Presentazione del libro di L. Giussani Porta la speranza. Primi scritti, Genova
1997
Milano 6 maggio 1998
S. Roberto Bellarmino scrive che, viste dal fondo-valle, le montagne
sembrano straordinariamente grandi e le stelle straordinariamente piccole.
Se però potessimo collocarci nell’alto del firmamento, le stelle
ci sembrerebbero straordinariamente grandi e le montagne, anche le più
alte, così piccole da essere quasi invisibili. Questione di punti
di vista? Si chiede il grande teologo. Questione di punti di vista, affermano
senz’altro i nichilisti contemporanei. Il cristianesimo afferma che l’uomo
è venuto a conoscenza del “punto di vista” di Dio e che per tanto
questo punto di vista è l’unico vero, l’unico cioè che ci
fa vedere la realtà così come essa è. Come Dio ci
ha fatto conoscere il suo punto di vista e quindi l’unico punto di vista
per l’uomo? in un modo sconvolgente: facendosi Lui stesso uomo, incarnandosi.
Questo è stato, semplicemente, puramente, il carisma fondazionale
di Mons. Giussani: averci ricordato che esiste un solo “punto di vista”
vero per sapere il valore di ogni realtà, Gesù Cristo Verbo
incarnato. “Noi mettiamo al centro della nostra vita questa Presenza che
spiega tutto, che è all’origine di tutto quello che siamo e facciamo,
dentro alla nostra autocoscienza e il nostro agire. E questa Presenza è
proprio l’uomo Gesù, nato da donna”. (Intervento a La Thuile, 17
agosto 1997). Lo stupore che suscita questa scoperta è che ad essa
tutto è ricondotto, in essa tutto è spiegato, sopra di essa
tutto è costruito: gaudium de veritate (Agostino). Il libro che
oggi presentiamo è suggestivo proprio perché mostra questa
esperienza-intuizione al suo nascere: essa c’è già intera.
Gli anni successivi non faranno che sviluppare coerentemente questo germe.
Scrive: “Ricorda che tutto è gloria di Dio, tutto è fatto
per un contesto ultimo, per un disegno ultimo, di cui tu sei parte, in
cui tu sei innestato, in cui tu sei assimilato …E’ la coscienza di questo
contesto ultimo, che Gesù Cristo è venuto a portare …Questo
è il Vangelo: annuncio buono che la vita ha un significato, un destino
grande, un contesto più grande che mi valorizza. Questo è
venuto a portare Gesù Cristo” (pag. 186).
Oggi noi scopriamo più chiaramente come questo carisma
fondazionale, come ogni carisma fondazionale, sia stato dato alla Chiesa,
per la salvezza dell’uomo. A questa testimonianza data all’«unico
punto di vista vero«, al «contesto più grande che valorizza»
si oppone precisamente l’affermazione nichilista che oggi sta sempre più
devastandoci: quel punto di vista non esiste, perché semplicemente
non esiste nessun punto di vista che possa farci capire montagne e stelle,
nessun “punto archimedeo facendo leva sul quale potremmo di nuovo dare
un nome all’intero”. (F. Volpi, Il nichilismo, ed. Laterza, Bari 1996,
pag. 117). Siamo costretti a fare e a disfare sempre la stessa tela, poiché
abbiamo perduto il diritto di sperare il ritorno di una Presenza. La risposta
che Mons. Giussani dà a questa sfida, e che già si trova
embrionalmente in Porta la speranza, è mirabile.
La rinuncia all’«unico punto di vista» in realtà
è una rinuncia che l’uomo fa a se stesso: “chi lo nega è
perché rinnega qualche cosa della sua vita” (pag. 186) In che senso?
C’è un testo di Tommaso in singolare sintonia con ciò che
stiamo dicendo. Scrive Tommaso: “Esiste anche un’altra ragione (per cui
è conveniente che esista una Rivelazione), la sconfitta della presunzione,
madre dell’errore. Vi sono infatti persone che presumono talmente della
loro intelligenza, da pensare di poter misurare tutte le cose colla loro
ragione (ut totam rerum naturam se reputent suo intellectu posse metiri):
ritengono cioè che sia vero tutto ciò che a loro sembra tale
e falso ciò che a loro sembra tale” (SCG I, cap. V,31). Ciò
che decide il destino di una persona è il suo modo di rapportarsi
all’essere, è la sua attitudine (intentio, direbbe Tommaso) verso
la realtà. Essa può essere una delle due: o la ragione umana
è misura dell’essere o l’essere è misura della ragione; o
l’essere si riduce esaustivamente alla coscienza dell’essere o l’essere
è la luce intelligibile (“piena d’amore”) che risveglia la coscienza.
Questa è l’unica vera alternativa su cui si decide il destino umano.
Se ci si colloca nella prima, inevitabilmente si opta per un punto di vista
limitante, esclusivo ed escludente, non ecumenico: non vedrai tutta la
realtà. Se ci si colloca nella seconda, si rimane nell’unico punto
di vista illimitante, omnicomprensivo, ecumenico. “Si opta” – “si rimane”:
nel primo caso infatti trattasi si una decisione che va contro al desiderio
costitutivo dell’umano, si esce dalla propria dimora, dalla dimora dell’essere;
nel secondo caso la ragione è semplicemente se stessa, fedele a
se stessa fino in fondo, resta nella sua dimora.
Esiste una reciproca inabitazione della ratio nel desiderium
e del desiderium nella ratio, nella quale si costruisce tutta la
vicenda umana come spiega Tommaso in 1,2, q.3, a.8. In questo articolo,
Tommaso descrive e pensa la vita della persona creata come vita che scaturisce
tutta da un desiderio che non si acquieta fino a quando “restat sibi aliquid
desiderandum et quaerendum”. E’ questo desiderio che suscita la inquisitio,
la quale non “quiescit, quousque perveniat ad cognoscendum essentiam causae”.
Cioè: fino a quando non scopre l’intera intelligibilità del
reale.
L’intuizione centrale del carisma di Mons. Giussani è che nell’incontro
col Verbo, ragione di tutto ciò che è, reso possibile dalla
sua umana carne, l’uomo possiede in speranza, questa chiave interpretativa
dell’intero. “Perciò è nell’educazione alla speranza che
si penetra l’esperienza della Redenzione” (pag. 162). In fondo solo l’uomo
che non ha limitato la misura del suo desiderio, può incontrare
Cristo ed in Lui ogni realtà: conosciuta nella sua verità,
amata secondo la misura della sua bontà, gustata secondo lo splendore
della sua bellezza. Il Verbo incarnato è l’unico punto di vista
vero, perché è l’unico punto di vista che non esclude nulla
di tutto ciò che esiste: “tutto è stato fatto per mezzo
di Lui e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che
esiste (Gv 1,3). In fondo, la testimonianza profetica di Mons. Giussani
ha posto la domanda suprema, l’unica, vera sfida ultima all’incosciente
e gaio nichilismo contemporaneo: l’uomo non vuole in realtà un di
più di potenza, ma un’intera realizzazione del suo essere; non un
incremento incessante di possibilità, ma “essere atto di tutto l’esistere
consentito dalla propria essenza” (F. Balbo, cfr. V. Possenti, Il nichilismo
teoretico e la “morte della metafisica”, Armando ed. Roma 1996, pag. 133).
Dunque: affermazione dell’«unico punto di vista» che è
Cristo ed affermazione di tutto l’umano si tengono per mano. Simul stant;
simul cadunt.
Da ciò derivano le caratteristiche più peculiari
di questa proposta. Il tempo a mia disposizione mi consente solo di enunciarle.
E’ un carisma che pone l’atto educativo al centro della sua proposta:
educare significa precisamente introdurre nell’intera realtà, offrendo
un’ipotesi interpretativa dell’intero. E in questa prospettiva si vede
l’inconsistenza di una “neutralità educativa”.
E’ un carisma a cui la dimensione ecumenica-missionaria è
congeniale: “nihil humani a me alienum puto”, acquista ora un significato,
uno spessore assolutamente nuovo.
E’ un carisma che pone la cultura come necessaria espressione
della fede: la fede configura l’intero umano, esprimendolo nello splendore
della sua verità.
“E’ un errore ritenere che l’uomo abbia ancora un contenuto o
debba averne uno … non esiste anzi più affatto l’uomo , esistono
ancora solo i suoi sintomi (G. Benn, Lo smalto del nulla, Adelphi, Milano
1992, pag. 264; cit. da V. Possenti, Il nichilismo teoretico …cit.). Questo
è l’esito finale di un processo che ha rinunciato all’unico punto
di vista vero.
Un vero profeta ci ha richiamato alla memoria l’unico Avvenimento
che rendendosi presente nell’esistenza dell’uomo, non solo gli impedisce
di ridurre l’uomo ad un sintomo di qualcosa che non esiste più,
ma gli dona la pienezza della vita.
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