MATRIMONIO E FAMIGLIA
(Rotary Club Ferrara - 15 maggio 1996)
“Uomo e donna li creò ... E poi disse: crescete e moltiplicatevi”
(Gen. 1, ). La solenne affermazione biblica pone in chiara luce il rapporto
esistente fra matrimonio e famiglia. Il matrimonio sussiste nella uguaglianza,
diversità e reciprocità dell’uomo e della donna: così
uguali da rendere possibile una comunione reale e personale, così
diversi perché nel loro reciproco richiamarsi si completano a vicenda.
Ma la coppia uomo-donna, il matrimonio, non esiste per chiudersi in se
stesso: per la sua intima natura, l’amore coniugale è orientato
al dono della vita sia in senso fisico che spirituale. E così, benché
matrimonio e famiglia siano due realtà distinte, ciascuna dotata
di valori propri, tuttavia sono fra loro intimamente collegate e si sostengono
a vicenda.
Ma questa sera non è mia intenzione riflettere su questo
intimo legame nella sua luce diciamo “ideale” (che non significa irreale),
ma prestare attenzione ad un fatto che come studioso vedo di drammatica
problematicità, e come pastore carico, gravido di incalcolabile
potenza negativa per la persona umana. Quale fatto? La progressiva sconnessione
fra matrimonio e famiglia.
Vorrei riflettere su questo fatto dai seguenti due punti di vista.
Dapprima, vedere come questa sconnessione è andata progressivamente
imponendosi nella coscienza e nella cultura dell’uomo occidentale. In secondo
luogo, vedere quali conseguenze questa sconnessione produce nel vissuto
umano.
1. LA SEPARAZIONE
L’intimo legame fra matrimonio e famiglia, di cui è testimone
il testo biblico, si regge sulla percezione spirituale di alcune verità
antropologiche e valori etici, le quali precisamente convergono verso l’affermazione
della connessione, non solo di fatto, ma di diritto fra matrimonio e famiglia.
Se e quando queste verità sulla persona umana e questi valori non
sono più affermate e vissuti, inevitabilmente anche la connessione
fra matrimonio e famiglia si scioglie.
Quali sono queste verità e valori? Sarei tentato di dire
che è una sola, la verità ed il valore della sessualità
umana. Ma questa affermazione, nella sua sinteticità, non dice molto.
E’ preferibile, anche se più monotono, un procedimento analitico.
Che la sessualità umana abbia in sé un duplice
valore, non è difficile da vedere, almeno per chi guarda la realtà
con occhi semplici. La sessualità umana è in primo luogo
linguaggio della comunione interpersonale. Essa, cioè, è
il “segno” attraverso cui la persona esprime il dono di se stessa all’altra:
è il linguaggio dell’auto-donazione. Ma il linguaggio che è
la sessualità, non è solo espressivo. Esso è anche
realizzativo (performative language). Cioè: è capace di realizzare
ciò che dice. Nel momento in cui la sessualità dice il dono
che la persona fa di se stessa, realizza anche questo dono stesso. Ma dono
di che cosa? Dono della persona stessa. Si può donare il proprio
avere; si può donare il proprio essere: il proprio io stesso. La
donazione può essere auto-donazione. La sessualità umana
è il linguaggio che dice - realizza l’auto-donazione della persona.
Come può essere possibile questo? E’ possibile in quanto la sessualità
non appartiene all’avere della persona; è una dimensione della persona
stessa. Esiste cioè una connessione fra la persona e la propria
sessualità, tale per cui la persona è intimamente sessuata
(ogni persona è uomo-donna) e la sessualità è sempre
personale. Non possiamo ora dare la spiegazione filosofica di questo fatto.
Teniamo, dunque, ben presente che esiste una connessione fra sessualità
e persona, tale per cui la sessualità è la persona nella
sua capacità di auto-donazione. E’ la prima connessione in cui ci
siamo imbattuti.
Vorrei ora richiamare la vostra attenzione su una delle esperienze
più misteriose della nostra esistenza umana, esperienza sulla quale
Platone scrisse per primo pagine rimaste insuperabili. Che cosa spiega
la profonda, reciproca attrazione fra uomo e donna? E’ un duplice fatto.
Il fatto, in primo luogo, che la femminilità/mascolinità
non sono determinazioni puramente biologiche. Esse connotano ricchezze
spirituali di incomparabile preziosità: il mondo senza le donne
sarebbe molto povero dal punto di vista spirituale, così come un
mondo senza uomini. L’altro fatto è che né l’uomo né
la donna esauriscono l’intera ricchezza del nostro essere persone
umane, ma solo, di conseguenza, la loro unità è in grado
di esprimere tutta l’intima ricchezza dell’umano.. E’ questo che spiega
la profonda, misteriosa reciproca attrazione che, precisamente da Platone
in poi, si chiama eros.
La dimensione erotica della sessualità pone un problema
etico assai grave. Essendo essa il segno della povertà della persona,
la dimensione erotica della sessualità spinge la persona al possesso
dell’altra. L’eros trasforma la sessualità in un bisogno ed il bisogno
chiede, urge il suo soddisfacimento. Sennonché, l’oggetto (si fa
per dire) del bisogno è la persona, in questo caso. E nel momento
in cui tu tratti una persona come ciò di cui hai bisogno per soddisfare
te stesso, in quel momento hai già perduto la persona stessa. L’hai
ridotta a qualcosa . L’unica via è che le persone si incontrino
nel dono reciprocamente fatto ed accolto. Questa via è l’amore.
Esso solo dà compimento all’eros. Abbiamo così scoperto una
seconda connessione: la connessione fra amore come auto-donazione ed eros
come ricerca del proprio compimento.
Ma la sessualità non è solo linguaggio che dice-realizza
la persona nel suo donarsi all’altra. Essa è capacità di
porre le condizioni perché sorga una nuova persona umana. Il fatto
che la sessualità umana sia e comunione inter-personale e
capacità di dare la vita, è in sé e per sé
privo di significato? Cioè, la compresenza nella stessa sessualità
umana di queste due capacità (dire-realizzare il dono; donare la
vita) è un dato puramente di fatto oppure è un dato
carico di significato e di valore? La domanda non è oziosa. Se è
vera la prima ipotesi, distruggendo quel dato (separando cioè le
due capacità) non faccio nulla di male. Se è vera la seconda
ipotesi, distruggendo quel dato io sopprimo un bene.
Che sia vera questa seconda ipotesi, si può mostrare in
molti modi. Mi limito ad una sola riflessione. La persona umana, ogni persona
umana chiede in ragione della sua stessa dignità, di essere voluta
in se stessa e per se stessa. Cioè: di essere amata. Quale è
l’attività eticamente degna di far entrare nell’universo dell’essere
una nuova persona? Quella dunque dell’amore.
Si può giungere a questa stessa conclusione “per contrarium”.
L’unica via, diversa da questa, sarebbe costituita da un’attività
umana, quella di fatto cui si ricorre nella fecondazione in vitro, che
avrebbe il profilo della “produzione”. Ora si producono le cose,
non le persone.
Abbiamo già scoperto una terza connessione: la connessione
fra capacità unitiva della sessualità umana e capacità
procreativa.
Se ora ci chiediamo: quale è il modo eticamente degno
di realizzare la propria sessualità? Non c’è dubbio che sarà
quello nel quale quella triplice connessione è salvata e realizzata.
E quale è questo modo? Dal punto di vista puramente umano, è
il modo matrimoniale. Esiste anche un altro modo, nella prospettiva della
fede, quello verginale: di questo non parliamo. Perché il modo matrimoniale?
Non è poi tanto difficile a mostrare.
L’auto-donazione della persona esige di essere definitiva ed
integrale. Ora solo una comunione-coniugale orientata al dono della
vita ha questa proprietà. Dunque, la forma coniugale salvaguardia
e promuove la connessione fra sessualità e persona, la connessione
fra eros ed amore, la connessione fra capacità unitiva e capacità
procreativa insite nella sessualità. Ma il dire “comunione coniugale
/ orientata al dono della vita” equivale a dire che matrimonio e famiglia
devono essere fra loro connesse.
Che cosa è successo e che cosa sta succedendo nella nostra
cultura occidentale? Ognuna di quelle tre connessioni è ormai andata
in crisi, poiché è stata lungamente contestata.
La prima, di gran lunga la più grave, è stata la
separazione della sessualità dalla persona, causata dalla separazione
del corpo dalla persona. Il risultato di questa separazione è stato
che la sessualità ha perduto ogni serietà: ha cessato di
essere “un caso serio” per trasformarsi progressivamente in gioco. La figura
del Don Giovanni che a cominciare dal XVII secolo comincia a circolare
nella letteratura dei popoli europei, è significativa. Ma non è
tanto sugli effetti diciamo generali, che voglio ora riflettere: rimaniamo
nella considerazione del rapporto matrimonio-famiglia. La separazione della
sessualità dalla persona legittima l’esercizio della sessualità
medesima fuori di qualsiasi legame definitivo coll’altro.
La seconda separazione ha rotto l’armonia fra eros ed amore.
E’ questa una grave malattia spirituale, come dirò dopo. La separazione
dell’eros dall’amore ha legittimato una visione edonista della sessualità.
Ora non c’è dubbio che una visione prevalentemente o esclusivamente
edonista lavora nel senso di una separazione della sessualità dal
matrimonio e, quindi del matrimonio dalla famiglia. Per quale ragione?
perché una visione edonista della sessualità è profondamente
de-responsabilizzante la persona nei confronti della propria sessualità
medesima.
La terza separazione ha rotto il rapporto fra le due capacità
insite nella sessualità, in una duplice direzione. La “nobilitazione”
della contraccezione ha separato nella coscienza (non solo nel comportamento)
la capacità unitiva dalla capacità procreativa. La “procreatica
artificiale” ha separato la capacità procreativa dalla capacità
unitiva. E così il cerchio si è chiuso. L’amore coniugale
non è più orientato al dono della vita sia perché
si è configurato un amore coniugale vero e nel contempo chiuso
alla vita sia perché esiste un modo di “produrre” la vita, che prescinde
completamente dall’amore coniugale.
Ma qui si è andato ponendo il fatto forse più decostruttivo
del rapporto matrimonio-famiglia: la progressiva legittimazione-equiparazione
al matrimonio e alla famiglia, di qualsiasi tipo di convivenza, anche fra
omosessuali. In vari paesi sono già stati riconosciuti diritti legati
alle unioni fra omosessuali, di conseguenza si sta promuovendo anche il
diritto di quest’ultimi ad avere figli mediante precisamente procreazione
artificiale.
La sessualità non implica la definitività perché
non è dono della persona. La sessualità non implica alcuna
responsabilità dell’uomo verso se stesso e l’altro. La sessualità
è unitiva e procreativa solo di fatto, non di diritto. Dunque: ci
può essere una unione solo per gioco o piacere; ci può essere
una unione omosessuale che ha lo stesso valore di quella coniugale; sessualità
- amore - procreazione non sono connessi.
Cioè: ogni legame fra matrimonio e famiglia è semplicemente
negato, che non sia un legame puramente di fatto. La naturalità
della famiglia, l’intimo legame fra matrimonio e famiglia, così
evidente ad ogni generazione della storia umana, oggi si vanno sempre più
oscurando.
2. CONSEGUENZE
Vorrei ora richiamare la vostra attenzione sulle conseguenze,
sulla “portata” di questa sconnessione. Non sulle conseguenze istituzionali
che già si stanno realizzando, ma sulle conseguenze diciamo etiche,
nel senso più profondo del termine. Riprendo e sviluppo brevemente
alcuni accenni già fatti.
La separazione della famiglia dal matrimonio tocca uno dei cardini
della nostra cultura, perché tocca e muta la stessa visione dell’uomo
di cui quella cultura si è sempre nutrita.
La separazione della sessualità dalla persona è
la punta di un iceberg: la separazione del corpo dalla persona. Questa
separazione disintegra al suo interno la persona stessa e muta profondamente
il rapporto con l’altro. Ogni comunicazione umana è infatti mediata
dal corpo ed una visione-esperienza dello stesso che sia errata, disarticola
la comunicazione fra le persone. L’esercizio della sessualità si
orienterà sempre più nella logica dell’uso e del consumo
di un bene utile e piacevole, senza rendersi conto che in questa logica
chi è usata e consumata è la persona stessa. L’unica
responsabilità che oggi, quindi, si vede nell’esercizio della sessualità
è quella di evitare i danni alla salute fisica: siano ormai alla
riduzione della sessualità al cibo che si mangia per saziare la
propria fame. E’ l’uomo qui che è “in questione”. Egli è
responsabile di se stesso in quanto è responsabile della sua capacità
di dono.
La separazione dell’eros dall’amore orienta sempre più
l’esercizio della sessualità verso la logica dell’edonismo. Ora
chi guarda alla realtà in quanto essa è capace/incapace di
procurargli un piacere, sarà inetto a vedere la realtà stessa
nel suo valore proprio.
Ma non è tanto su questa linea che voglio ora proseguire.
Vorrei attirare la vostra attenzione su un fatto che reputo molto importante.
La separazione della sessualità - corpo dalla persona
e dell’eros dall’amore ha impedito ed impedisce sempre più di “vedere”
il significato proprio dell’essere-uomo/dell’essere-donna. Si nega la reciprocità
ed in questo modo la nostra cultura si sta impoverendo, a causa della progressiva
assenza da essa della femminilità. Femminilità e mascolinità
sono ridotte a mere funzioni sociali oppure sono alla fine private di ogni
significato.
CONCLUSIONE
Non è la prima volta che l’umanità è costretta
a ripensare le ragioni più profonde della sua vicenda, a riscoprire
profondamente la sua verità. Quale cammino percorrere?
L’ultima cosa da fare è quella di credere che tali problemi
possano essere risolti solo con nuove leggi istituzionali o in modo accademico.
Essi possono essere risolti solo “ritornando alla sorgente”. E quale è
la sorgente? È il cuore dell’uomo. “E’ nell’intimo che abita la
verità”: dice S. Agostino. Prima e più forte di ogni ideologia,
è il desiderio che dimora nel cuore dell’uomo. E’ il desiderio di
essere nella verità, la sola che genera la libertà. Abbiamo
bisogno di testimoni dell’amore che suscitino nell’uomo e nella donna sradicati
dalla loro verità, la “nostalgia” di ritornare alla loro vera identità.
“Non ci ardeva il cuore ...?” dicono i discepoli di Emmaus, dopo aver parlato
col Signore Risorto.
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