne, la nuova creazione, la comunione perfetta di Dio tutto in tutti" [T. Spidlik – M. Rupnik, Teologia pastorale … cit., pag. 409].
2. Vorrei ora riflettere sulla celebrazione che stiamo vivendo e sul suo significato da un altro punto di vista; vorrei riflettere su un’altra dimensione della nostra coscienza di Chiesa. È la dimensione mariana. Non si tratta di opzioni devozionistiche. La Lumen Gentium insegna il legame profondo fra il mistero della Chiesa, corpo mistico del Cristo, e Maria, e quindi "il Santo Concilio, mentre espone la Chiesa, nella quale il divino Redentore opera la salvezza, intende illustrare attentamente … la funzione [munus] della beata Vergine nel mistero del Verbo incarnato e del corpo mistico" [54].
Nella riflessione breve che intendo sottoporre alla vostra meditazione e preghiera, mi riferisco soprattutto al suo essere "quasi a Spiritu Sancto plasmatam novamque creaturam formatam" [56]. In questa prospettiva, il legame che unisce Maria a Cristo e alla Chiesa acquista la forma dell’archetipo ecclesiale, della "forma ecclesiae".
Pensiamo all’esperienza di Abramo, di Mosè: i due grandi momenti fondativi del popolo di Dio. Essi sono stati "plasmati" dalla decisione del Signore. Ireneo parla dell’uomo come argilla plasmata dal Signore.
Il momento fondativo – come dice un testo liturgico – della Chiesa nel grembo di Maria è costituito dal punto di vista mariano dal suo consenso. È ancora il Conc. Vaticano II che ci dona un profondo insegnamento: "Maria, acconsentendo con tutto l’animo senza che alcun peccato la trattenesse, alla volontà divina di salvezza, consacrò totalmente se stessa quale ancella del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione in dipendenza da lui e con la grazia di Dio onnipotente" [56]. Orbene – continua l’insegnamento del Concilio - " Deipara est Ecclesiae typus". Noi sappiamo che il termine "typus" nel vocabolario cristiano ha un significato non riducibile semplicemente a "modello da imitare".
Ciò che è avvenuto in Maria accade nella Chiesa; ciò che accade nella Chiesa accade in ogni discepolo del Signore. La Chiesa ha una "forma marialis"; ogni autentico discepolo ha una "forma marialis". E ciò nel senso che "Ecclesia in beatissima Virgine ad perfectionem iam pertingit, qua sine macula et ruga existit" [65].
Ella in questo senso è arche-tipo. Senza questa dimensione mariana il nostro discepolato non è vero perché sarebbe sostanzialmente non completa la nostra vita nella Chiesa.
Tutto questo prende corpo in modo eminente, ancora una volta, quando celebriamo l’Eucarestia.
In tutte le preghiere eucaristiche noi compiamo un atto di offerta sacrificale: "offriamo alla tua maestà divina … la vittima pura, santa ed immacolata" [Can. romano]; "ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo" [Pa. Euc. III]; "ti offriamo il suo corpo e il suo sangue, sacrificio a te gradito, per la salvezza del mondo" [Pr. Euc. IV]. Quale è il vero significato di quel "offriamo"? non è qualcosa, ma Qualcuno ciò che è offerto. Come è possibile offrire una persona? Solo se essa acconsente ad essere offerta. Cristo acconsente ad essere offerto da noi? Egli si è già offerto una volta per sempre con un’oblazione eterna. Ed allora non è possibile che una spiegazione di quelle parole: siamo noi che acconsentiamo all’offerta che Cristo fa di Se stesso. Offriamo perché entriamo per così dire dentro all’atto di Cristo; ne diventiamo consapevolmente e pienamente partecipi. Ma quale è la figura di questa partecipazione? Come possiamo pensarla?
Cristo ci coinvolge nella sua azione; ci lasciamo co-involgere nella sua azione ed immettere dentro alla sua donazione; ci lasciamo accordare con l’atto umano che unicamente vale di fronte a Dio: l’atto con cui il Verbo offre il suo Corpo ed il suo Sangue. Come può accadere tutto questo? In tutte le preghiere eucaristiche l’offerimus è sempre accompagnato dall’invocazione allo Spirito Santo. Lo stesso Spirito che ha spinto Cristo al dono di sé, spinge noi, spinge la Chiesa a lasciarsi co-in-volgere nel dono sacrificale di Cristo. L’offerimus si può intendere e realizzare solo come opera dello Spirito Santo. Cristo e la Chiesa diventano una sola carne nell’Eucarestia, pur restando due: Cristo – sposo è Colui che agisce e la Chiesa-sposa è colei che viene fecondata.
Tutto questo però – è una delle grandi lezioni della Lumen gentium – è vero solo se l’elemento centrale e finale dell’ecclesiologia è la mariologia. "Poiché tutto quel che s’è detto aveva sempre un presupposto segreto: che nella realtà da qualche parte esiste il "sì" perfetto dell’Ekklesia, l’accordo e il consenso perfettamente amante col sacrificio dello Sposo. La dizione patristica personam Ecclesiale gerens, in persona Ecclesiae, esprime una specie di rappresentanza, che tuttavia è realmente valida solo quando il ruolo giocato (la persona) rappresenti adeguatamente la soggettività della Chiesa sposa" [H.U. von Balthasar, Spiritus Creator, Morcelliana, Brescia 1972, pag. 203]. Ora questo avviene in Maria "a Spiritu Sancto plasmata".
Ora penso risulti meno oscuro che cosa significa che la forma ecclesiale è la forma mariana e che quindi non è possibile essere, vivere nel mistero della Chiesa senza aver impressa in sé questa forma mariana.
Non mi soffermo a mostrare che cosa questo significa per la nostra esistenza quotidiana, l’essere stati cioè coinvolti, immessi dentro all’atto con cui Cristo redime l’uomo. Mi limito solo ad una riflessione che reputo di straordinaria importanza e che in sintesi enuncio nel modo seguente: il mistico congiungimento dei "due in una sola carne" quale si ha nell’offerimus del canone è l’origine vera della missione.
È ciò che Teresa del Bambin Gesù ha capito quando ha compreso quale era il cuore che teneva in vita ogni ministero nella Chiesa. Se il nostro ministero non è continuamente irrorato da questo cuore, diventa secco e muore.
3. Sono già così entrato nel terzo ed ultimo punto della mia riflessione; sul quale voglio attirare ora la vostra attenzione orante perché questa sia giornata di grazia, giornata in cui il nostro sensus Ecclesiae si approfondisce. E lo faccio "cum timore et tremore". Capirete la ragione.
È la dedicazione della Cattedrale che noi celebriamo. In un certo senso è la solennità della cattedra del Vescovo. È la solennità in cui celebrando la cattedra, celebriamo l’evento mirabile e misterioso della successione apostolica: il fatto della presenza dell’apostolo [e dei suoi necessari cooperatori]. Non c’è esperienza di Chiesa senza la profonda intelligenza ed accoglienza della successione apostolica. Vorrei che meditassimo un poco su questo punto che in un certo senso è il contesto oggettivo dei due punti precedenti, e la sua radice e fondamento.
La mia riflessione parte dal punto precedente. Paolo definisce l’apostolo come servizio a Cristo, l’apostolo come servo di Cristo. Il titolo istituisce una relazione, così che l’esistenza dell’apostolo è un’esistenza relazionata a, e relativa a Cristo. Proprio per questo, l’apostolo è relazionato alla Chiesa. È la stessa relazione; non la somma di due. Essere riferito a Cristo significa porsi dentro al Suo [di Cristo] essere riferito, al suo servizio della Chiesa. Proprio perché appartengo a Cristo e sono il servo di Cristo appartengo all’uomo e sono il servo dell’uomo perché questi, ogni uomo diventi "membro di Cristo". È a causa di questo che il ministero apostolico pone in una condizione ontologica ed esistenziale che non ha paragone con altre funzioni pubbliche. A me sembra che questo sia il significato profondo della verità di fede che afferma il carattere episcopale e presbiterale. È il segno di un’appartenenza, frutto di una presa di possesso da parte di Cristo, in forza della quale il servo diventa minister, causa efficiente strumentale capace di donare nei santi segni e nella predicazione del Vangelo ciò che di per sé e da per sé non sarebbe mai stato in grado di dare. Egli dona lo Spirito Santo, celebra l’Eucarestia, annuncia la parola di Dio. In una parola: fa essere la Chiesa. È la "voce" che fa risuonare la "Parola", come ha lungamente meditato Agostino [cfr. Sermone 293,1-3]. È adempimento non di un’impresa carismatica personale, ma di un mandato autorizzato, legittimato e delegato all’apostolo da Dio stesso, perché Cristo sia oggi presente e riporti l’uomo alla sua dignità originaria [cfr. Rom 15,16]. "Pietro col suo ordinamento è istituzione che deriva dal Figlio, e perciò rappresentanza virile del Figlio e della sua autorità nella Chiesa" [H.U. von Balthasar, Spiritus … cit. pag. 206-207].
Si noti bene: nella Chiesa. Cioè: Pietro deve amare Gesù più di ogni altro; è lui che deve consentire che Cristo gli lavi i piedi. Pietro deve dimorare in Maria ed essere mariano più di ogni altro. Così come nessuno più di Maria è sub Petro; è sub apostolo. Scindere la Chiesa apostolica dalla Chiesa del carisma è porsi completamente fuori strada.
È in questo contesto che si capisce la natura teologica dell’obbedienza. Essa è completamente diversa dalla obbedienza propria del diritto pubblico umano. Non è – come questa – obbedienza ad un’autorità formale, ma all’apostolo che a sua volta è obbediente a Cristo. Essa è la via attraverso la quale il vecchio Adamo disintegrato viene ricomposto in unità.
Conclusione
Oggi noi celebriamo il metodo che Dio ha seguito nell’opera della nostra salvezza.
Questo metodo divino è stato stupendamente descritto da V. Solov’ëv nel modo seguente: "La Chiesa, fondata da Cristo, Dio-uomo, ha anche una composizione divino-umana … La Chiesa è santa e divina perché è santificata dal sangue di Gesù Cristo e dai doni dello Spirito Santo; ciò che direttamente procede da questo principio che santifica la Chiesa è divino, puro ed immutabile; invece le opere degli uomini di Chiesa, compiute secondo il carattere umano, benché fatte per la Chiesa, hanno qualcosa di molto relativo e, lungi dall’essere qualcosa di perfetto, solo sono in via di perfezionamento. Questo il lato umano della Chiesa. Ma dietro il torrente mutevole ed ondeggiante dell’umanità ecclesiale si trova e si costituisce la Chiesa stessa di Dio, la sorgente infinita della grazia divina, ininterrotta azione dello Spirito Santo che dà all’umanità la vera vita in Cristo e in Dio. Quest’azione di grazia divina è sempre esistita nel mondo; ma dall’incarnazione di Cristo ha assunto una forma visibile e tangibile … così che, nonostante non tutto nella Chiesa visibile sia divino, tuttavia il divino in essa è già visibile" [I fondamenti spirituali della vita, ed. LIPA, Roma 1998, pag. 106-107]. Perché la Chiesa? Perché il Mistero sia visibile, tangibile, incontrabile.
Il "divino è già visibile": questa visibilità è ciò che fa pregustare a noi ancora pellegrini sulla terra il gaudio della patria eterna.
|