LA FIGURA DEL SACERDOTE IN GUARESCHI
Madonna dei Prati
19 maggio 2001
Penso che la più bella pagina scritta da Guareschi sia quella con cui si chiude Don Camillo [cito ed. 1984, pag. 356]. Leggo i due passi più significativi di quella pagina.
"Uscendo, Peppone si ritrovò nella cupa notte padana, ma ormai era tranquillissimo perché sentiva ancora nel cavo della mano il tepore del Bambinello rosa.
Poi udì risuonare all’orecchio le parole della poesia, che ormai sapeva a memoria.
"Quando, la sera della vigilia, me la dirà sarà una cosa magnifica!" si rallegrò. "Anche quando comanderà la democrazia proletaria, le poesie bisognerà lasciarle stare. Anzi, renderle obbligatorie!".
E fra mille anni la gente correrà a seimila chilometri l’ora su macchine a razzo superatomico e per far cosa? Per arrivare in fondo all’anno e rimanere a bocca aperta davanti allo stesso Bambinello di gesso che, una di queste sere, il compagno Peppone ha ripitturato col pennellino.
Leggendo queste righe, mi sono ricordato di un’altra pagina altissima delle nostra letteratura, una pagina di Pirandello, che pure descrive una notte nella quale un altro uomo resta stupito. Trattasi di una novella di struggente bellezza: Ciaula scopre la luna. La vicenda è nota: Ciaula è più un animale che un uomo, costretto come è a lavorare sempre, spesso anche di notte, nella miniera. Ma una notte, distrutto dalla fatica, era appena sbucato dal buio della miniera: "Restò - appena sbucato all’aperto - sbalordito. Il carico gli cadde dalle spalle… Grande, placida, come in un fresco, luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna… Estatico cadde a sedere sul suo carico… E Ciaula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva… per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore" [Novelle per un anno, volume secondo - tomo I, Mondadori ed. Milano 1996, pag. 463-464].
Ho confrontato due personaggi: Peppone e Ciaula. Che cosa li differenzia? Un fatto, il fatto che Peppone sente nella sua mano "il tepore del Bambinello rosa". Ed è per quel tepore che la "cupa notte padana" si riempie di una presenza che ti fa "rimanere a bocca aperta". Anche Ciaula si trova dentro la notte, una notte che è sì illuminata dalla luna, ma che lo riempie di stupore senza saperne il perché.
Non so se sbaglio nel capire Guareschi, ma quella pagina di Don Camillo è stata sempre in me la chiave interpretativa di tutta la sua opera, ed in particolare della figura del sacerdote.
1. E’ un tepore che Peppone sente nelle sue mani. Le mani sono il lavoro dell’uomo; sono la fatica del vivere quotidiano; sono anche [e ciò succedeva abbastanza spesso a Peppone] ciò di cui ci si serve … per prendere a pugni una persona: il segno della forza dell’uomo. Peppone sente la presenza di Dio "nelle sue mani", non al di fuori di esse, come ama dire un certo pseudo-spiritualismo sedicente cristiano. E’ nelle mani dell’uomo che deve collocarsi la presenza di Dio: dentro alla fatica quotidiana del vivere. Perché il cristianesimo non è un "dopo-lavoro", un "optional": è la stessa vita umana redenta da Cristo e in Cristo. E’ la redenzione dell’amore fra l’uomo e la donna; è la redenzione del lavoro umano; è la redenzione, soprattutto, della nostra morte.
Come fa don Camillo a far capire, a far sentire a Peppone il Mistero dell’Incarnazione di Dio [e di questo che si tratta!]? e qui comincia a stagliarsi la figura del sacerdote. Nel modo più semplice: facendosi aiutare a preparare il Presepio. Il Presepio è stata una delle più geniali invenzioni del cristianesimo scoperta da Francesco d’Assisi, perché è una sintesi perfetta della logica cristiana, del modo cristiano di vedere la vita. La proposta cristiana è in primo luogo la narrazione di un fatto i cui protagonisti sono Dio e l’uomo: il Presepio ti mette davanti agli occhi questo fatto [cfr. 1Gv 1,1-4]. In un momento difficile Peppone dirà a don Camillo: "voi non siete un prete clericale". Ecco la prima dimensione di questa figura, del prete di Guareschi. Il suo essere capace di far sentire la presenza di Dio, il tepore della presenza di Dio nelle mani dell’uomo. Al contrario di chi fa una proposta cristiana che sembra non avere nessuna attinenza colla vita di ogni giorno. Don Camillo è un prete non clericale.
Prima di procedere oltre, vorrei solo richiamare due conseguenze che accadono nell’uomo Peppone quando incontra il Mistero attraverso un "prete non clericale".
La prima è un senso di liberazione dalla paura che uno ha dell’altro [cfr. don Camillo, ed. cit. pag. 354: "ognuno ha paura dell’altro, e ognuno quando parla è come se sentisse di doversi sempre difendere"]: il sentirsi come in galera. Perché c’è sempre una porta per scappare da ogni galera di questa terra: "Peppone lo [= il Bambino] guardò … E dimenticò la galera" [ibid. pag. 355].
La seconda è la scoperta della poesia, della necessità della poesia. Cioè l’uomo diventa capace di vedere la realtà nel modo giusto: non come qualcosa da utilizzare, ma prima di tutto da contemplare e godere.
2. La prima dimensione del sacerdote , quella di essere il testimone di un fatto che accade nelle mani dell’uomo, si completa nella seconda, assai legata alla precedente. Leggiamo assieme una pagina [pag. 95].
"Don Camillo fu avvertito subito la mattina presto e corse a Campolungo in bicicletta. Trovò tutti i Verola riuniti in un campo, in fila, che guardavano per terra muti come sassi e a braccia conserte. Don Camillo si fece avanti e rimase senza fiato: mezzo filare di viti era stato tagliato al piede e i tralci abbandonati fra l’erba parevano bisce nere; e su un olmo c’era inchiodato un cartello "Primo avviso".
A un contadino tagliategli magari una gamba piuttosto che tagliargli una vite: gli fate meno male. Don Camillo ritornò a casa atterrito come se avesse visto mezzo filare di assassinati.
"Gesù", disse al Cristo "qui non c’è che una cosa: trovarli e impiccarli".
Questa pagina dimostra l’amore che don Camillo ha per la terra, le viti e il frumento, le bestie della stalla e il loro latte. In una parola: tutto ciò di cui è costruita la creazione al servizio dell’uomo. A leggere queste pagine di Guareschi non si può non pensare ad un altro vertice della letteratura del XX secolo, Ch Peguy: il grande poeta di quel che "egli stesso chiamava la "meccanica" dell’eterno che entra nel temporale, quella meccanica che rivela che "Dio non è un teorema impersonale smarrito nei ghiacciai dell’assoluto", bensì fecondità, paternità, familiarità. Un Dio a cui si dà del "voi" e che si avverte dentro ogni evento, familiare con tutti, toccabile in tutto" [D. Rondoni, in Ch. Peguy, Lui è qui. Pagine scelte, BUR ed., Milano 1997, pag. 8]. Don Camillo va a mungere le mucche durante lo sciopero, assieme a Peppone.
Da questa posizione del prete di fronte al reale, al reale fatto di ogni cosa che ogni giorno incontri, derivano alcune conseguenze sulle quali non voglio attardarmi, ma che meritano di essere richiamate.
La prima è il senso profondo che il prete ha del tempo, dello scorrere del tempo nella vita dell’uomo. Lo scopriamo quando anche il Municipio vuole il suo orologio e quando Peppone vuole fare scioperare anche l’orologio della parrocchia. Ciò che il sacerdote non ammette è che l’uomo perda il senso dello scorrere della vita.
La seconda conseguenza è l’importanza della "politica". Essa nel suo significato profondo viene intesa come la cura di costruire per l’uomo una dimora terrena, in questa vita, che sia degna. E’ perché l’uomo capisce che questa è la politica, alla fine i due, don Camillo e Peppone, si ritrovano assieme: nel rispetto dell’uomo. Anche quando questo esige che si esponga la bandiera dei Savoia e si suoni la marcia reale, perché questa era la volontà di un morto.
Testimone di un fatto che fa sentire il tepore di Dio nelle mani dell’uomo, il sacerdote capisce la positività del reale. La critica che Guareschi fece già quarant’anni fa della "cultura che ti rovina la vita e la morte" è una profezia del vacuo nichilismo attuale.
3. La terza dimensione essenziale della figura del prete è la più difficile, in un certo senso, da cogliere. Essa è espressa dal continuo dialogare di don Camillo con Cristo. E’ forse l’aspetto più difficile da decifrare. Ne era consapevole Guareschi stesso che nella prefazione, per chiamarla così, al Don Camillo scrive: "Ma se qualcuno si sente offeso per via dei discorsi del Cristo, niente da fare; perché chi parla nelle mie storie, non è il Cristo, ma il mio Cristo: cioè la voce della mia coscienza. Roba mia personale, affari interni miei. Quindi: ognuno per sé e Dio per tutti" [ed. cit. pag. 29].
Il dialogo di don Camillo col Cristo esprime dunque in primo luogo la volontà, il desiderio del sacerdote di capire la verità ultima degli avvenimenti, di tutti gli avvenimenti: quelli giudicati piccoli [la malattia del bambino di Peppone], e quelli giudicati grandi [le elezioni politiche]. Don Camillo vuole capire il significato ultimo della vita e per questo ne parla col Cristo. Ed infatti in queste conversazioni risuonano tutte le vibrazioni del cuore di un sacerdote: la difesa del suo popolo di fronte al Signore ed anche la richiesta che Questi lo tratti con mano dura perché si converta, lo scoraggiamento di chi gli sembra di predicare invano e la gioia della scelta fatta di essere sacerdote.
Ma forse il significato più profondo lo scopriamo nella pagina di grande suggestione teologica e letteraria, dove si racconta la ripresa del suo Crocifisso per portarlo in montagna [cfr. Don Camillo e il suo gregge, BUR ed, Milano 1998, pag. 234-235]. La descrizione che Guareschi fa della salita a Monterana è scritta sullo sfondo della Via Crucis cristiana. Don Camillo rivive la sua Via Crucis, e da quel momento Cristo ricomincia a parlare, si interrompe il silenzio. Costretto per punizione a vivere in grande solitudine, egli ritrova nella comunione col Cristo la forza di riprendere. Ed un particlare significativo: "E, pur non avendo sulle spalle la croce, aveva partecipato a quell’immane fatica come se il peso fosse stato anche sulle sue [= di Peppone] spalle". Il sacerdote in questa condivisione della Via Crucis porta con sé anche gli altri.
Conclusione
Vorrei concludere con una riflessione fatta da Don Camillo [cfr. ibid. pag. 255]: "A me basta sempre quello che Dio mi concede. Se Dio mi porge il dito non gli afferro la mano … Però qualche volta vorrei afferrargliela". È la sintesi della sapienza cristiana ed umana: sapere che non si è mai soli ed essere contenti di questa compagnia che Dio dona sempre alla sua creatura … senza volergli afferrare noi la sua mano, ma lasciando che sia la sua mano ed afferrare la nostra.
In questa prospettiva l’universo di Guareschi è completo. Ciò che affascina così profondamente il lettore delle sue pagine è che il prete don Camillo, il sindaco Peppone e tutti gli altri personaggi vivono la loro piccola-grande giornata dentro ad un legame con un significato, direi con un Mistero che non è un orizzonte sfuggente, ma una Presenza. Ogni cosa della Bassa ne è il segno: lo scorrere del tempo, la grande luna d’agosto, il grande fiume "anch’esso una poesia: una poesia cominciata quando era cominciato il mondo e che ancora continuava".
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