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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Identità ecclesiale e missione della famiglia
febbraio 1985

 


SCHEMA

1)

La riflessione sull’identità della famiglia è molto importante, poiché solo la conoscenza della vera natura della comunità familiare offre i criteri per giudicarne le realizzazioni storiche.

La famiglia è l’espansione e lo sviluppo della comunità coniugale, attraverso la procreazione e l’educazione di nuove persone umane.

È necessario, pertanto, percepire (to insight) il mistero dell’atto procreativo-educativo. Esso è la co-operazione con l’atto creativo di Dio e, pertanto, la famiglia è il tempio santo nel quale Dio fa essere la nuova persona umana.

Che cosa distrugge l’identità della famiglia?
- la contraccezione
- l’aborto
- l’abdicazione al dovere educativo.

È un dovere fondamentale dei pastori della Chiesa difendere la santità di questo tempio.

2)

La missione della famiglia è strettamente connessa con la sua identità.

“Oggetto” di questa missione è la vita della persona umana, nel momento e nel tempo della sua formazione.

È necessario, pertanto, capire il mistero della formazione della persona: della sua nascita e della sua maturazione, sia dal punto di vista filosofico sia dal punto di vista teologico.

A) Generare la persona significa introdurre la persona nella verità dell’essere.

B) Generare la persona significa introdurre la persona nel mistero di Cristo.

 

 

La nostra riflessione su “Identità ecclesiale e missione della famiglia” si dividerà in due parti fondamentali. Nella prima, cercherò di mostrare quale sia l’identità della famiglia e nella seconda quale sia la sua missione.

 

1. L’identità della famiglia

Quando parlerò di “identità della famiglia“, intenderò indicare ciò che costituisce la sua verità o la sua natura propria e specifica. Ma mi rendo conto subito che dobbiamo affrontare un problema oggi assai grave, dalla cui soluzione dipende tutta la nostra riflessione seguente. Esiste una “verità”, una “natura propria e specifica” della famiglia, una verità e una natura che permangono immutabili all’interno di ogni cultura o non dobbiamo piuttosto pensare che la famiglia sia una “creazione” della cultura, della società? Che cosa c’è di immutabile nella famiglia?

Dal punto di vista non solo teologico, ma anche filosofico, dobbiamo cominciare col dire che, quando noi parliamo della verità di una cosa, non si deve in primo luogo intendere ciò che l’uomo pensa di essa, ma ciò che Dio pensa di essa. Possiamo citare al riguardo un testo molto profondo di san Tommaso:

prior est comparatio ad intellectum divinum quam humanum, unde etiam si intellectus humanus non esset, adhuc res dicerentur verae in ordine ad intellectum divinum. Sed, si uterque intellectus, quod est impossibile, intelligeretur auferri, nullo modo veritatis ratio remaneret” (Qd. Dd. De Veritate 1, 2 c in fine).

Si noti l’inizio di questo testo: “prior est comparatio ad intellectum divinum”. Che significa: ciò che una cosa è, la sua verità, dipende dall’idea che di essa Dio ha, dal progetto di Dio su di essa. E questo progetto rimane immutabile. Se, dunque, esiste — come esiste — un progetto di Dio sulla famiglia, esiste una verità, una identità della famiglia.

D’altra parte, è ugualmente certo che noi osserviamo che la famiglia muta, nella sua struttura, nelle varie culture, e all’interno della stessa cultura muta col trascorrere del tempo. Questa mutazione dipende, in ultima analisi, da due fattori: dalla conoscenza e dalla libertà della persona umana. Dalla conoscenza: l’uomo non giunge sempre ad una conoscenza completa del progetto di Dio sulla famiglia, la sua è spesso parziale. Dalla libertà: anche quando l’uomo conosce il progetto di Dio, egli deve liberamente realizzarlo, ma può anche rifiutare questa realizzazione. La famiglia, vista nel suo formarsi, nel suo costituirsi come comunità personale che si dà una sua struttura visibile, sociale, è, pertanto, il luogo in cui si incontrano la proposta di Dio e la libertà dell’uomo. E da ciò derivano due conseguenze importanti.

La prima. Non ogni realizzazione umana dell’istituzione familiare ha lo stesso valore, ma il suo valore dipende dalla maggiore o minore fedeltà al progetto di Dio. In altre parole: noi possiamo e dobbiamo dare un giudizio etico, un giudizio, cioè, sulla bontà/malizia dell’istituto familiare, come storicamente si è realizzato. È possibile e doveroso, perché possediamo i criteri di questo giudizio.

La seconda. Il criterio fondamentale, per elaborare questo giudizio non è desunto — e non può essere desunto — dalla situazione storica, dai rilevamenti statistici, dal consenso della maggioranza, ma solamente dalla verità, cioè dal progetto di Dio sulla famiglia. Senza questo riferimento ogni giudizio etico diventa in realtà impossibile.

Dopo aver chiarito in che senso si può e si deve parlare di un’identità della famiglia — nel senso del progetto di Dio sulla famiglia — dobbiamo domandarci quali sono le vie attraverso le quali noi possiamo scoprire questa identità.

Alla luce dell’Esortazione Apostolica Familiaris consortio e delle Catechesi del Mercoledì di Giovanni Paolo II, mi sembra che possiamo indicare la via da percorrere in questo modo: l’esperienza essenzialmente umana che l’uomo ha di se stesso illuminata dalla Rivelazione e — reciprocamente — la luce di Cristo in quanto svela interamente l’esperienza essenzialmente umana che l’uomo ha di se stesso. È necessario che mi fermi un poco a spiegare questo punto molto importante.

Quando parlo di “esperienza essenzialmente umana”, intendo quella conoscenza che l’uomo ha di se stesso e che gli permette di conoscere la sua identità umana, la sua verità di persona umana, la natura del suo essere persona umana. È ovvio che questa definizione presuppone un’affermazione che non possiamo ora dimostrare: cioè, la possibilità per l’uomo di raggiungere, mediante la sua conoscenza, una verità su se stesso, una verità che trascende la storia, non relativa ad una cultura, ma valida sempre ed ovunque. È sufficiente al nostro scopo — cioè per dimostrare questa possibilità — pensare un poco a che cosa accade in ciascuno di noi, quando viviamo l’esperienza etica, l’esperienza cioè di un “incondizionato dover-essere”, di ciò che è esigenza assoluta del nostro essere-persona. Ciascuno di noi, in quel momento, vede ciò che è bene/ciò che è male in ordine al suo essere-persona. Come sarebbe possibile questa visione se non conoscessimo chi è l’uomo?

“Potremmo forse conoscere quale è l’arte che migliora l’uomo stesso se non sapessimo chi siamo noi stessi? ... Se conoscessimo noi stessi, conosceremmo forse la cura che dobbiamo prenderci di noi, se no, non la conosceremmo mai” (Plato, Alcibiades I, 129 a).

Ma per conoscere interamente il progetto di Dio sulla famiglia — e quindi l’identità di questa — non è sufficiente l’esperienza essenzialmente umana: questa deve essere illuminata dalla luce di Cristo. Dobbiamo perciò chiederci, in primo luogo, in che cosa consiste questa illuminazione che Cristo proietta sulla nostra esperienza e, in secondo luogo, perché essa è necessaria.

Primo. È stato Pascal a scrivere che “l’uomo supera infinitamente l’uomo”. Che cosa significa? Che l’uomo è in se stesso un mistero così grande e così profondo che da solo non può comprendere se stesso fino in fondo. Questa grandezza e questa profondità del mistero che è l’uomo, consiste nel fatto che la persona umana si sente orientata ad un fine che supera infinitamente le sue forze: l’uomo supera infinitamente l’uomo, precisamente. Il fine al quale è orientato è la comunione con Dio quale si raggiunge nella Sua visione. Questo orientamento costituisce l’uomo, lo plasma per così dire e attraversa tutte le dimensioni della sua persona. La luce di Cristo risolve questo enigma che è l’uomo per l’uomo, rivela pienamente l’uomo all’uomo, in quanto gli mostra il significato fondamentale della sua esistenza. In questo consiste precisamente l’illuminazione che Cristo proietta sull’esperienza umana: nel rivelare all’uomo che cosa egli, l’uomo, aspetta ed invoca dalle profondità del suo essere, la comunione piena col Padre.

Secondo. Questa illuminazione è necessaria, perché — come ci insegna la fede — l’uomo è stato creato in Cristo e, pertanto, Cristo è la verità dell’uomo. Come scrisse un teologo italiano «L’elezione divina, il progetto, o il mistero, è l’umanità di Dio e l’umanità in Dio: Gesù Cristo, la Chiesa e un universo in Cristo per la Chiesa e con la Chiesa (cfr. Col 1, 13-20; Eph 1, 3-10). Questo è il progetto deliberato da Dio, in unità ed originalità... Al di fuori di questo disegno unitario e originario c’è il “non essere”, “l’astratto”» (I. Biffi, La Teologia e un Teologo - S. Tommaso d’Aquino, ed. Piemme 1984, p. 16).

Nel credente si ha, pertanto, una specie di “circolo” fra l’esperienza umana e la luce di Cristo: alla luce di Cristo, l’uomo capisce sempre più profondamente se stesso e, reciprocamente, la più profonda conoscenza di sé così raggiunta ci permette di accogliere più intimamente la luce di Cristo.

Dopo aver, dunque, detto in che senso parliamo di identità della famiglia e quale via ci conduce alla scoperta di essa, siamo ora in grado di scoprire questa identità.

È ovvio che noi partiamo dal presupposto che la base della comunità familiare è solamente il matrimonio uno ed indissolubile, che la comunità familiare è una espansione della comunità coniugale. Anzi, potremmo partire precisamente da questa domanda: in che cosa consiste questa espansione nella sua specifica identità e natura? che cosa trasforma la comunità coniugale in comunità familiare? La risposta ovvia è talmente semplice da far pensare che la domanda da cui partiamo sia troppo semplice, per metterci sulla buona strada: è il figlio che trasforma la comunità coniugale in comunità familiare ed è, dunque, la procreazione l’atto che espande la comunità coniugale in comunità familiare.

Dobbiamo analizzare a fondo questo evento, l’evento dell’arrivo al l’esistenza di una nuova persona umana, che “fonda” la comunità familiare.

Proprio come l’origine della comunità coniugale è situato nell’incontro tra l’impresa di Dio e il consenso dell’uomo e della donna che si sposano, così l’origine della comunità familiare risiede nell’incontro tra Dio e la coppia di sposi, tra l’atto divino della creazione e l’atto umano della procreazione.

 

A) L’atto divino della creazione. All’origine di ogni persona umana c’è un atto creativo di Dio: questa è una verità di fede insegnata dalla Chiesa. Ma anche la nostra ragione può comprendere questa affermazione. La persona umana, in ragione dello spirito che la costituisce come soggetto unico e irripetibile, non può essere il frutto della necessità o del caso, non può essere dovuta a impersonali e meccaniche forze della natura. Quando nell’universo appare un essere umano, appare qualcuno (e non semplicemente qualcosa) essenzialmente diverso e superiore al resto del mondo. Appare qualcuno destinato immediatamente e direttamente alla comunione con Dio. Ciò non può verificarsi senza che Dio lo sappia, senza che Dio lo voglia. Dio sa, Dio vuole che questa persona esista: cioè — è lo stesso — Egli la crea.

Non solo ma, come abbiamo già visto, questa persona è creata in vista di Cristo: per divenire figlio nell’unico Figlio del Padre partecipando della stessa vita divina.

 

B) L’atto coniugale della procreazione. Alla luce della precedente riflessione, possiamo comprendere l’intima natura dell’atto coniugale della procreazione. È il luogo in cui avviene l’atto divino del la creazione, è la co-operazione umana all’attività divina.

La capacità procreativa inscritta nella sessualità umana è intrinsecamente ordinata ad essere capacità di cooperare con Dio Creatore. È per questa ragione che essa è inseparabilmente connessa — deve essere connessa — con la capacità unitiva della stessa sessualità umana: solo un vero atto di amore umano è degno di cooperare con l’atto d’amore creativo di Dio. La comunità coniugale diventa comunità familiare quando accade questo incontro tra l’amore creativo di Dio e l’amore procreativo dell’uomo: ed è proprio questo incontro che definisce la verità, l’identità della famiglia. Dobbiamo ora spiegare questo aspetto.

Il fatto che la persona umana deve la sua esistenza a un atto creativo di Dio e che gli sposi possono solo porre le condizioni perché questo atto avvenga (generatio — dicevano gli antichi — est opus naturae non personae), fa sì che il figlio sia un dono fatto agli sposi da Dio stesso. Dio affida loro ciò che nell’universo esiste di più prezioso: una persona umana. Quale è l’atteggiamento giusto, l’adeguato atteggiamento che gli sposi devono avere di fronte a questo “dono”?

Sant’Agostino scrisse: “Secretum Dei intentos debet facere, non adversos” (Tract. in Jo, 27, 2; CCL 36, 270). Il mistero (secretum) di Dio deve renderci “intentos” cioè attenti, coscienti, recettivi e non “adversos”, cioè disattenti, sospettosi. Gli sposi partecipano del “secretum Dei”, perché essi partecipano nel Suo atto creativo. L’atteggiamento giusto e adeguato è quello di ricevere questo dono secondo l’intenzione di Dio. Abbiamo scoperto la prima e fondamentale dimensione dell’identità della famiglia, la sua verità più profonda. La famiglia è il luogo, il tempio santo in cui Dio completa il suo atto più grande, l’atto creativo. E ancora, più precisamente: la famiglia, come tale, si costituisce in questo essere lo spazio della creazione divina di una persona umana. E questa economia della creazione è rispettata anche nell’economia della redenzione: anche il Verbo si fece carne in una famiglia umana.

Ma, ora, dobbiamo cercar di comprendere più profondamente il significato di “ricevere il dono del figlio”: un dono fatto da Dio Creatore. Ciò che vien dato non è una cosa, ma una persona. Da questa semplice osservazione derivano alcune conseguenze molto importanti.

La prima e più immediata è che questo dono non pone in essere una “proprietà” ma solo un “affido” (Naturalmente non uso questa parola in senso giuridico). In altre parole: la nuova persona umana è data ai genitori per esser guidata alla pienezza del suo essere personale, per realizzare il piano che Dio ha per ogni persona che viene all’essere. In questo modo, la persona umana è continuamente e progressivamente generata in co-operazione con l’amore creativo di Dio. Questa “generazione continua e progressiva” è l’educazione. Quindi, come Dio conserva colui che ha creato (conservatio est continua creatio), gli sposi generano continuamente colui che hanno procreato (educatio est continua procreatio). È quindi continuamente presente un’intima corrispondenza fra l’atto divino con cui il Signore porta la nuova creatura al suo scopo, allo scopo per cui Egli la creò, e l’atto umano dell’educazione con il quale gli sposi fanno sì che la nuova creatura realizzi il piano di Dio e consenta sempre più alla divina Provvidenza.

Come ho già detto prima, la Provvidenza di Dio propone un fine che Egli ci ha rivelato: far partecipare ogni persona alla filiazione divina del Verbo Incarnato, l’Unico Figlio generato del Padre, perché in Lui è ricostruita la comunione fra Dio e fra gli uomini nella Chiesa.

Ogni persona umana è creata per questo scopo ed è data ai suoi genitori perché, tramite essi, sia condotta a questa realizzazione di sé. È ovvio che solo i genitori battezzati sono coscienti di questo.

 

La seconda conseguenza è questa. I genitori devono introdurre la nuova persona umana nella famiglia dei figli di Dio, nella Chiesa tramite il battesimo e, poi, tramite l’educazione alla fede e la vita cristiana. Questa è la seconda dimensione essenziale della identità, della verità della famiglia cristiana, sulla quale ci soffermeremo ora.

Dopo il peccato originale, l’uomo nasce come “figlio della rabbia” ed egli ha bisogno, per esser salvato, di essere generato di nuovo. La storia dell’uomo è costruita lungo questa doppia generazione: la generazione che dava origine alla famiglia umana “priva della grazia di Dio”, sotto il peccato; la generazione che da’ origine alla famiglia umana ri-creata nella gloria di Dio, che costituisce il Corpo di Cristo, cioè la Chiesa. Poiché i due ordini si incontrano e si intersecano, l’umanità entra nella Chiesa e la Chiesa penetra nelle generazioni umane. La famiglia è ciò che, chiedendo alla Chiesa di battezzare il proprio figlio, opera questa unione, questa intersezione. In questo modo, la famiglia diventa il luogo in cui Dio completa la Sua opera redentrice: Egli, non solo crea l’uomo, ma Egli lo crea di nuovo nella generazione spirituale. San Tommaso parla, a proposito del battesimo, di un “quodam spirituali utero” (Summa theologiae 1, 2, q. 10, a. 12 c) costituito da “parentum cura”: la nuova persona umana è generata alla vita spirituale da questo utero spirituale che è l’educazione spirituale cristiana data dai genitori.

Volendo ora esprimere in breve e sinteticamente l’identità della famiglia cristiana, noi possiamo dire: la famiglia è il luogo nel quale Dio crea la nuova persona umana, il tempio santo in cui si celebra l’atto creativo e redentivo della nuova persona umana.

Vorrei ora, prima di concludere questa prima parte della mia riflessione, parlare di ciò che distrugge l’identità della famiglia che ho appena descritto. Esistono azioni che, per la loro stessa natura, attentano alla verità stessa della comunità familiare. Come abbiamo visto, l’inizio, l’atto che fonda la comunità familiare è questo meraviglioso e misterioso incontro fra il potere creativo di Dio e la capacità procreativa degli sposi. Cosa rompe questo legame? In che modo l’uomo e la donna possono opporsi a questo evento?

È la contraccezione che rompe questo legame ed è con la contraccezione che l’uomo e la donna impediscono a Dio di essere Creatore. In questo risiede la grave malizia intrinseca dell’atto contraccettivo e, precisamente per questo motivo, la contraccezione distrugge, innanzitutto, l’identità della famiglia, la sua verità più profonda.

Ma, attenzione: queste affermazioni non devono essere intese solo nel loro significato più ovvio ed immediato; è ovvio che la contraccezione impedisce la procreazione e, quindi, la crescita del la famiglia. Il problema è più profondo. Nell’atto contraccettivo l’uomo e la donna si arrogano un potere sulla sorgente della vita che compete solo a Dio Creatore.

In questo modo, l’uomo e la donna rompono quel legame, quel rapporto tra l’amore creativo di Dio e la comunità familiare, riducendo quest’ultima ad una semplice creazione dell’uomo. Come vedete, la contraccezione cambia completamente la stessa definizione di famiglia.

Ma c’è un fatto più grave moralmente della contraccezione stessa che distrugge l’identità della famiglia. Dio compie il suo atto creativo della persona umana, affidando il nuovo essere personale all’accoglienza degli sposi, in primo luogo della donna che lo ha concepito. Dio ha detto: È bello che tu esista! e ciascuno di noi è venuto all’esistenza in quel momento in cui Dio disse queste parole. Ma perché l’atto creativo di Dio possa compiersi interamente, anche un altro deve dire: È bello che tu esista! È l’esclamazione della donna che si accorge per la prima volta di aver concepito un uomo. E così, la nuova persona umana inizia la sua storia: entra nella famiglia umana: diviene uno di noi. Che cosa impedisce che accada questo avvenimento? È l’aborto. È questo l’atto che più di ogni altro distrugge la verità della famiglia: completamente. L’uomo è rifiutato proprio, precisamente nel momento in cui attende di essere accolto per sempre. È l’accoglienza dell’altro, nel suo originario momento, che è rifiutata. Penso che non esista e non possa esistere un atto che sia più distruttivo della identità della famiglia. Quando l’uomo non è sicuro neppure del seno della donna che lo ha concepito, non è più sicuro in nessun luogo: è la sorgente stessa della creazione che è inquinata. Solo Satana poteva in ventare un atto così profondamente contrario a tutta la creazione.

Da ultimo, ma non di minore importanza, l’identità della famiglia è distrutta quando essa rifiuta di essere quell’“uterus spiritualis” di cui parlava san Tommaso: quando rifiuta il suo compito educativo umano e cristiano.

Non ho nessuna autorità di dire ciò che sto per dire. Ma voi perdonerete la mia insipienza. I pastori hanno il grave dovere, in primo luogo, di difendere il diritto di Dio, nella sua santità e nella sua gloria. Dio si rivela come Dio, nella sua santità e nella sua gloria, quando crea l’uomo, in primo luogo. E dunque la famiglia è il primo tempio nel quale Dio santifica il suo Nome e rivela la sua gloria. È uno dei primi gravi doveri dei pastori di difendere la santità di questo tempio, di impedire la sua profanazione: di fare in modo che in esso Dio possa glorificare se stesso. Quando allora non siamo chiari nel magistero sulla contraccezione, sull’aborto, sul diritto della famiglia ad educare, permettiamo che il tempio di Dio sia profanato.

 

2. La missione della famiglia

 

Nella luce di tutto ciò che ho detto nella prima parte della mia conferenza, vorrei ora, nella seconda parte, riflettere sulla missione della famiglia.

Il concetto di missione è strettamente connesso con quello di identità. Anzi, è una delle caratteristiche più importanti di tutte le grandi figure dell’economia della salvezza di aver identificato se stessi con la loro missione (Geremia, Paolo...): la missione della famiglia è comprensibile solo nella luce della sua identità. Con una espressione sintetica, possiamo dire che la missione della famiglia consiste essenzialmente nel servizio alla vita della persona nel suo inizio e nella sua formazione. Con questa formulazione che descrive la missione della famiglia, noi abbiamo insistito soprattutto sull’oggetto di questa missione: l’oggetto di questa missione è la vita della persona, nel momento e nel tempo del suo formarsi. È la persona umana nel suo originario divenire. Dobbiamo ora penetrare in questo “oggetto” al fine di cogliere le sue dimensioni essenziali.

Possiamo partire da una domanda: in che cosa consiste la nascita di una persona umana, dal principio fino alla sua maturazione? È ovvio che noi non ci poniamo questa domanda da un punto di vista biologico, sociologico, fisiologico o altro, ma dal punto di vista di un’antropologia filosofica e teologica.

 

A) Iniziamo dal punto di vista di un’antropologia filosofica. Noi tutti conosciamo una famosa e difficile pagina di Platone che si legge nella Repubblica. In essa, il più grande di tutti i filosofi dice che esiste una perfetta proporzione fra il rapporto “sole-occhi” e il rapporto “idea del bene-spirito umano”: come il sole (la sua luce) rende visibili le cose all’occhio e permette così all’occhio di vedere, così l’idea del bene rende intelligibili le cose all’intelletto e permette così all’intelligenza di capire. Ho riflettuto a lungo su questa pagina e mi ha guidato alla risposta della nostra domanda. La persona umana, in quanto persona creata, è come percorsa da due forze interiori in apparente contrasto fra loro. Da una parte, la persona umana è un soggetto. Essa, cioè, esiste in se stessa (“sui juris”, dicevano i giuristi romani); è un “unum” che non può essere comunicato ad altri. Questa costituzione ontologica della persona è spiegata dal fatto che la persona è spirito e lo spirito non può non esistere che in questo modo: in se stesso.

Tuttavia, d’altra parte, se noi osserviamo attentamente i nostri dinamismi, le nostre facoltà spirituali, noi vediamo che esse tendono sempre verso un soggetto, qualcosa o qualcuno distinto dal soggetto. Il pensiero è sempre pensiero di qualcosa; la volontà è sempre volontà di qualcosa: pensando e volendo, il soggetto esce da se stesso. Nel soggetto si incrocia una forza centripeta e una forza centrifuga: nel loro equilibrio consiste la “buona riuscita” dell’esistenza di ogni persona umana. Essere presso di sé senza chiudersi in un vuoto soggettivismo, essere presso l’altro senza perdere se stesso: questo è il problema.

Analizziamo ora una delle più profonde esperienze umane: l’esperienza dell’amore. In che cosa consiste precisamente l’amore? quando possiamo dire con verità di amare un’altra persona umana? In primo luogo quando vogliamo il bene dell’altra persona non perché è il nostro bene, ma perché è il suo bene, in primo luogo il suo bene originario: il suo essere personale. Con questa volontà, noi siamo rapiti fuori di noi dalla bontà (ontologica), dalla bellezza (ontologica) dell’essere dell’altra persona. Questo rapimento, questa uscita da noi stessi perde noi stessi? o più profondamente: fa ritrovare noi stessi? nel volere l’altro, il bene dell’altro, colui che ama comprende che questa risposta — quella dell’amore — è l’unica risposta adeguata al valore della persona amata: è solo così che siamo nella verità più profonda di noi stessi. “Nel dono sincero di sé l’uomo ritrova se stesso“, insegna la Gaudium et Spes. La soluzione del problema sopra enunciato sta nella verità dell’amore: nel volere il bene di ogni cosa in modo adeguato al valore di ogni cosa (ordo bonorum: sant’Agostino), l’uomo esce da sé senza perdere se stesso.

Che cosa ha consentito, in ultima analisi, questo “esodo” da se stessi che ci fa entrare nella patria della nostra identità, della nostra verità? che cosa ha messo in moto questo cammino? che cosa ha dato inizio a questa visione delle cose come dotate di una loro dignità propria? L’occhio comincia a vedere quando sorge la luce; l’uomo comincia a capire se stesso e ogni altra cosa e persona quando “vede che ogni cosa è buona”. La luce del bene fa vedere questo.

Ritorniamo ora alla domanda da cui siamo partiti: in che cosa consiste la nascita della persona umana? Forse abbiamo trovato la risposta. La persona umana nasce, nel senso più vero del termine, quando “vede che ogni cosa è buona”: allora essa può amare. Ma come è possibile questa visione? Il primo altro, diverso da se stesso, che l’uomo conosce, col quale entra in rapporto, è la donna che lo concepisce. Se questa altra persona umana lo accoglie, gli dice “come è bello che tu esista”, la nuova persona umana entra nel mondo dell’essere come colui che è atteso, voluto, cioè amato.

Il suo io personale emerge in questa esperienza; diviene se stesso in questo abbraccio che traduce a lui in modo umano l’atto creativo di Dio. E questa esperienza poi si allarga alle altre persone. Comprendiamo, ora, forse tutta la profondità del servizio della famiglia alla vita della persona umana.

Posso ora tentare di esprimere sinteticamente questo servizio in questo modo. La missione prima e fondamentale della famiglia è quella di dare origine alla persona umana. Questa generazione della persona umana consiste nell’introdurre questa in quell’ordine dell’essere, in quell’universo dei valori nei quali essa potrà essere pienamente se stessa, nella verità dell’amore. In una parola: generare la persona umana significa introdurla nella verità dell’essere.

 

B) Dobbiamo ora rispondere alla stessa domanda dal punto di vista dell’antropologia teologica.

Da questo punto di vista, la persona umana nasce — nel senso più profondo del termine — quando giunge a quella completa realizzazione di sé progettata da Dio in Cristo. In una parola: essere nella “forma di Cristo”.

Come ho già detto, questa nascita consiste nel battesimo che è l’originaria configurazione a Cristo: la nuova nascita della persona umana. E in questa prospettiva, il servizio della famiglia, la sua missione, consiste nel chiedere alla Chiesa il battesimo, perché la nuova persona umana sia in Cristo.

Ma la nuova nascita in Cristo è solo un germe che deve essere sviluppato. La missione della famiglia è educazione alla maturità della vita cristiana della nuova persona umana.

Di questa maturazione i primi responsabili sono i genitori stessi: e questa responsabilità deve essere riconosciuta dalla Chiesa.

D’altra parte, tuttavia, la maturazione della vita in Cristo coincide con l’inserzione nella Chiesa, di cui sono responsabili i pastori. È nell’armonia di questi due ministeri che la nuova persona umana diviene interamente se stessa in Cristo.

 

Conclusioni

 

La nostra meditazione sull’identità e sulla missione della famiglia ci ha mostrato, spero, il “luogo” preciso che la comunità familiare occupa nell’economia della creazione e della redenzione. Potremmo dire che è il luogo dell’origine: l’origine dell’uomo in tutta la verità del suo essere personale, chiamato a vivere in Cristo.

Da ciò deriva una conseguenza di grande importanza: la Chiesa e, nella Chiesa, i pastori in modo particolare, devono avere una cura particolare della famiglia. Perché? Perché in essa e da essa nasce l’uomo; perché in essa e da essa nasce, in un certo senso, la Chiesa stessa.

Ora, la culla della persona umana merita un rispetto, una riverenza assoluta. Infatti, l’uomo è la creatura più preziosa che esista: colui in vista del quale tutto l’universo visibile è stato creato. Ma soprattutto: è Dio stesso che crea e salva ogni persona umana. La cura per la famiglia è la prima e fondamentale espressione della cura della Chiesa per l’uomo. Ma che cosa significa “avere cura della famiglia”? Difenderla e promuoverla. Difenderla nella sua identità, nella sua verità umana e cristiana; promuoverla nella sua missione di servizio alla vita della persona umana. I destini dell’umanità dipendono in grande parte dalla cura che la Chiesa avrà nei prossimi anni della famiglia.