LA MATURITÀ DELLA FEDE
24 MARZO 1996
Vorrei riflettere attentamente sulle qualità di una esistenza
cristiana matura. Voi comprenderete che così enunciato il tema è
di una grande vastità da non potere essere trattato una sola volta.
Ho pensato di limitarmi a una dimensione specifica della nostra vita
cristiana, quella della fede. Ma anche così riformulato, la riflessione
risulterebbe molto ampia. Alla fine, cercherò di rispondere a due
sole domande. La prima: che cosa significa fede matura o adulta? La seconda:
quale è oggi il rischio maggiore per la fede? La risposta alle due
domande costituirà rispettivamente il primo e il secondo punto della
mia relazione.
1. La perfezione della fede
Credo sia utile, per capire in che cosa consiste la maturazione
della fede, chiederci ancora una volta quale è il nucleo essenziale
del cristianesimo, che cosa esso sia veramente.
“Il cristianesimo, in sé, non è una concezione
della realtà, non è un codice di precetti, non è una
liturgia. Non è neppure uno slancio di solidarietà umana,
né una proposta di fraternità sociale. Anzi, il cristianesimo
non è neanche una religione. E’ un avvenimento, un fatto che si
compendia in una persona. Oggi si sente dire che in fondo tutte le religioni
si equivalgono perché ognuna ha qualcosa di buono. Probabilmente
è anche vero. Ma il cristianesimo con questo non centra. Perché
il cristianesimo non è una religione, ma è Gesù Cristo,
cioè è una persona” (Card. Biffi). E’ il punto centrale.
Per essere buddisti, per esempio, basta conoscere la dottrina e attuarla:
si può essere buddisti senza sapere nulla della vita del Buddha.
Non si può essere cristiani senza “l’incontro” con Gesù Cristo,
poiché essere cristiani è nient’altro che questo evento che
plasma tutta la vita. Ma è necessario precisare ancora. Qualcuno
potrebbe pensare che questa “relazione a, con Cristo” consista nel fatto
che noi veniamo a conoscenza dei suoi insegnamenti e cerchiamo di viverli,
conservandone così perennemente la memoria. Non è questo
il cristianesimo. E’ un “incontro” con Cristo che è vivo oggi, in
carne ed ossa come me, con un cuore che pulsa come il mio. In questo senso
si deve dire che il cristianesimo è la resurrezione di Gesù,
meglio è Gesù risorto. Ed infatti che cosa sono andati a
dire gli apostoli di Lui? Una parola sola: è risorto. Essi avevano
vissuto una esperienza straordinaria: avevano vissuto con Lui. Poi una
tragedia terribile: la sua morte. Era la fine di tutto: ogni speranza era
sepolta. Ma essi lo rividero: vivo, in carne ed ossa. Ed allora la vita
ricominciò: “Ho visto il Signore risorto”. E’ vivo, oggi: il cristianesimo
è incontro con Lui. Il cristianesimo non è alleanza con Dio
che parla attraverso i suoi profeti: è Dio che fattosi uomo è
morto ed è resuscitato. Tutto il cristianesimo è questo.
Ho parlato di “incontro”, di “relazione a, con ...”, usando di
proposito espressioni ancora imprecise. Ora dobbiamo cercare di precisare
al massimo che cosa, quali esperienze denotino quelle parole. Siamo
nel centro della nostra riflessione: in che cosa consiste la pienezza della
fede. Proviamo a leggere una pagina, fra le tante possibili della lettera
ai Filippesi (3,4-13), dove San Paolo descrive precisamente la sua esperienza.
Prima di tutto, trattasi di un evento che rompe in due la vita
di una persona: la propria biografia è “prima” e “dopo” Cristo.
E’ ciò che la scrittura chiama conversione.
La prima dimensione di questa esperienza è che si vedono
le cose, la realtà tutta in un modo diverso: ciò che era
considerato un guadagno ora lo si considera una perdita. E’ Lui ormai l’unico
criterio totalizzante del nostro modo di pensare, di giudicare: è
l’orizzonte totale della propria vita. “Tutto”, dice S. Paolo: nulla sfugge
a questa luce. L’esistenza diventa Cristo-centrica.
Ma questa dimensione nasce da qualcosa di ancora più profondo
che è accaduto nella persona: “essere trovato in Lui” dice S. Paolo.
E’ una sorta di espropriazione di se stessi, perché il nostro io
sia Lui stesso. “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che
vive in me”. Ed ancora “Per me vivere è Cristo e morire n guadagno”.
Ora quale è l’espressione del possesso che la persona ha di se stessa?
E’ la sua libertà. L’auto-possesso consiste nel nostro essere liberi:
nell’essere sorgente ultima del nostro agire. E’ ciò che Paolo chiama
“una mia giustizia derivante dalla legge”.
Ecco l’altra fondamentale dimensione: le mie scelte hanno il
loro principio in Cristo stesso che è in me e nel quale io dimoro.
E’ un “lasciarsi condurre da Lui”.
S. Ignazio pregava: “prendi tutta la mia libertà”.
Ecco: credo, che questa sia l’esperienza denotata dalle parole
“incontro con Cristo” “relazione con Cristo”. Esso è l’essere nel
Cristo e Cristo in noi. Questa reciproca immanenza diventa l’unico criterio
di giudizio e fa sì che Cristo sia il principio ultimo di ogni nostra
scelta.
Ma una ultima osservazione. Come ogni grande esperienza che può
coinvolgere la nostra esistenza, essa chiede tempo per investire la nostra
vita in tutta la sua profondità ed estensione. Per questa ragione,
S. Paolo dice: “dimentico del passato e proteso verso il futuro corro verso
la meta”. Ed è in questo contesto che si pone precisamente la domanda
sulla maturazione della fede. Ho usato ora il termine di “maturazione”
e non più di “maturità”. Esso indica meglio un processo che
va, diciamo, dal meno al più. E dunque dobbiamo chiederci quali
sono le leggi che governano intimamente questa maturazione, gli orientamenti
che ha in se stesso. Queste leggi mi sembrano fondamentalmente due: la
legge dell’universalizzazione cristocentrica, la legge dell’obbedienza.
La prima legge, la potrei enunciare in questi termini: ogni dimensione
ed ogni esperienza umana è capita e vissuta nella luce del nostro
essere in Cristo. E quindi, noi stiamo maturando nella fede se osserviamo
che nella nostra esistenza sta accadendo questo processo. Quali, diciamo
così, processi contrastano questa legge e quindi si oppongono alla
maturazione della nostra fede? Non è poi così difficile ora
vederlo. Due processi vi si oppongono. O il pensare ed il vivere esperienze
umane non nella luce del nostro essere in Cristo, ritenendo che sia possibile
viverle pienamente non in Lui: è il processo della scristianizzazione
secolarista. Oppure il pensare di vivere in Cristo come se questo complicasse
il rifiuto di ciò che è veramente umano, anche di un solo
frammento dell’umano: è il processo dello spiritualismo che evacua
del contenuto ideale dell’avvenimento cristiano. In breve e più
semplicemente: la passione per Cristo è misurata dalla passione
per l’uomo e la passione per l’uomo è generata dalla passione per
Cristo.
La seconda legge, la potrei enunciare in questi termini: la nostra
legge è lo Spirito santo che dimora in noi per cui dobbiamo lasciarci
condurre da Lui. Il processo di maturazione è un processo di obbedienza
allo Spirito. Ancora una volta due processi si oppongono a questa “sovranità
dello Spirito”. Il primo (presente in tutta la cultura moderna) consiste
nel togliere ogni riferimento alla “carne ed al sangue” che assume sempre
la nostra obbedienza allo Spirito: la riduzione di questa sovranità
ad un ideale etico. Il secondo consiste nell’idolatria dell’istituzione
umana, nella burocratizzazione dell’avvenimento cristiano.
Vorrei ora fare una precisazione assai importante, partendo da
un esempio semplice. Noi possiamo scoprire le leggi che regolano lo sviluppo
di un organismo vivente, tuttavia, la vita non è queste leggi: essa
si sviluppa secondo esse, non è esse. La vita è Cristo in
noi e noi in Cristo. Il nostro vivere in Cristo si sviluppa secondo queste
leggi, altrimenti moriamo. Questa vita in Cristo e di Cristo in noi (è
questo l’evento nella sua intima essenza) che si sviluppa secondo quelle
leggi ha un nome: si chiama la Chiesa che pertanto è Santa, Cattolica
ed Apostolica, originando così quella Unità che è
la presenza della comunione trinitaria nella nostra storia.
2. La “sfida” alla maturazione della fede (schema)
2,1: Il processo anti-cristiano si è articolato secondo
le due leggi opposte a quelle due precedenti. Separazione del cristiano
dallo “umano”; costruzione della “soggettività” umana in termini
di “autonomia assoluta”.
Il risultato è stato il nichilismo.
2,2: il risultato del nichilismo è l’indifferentismo,
che oggi è l’unica vera sfida al credente.
2,3: come “reagisce” il cristiano maturo alla sfida dell’indifferentismo?
E’ il tema della “ri-evangelizzazione”.
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