INCONTRO FISM
2 settembre 1996
Vi sono grato dell’occasione che mi date di incontrare tutti voi che
siete impegnati nell’ambito della scuola materna, e dunque nell’educazione
dei bambini. Una gratitudine che nasce dalla consapevolezza e all’importanza
della vostra missione, che vi fa grandi davanti a Dio e agli uomini, e
che nasce dalle difficoltà in cui spesso siete chiamati a lavorare.
Consentitemi dunque di intrattenermi brevemente con voi attorno a questi
due punti, la grandezza della vostra missione, perché cresca sempre
più la nostra stima verso essa e la difficoltà che incontrate
nel compimento di quella, perché possiamo aiutarci nel superarle
nel modo migliore.
1. GRANDEZZA DELLA MISSIONE EDUCATIVA
Educare una persona umana è l’atto più grande che possa
compiersi, semplicemente perché nell’universo non esiste nulla di
più prezioso di una persona umana e l’intero universo vale meno
anche di una sola persona umana.
Ma la persona umana che voi educate non è una persona qualsiasi:
è la persona umana - bambino. Oserei dire che nessun momento del
processo educativo è altrettanto “rischioso” quanto quello che voi
realizzate. Perché? Vorrei precisamente dire qualcosa su questo.
Il punto di partenza di ogni discorso sul bambino è una verità
tanto ovvia quanto spesso praticamente dimenticata. Il bambino non è
una persona che diventerà adulto; è semplicemente una persona
umana che vive in modo proprio ed originale il Mistero dell’essere, in
cui egli - come ogni persona umana - dimora. Dimenticare questo, può
comportare lo “sbaglio di prospettiva educativa”: educare non il bambino
a vivere secondo la sua dignità la vita, ma educarla solo in vista
del suo futuro di adulto. Ho detto, dunque, che è “una persona umana”,
e che è una persona umana che “vive originalmente il Mistero dell’essere”
.
E’ una persona umana. E’ stato uno dei più grandi doni, una
vera perla, che ci è stato fatto dalla Rivelazione cristiana: l’affermazione
che anche il bambino, come tale, è una persona umana. Su questo
il comportamento di Gesù , in contrasto colla cultura del suo tempo,
andò decisamente contro corrente: “ad essi appartiene il Regno dei
cieli”. Memore di questo comportamento e di questo insegnamento, anche
la Chiesa non venne mai meno nell’affermazione dell’infinita dignità
della persona del bambino. Ne è prova inequivocabile che Essa non
ha mai escluso il bambino dal possesso dei suoi (della Chiesa) tesori più
preziosi: i sacramenti e la dottrina rivelata. Perché, vi chiederete,
insistere tanto sulla dignità della persona del bambino, quando
ormai la consapevolezza di essa appartiene al patrimonio culturale definitivamente
acquisito dall’Occidente? Per una ragione semplice, ma drammatica: vedo
segni sempre più evidenti dell’oscurarsi di quella consapevolezza.
Devo essere breve e mi limito a qualche accenno.
Il bambino, in quanto persona umana, è soggetto di diritti infrangibili,
inviolabili ed incapace di difenderli a causa della sua naturale debolezza,
deve essere custodito con particolare cura. Fra questi diritti, i più
importanti sono quelli che configurano i rapporti famigliari. Ora consentitemi
di richiamare al riguardo la vostra attenzione su alcuni fatti. Si va introducendo
sempre più l’idea che il figlio è un elemento, un momento
del progetto di felicità individuale a cui l’adulto oggi pensa di
avere diritto: non merita di essere voluto in sé e per sé,
come ogni persona. E’ considerato in rapporto ai miei progetti . Dunque:
o una difficoltà alla mia realizzazione ed allora è rifiutato;
o ciò di cui ho bisogno per la mia felicità, ed allora è
voluto “ad ogni costo”. Il sempre più frequente rimando della prima
paternità-maternità; una razionalizzazione/controllo della
fertilità coniugale puramente strumentale; il ricorso alla fecondazione
artificiale nelle forme e modi più irragionevoli, sono i segni che
sta crollando l’evidenza che il bambino è una persona e che quindi
“non serve” a niente e a nessuno. La persona, ogni persona, merita ed esige
di essere voluta in se stessa e per se stessa.
Un altro segno sul quale vorrei attirare la vostra attenzione è
la scarsa, non rare volte, pressoché nulla attenzione che si ha
del bambino nella soluzione delle crisi coniugali: è posto veramente
al centro della questione? La prima preoccupazione è quella di aiutare
il bambino, la parte paradossalmente la più lesa e la più
innocente, oppure di assicurare la propria individuale felicità?
Ma non ho più spazio e tempo per proseguire in questa analisi.
E’ una persona umana che vive originariamente il Mistero dell’Essere.
Tutti voi sapete ben più di me che nel bambino dai tre anni in su,
esistono grandi capacità di apprendimento. Egli infatti formula
il pensiero, costituisce le prime amicizie, non vede più nell’adulto
solamente colui al quale può ricorrere perché ne ha bisogno,
ma anche qualcuno di distinto da sé. Ma l’originalità dell’approccio
dell’essere è solo questo? Non è solo né principalmente
questo. L’originalità mi sembra la seguente: il bambino è
colui che si pone per la prima volta quella “domanda” sul significato dell’Essere,
che poi si porterà sempre nel cuore. Mi spiego.
S. Tommaso d’Aquino insegna continuamente che il primo atto del nostro
spirito, il suo primo risveglio per così dire, è costituito
da ciò che egli chiama “apprehensio entis”. Cioè: è
l’intuizione della realtà, dell’essere di ciò che è.
Il primo atto dello spirito non è una domanda, ma una constatazione.
Questo risveglio suscita nella persona un profondo stupore che genera la
domanda radicale: quale è il “senso” di tutto questo? La domanda
sul senso è domanda se il reale abbia un significato (domanda
se esista una verità) ed è domanda se il reale meriti di
essere voluto o rifiutato (domanda se esserci è bene o male): il
bambino è colui che pone per la prima volta la domanda metafisica
e la domanda etica. La risposta che riceverà marcherà, segnerà
per sempre tutta la sua vicenda esistenziale sia che egli la custodisca
sia che egli poi la rifiuti: su questo Agostino, narrando la sua storia
interiore, ha scritto pagine meritatamente famose.
Ma non è sufficiente neppure questo per capire l’approccio originale
del bambino al Mistero dell’essere: l’originalità più sconcertante
è nel modo con cui il bambino pone la domanda. Egli non la pone
principalmente in modo verbale: la pone, ponendo semplicemente se stesso.
Sto descrivendo uno degli avvenimenti più suggestivi che accadono
nella nostra povera storia. In fondo, ponendo se stesso di fronte all’altro,
il bambino attende che gli si dica, come è visto (problema della
verità) e come è accolto (problema del bene): egli attende
semplicemente di sapere e sentire se è il ben-venuto oppure se non
è il benvenuto. In questo egli interpreterà il significato,
vedrà il volto del Mistero dell’essere, Egli saprà se il
Volto è l’Amore o è il Rifiuto. E l’ingresso nella realtà
sarà ben diverso!
A chi pone la domanda metafisica e la domanda etica, colla semplice
posizione di se stesso? A coloro che noi precisamente chiamiamo gli educatori.
Come si dona al bambino la risposta? Precisamente con quel processo che
si chiama educazione. L’educazione non è nient’altro che questa
introduzione del bambino nella realtà: questa è la grandezza
sublime della vostra missione. Nasce in senso interamente vero la persona
ed è l’atto educativo a generarla.
2. ATTUALI DIFFICOLTA’
In questo secondo punto vorrei ora riflettere sulle difficoltà
che oggi la vostra missione educativa incontra: per aiutarci a superarle.
Non parlo delle difficoltà strutturali dell’atto educativo, quelle
così inerenti all’attività educativa come tale. Voglio parlare
di alcune difficoltà congiunturali, legate cioè al
contesto storico attuale in cui voi state lavorando. La scarsità
del tempo a disposizione mi costringe ad attirare la vostra attenzione
solo su due di esse: sono fra le più gravi, certo, ma non sono le
uniche, purtroppo è il caso di dire.
La prima. Consentitemi di partire, nel descrivere questa prima difficoltà,
da un testo del più grande (penso io) diagnostico del nostro tempo,
F. Nietzsche.
“L’uomo moderno crede sperimentalmente ora a questo, ora a quel valore,
per poi lasciarlo cadere; il circolo dei valori superati e lasciati cadere
è sempre più vasto; si avverte sempre più il vuoto
e la povertà dei valori; il movimento è inarrestabile” (Frammenti
postumi; cit. in G. Reale, Saggezza antica. Terapia per i mali dell’uomo
d’oggi, Milano 1995, pag. 1).
Attraverso un processo storico assai complesso, che non è ora
il caso di ripercorrere neppure celermente, siamo giunti ad una concezione
della persona umana sostanzialmente e gravemente lacunosa. Quale? Quella
secondo la quale, (a) si assume la libertà, il concetto di libertà,
come la dimensione prima ed originaria della persona umana, come ciò
che costituisce la persona umana stessa; (b) si riduce la persona umana
a soggetto utilitario, mosso cioè solo da interessi, desideri e
passioni, al cui servizio esclusivo è posta la ragione.
Ora, per quale logica interna partendo da questa concezione della persona
umana si arriva necessariamente alla situazione descritta da Nietzsche?
Oppure, perché l’unica “cultura” dell’uomo sopra definito, non può
essere che il “vuoto” di significato? Per due ragioni almeno. Se la libertà
è il primum (prima di essa non esiste nulla), se quindi la nostra
volontà non è naturalmente orientata, tesa, inclinata verso
un fine, un bene normativo e trascendente l’uomo stesso, questo uomo non
può accettare nessuna morale: è radicalmente alieno da ogni
proposta di vero e di bene. E’ la prima ragione. La seconda è questa.
Se l’uomo è mosso nel suo agire solo dal proprio interesse, niente
ha in sé un valore, ma solo come “strumento” per il proprio interesse
individuale. Qualsiasi proposta gli può essere utile; ma ogni proposta
gli è estranea.
Questa è la situazione in cui viviamo oggi. Essa può
avere un riflesso devastante nella relazione educativa, già fin
dai primi anni. Delle due l’una, infatti. O si accetta questa visione sull’uomo
o la si rifiuta. Se viene accettata, l’educazione avrà l’effetto
di “generare” degli egoisti-conformisti. Degli egoisti, poiché l’educatore
si dovrà astenere dall’aiutare il bambino ad elaborare, a vivere
una visione della realtà in grado di “guidare” i suoi interessi
individuali, infatti, una tale visione è semplicemente impossibile
ed è sempre illusoria. Dunque, in linea di principio, ogni desiderio,
ogni passione deve - può essere soddisfatta. In questo senso, parlavo
di personalità egoiste. D’altra parte, è ovvio che si dovrà
educare il bambino al “rispetto delle regole”, poiché ciascuno ha
diritto a raggiungere il soddisfacimento dei propri desideri. Ma su quale
base giustificare queste regole? O sarà ancora una giustificazione
utilitaristica: è utile che tutti ci imponiamo dei limiti; oppure
sarà giustificata sulla forza. In questo senso parlavo di “personalità
conformiste”.
Se invece, come deve, un educatore rifiuta questa visione, egli deve
porsi spesso in un isolamento, anche nei confronti della famiglia, che
rende estremamente difficoltoso il suo impegno educativo.
La seconda difficoltà è costituita dalla profonda crisi
che ha investito oggi la famiglia, che è e deve essere il
soggetto educativo primo. La perdita della consapevolezza che esiste una
connessione fra sessualità, matrimonio e dono della vita e la progressiva
affermazione di ciascuna di queste tre grandezze, separatamente dalle altre,
ha non di rado oscurato la visione della prioritaria destinazione educativa
del matrimonio. Da ciò può conseguire, e così di fatto
spesso accade, la tendenza a “scaricare” l’impegno educativo su altre istituzioni.
Queste sono viste non più come un “aiuto”, ma come veri e propri
“delegati”, resi tali da deleghe sempre più ampie. A ciò
si aggiungano altri fatti, sui quali altri più competenti di me
hanno richiamato l’attenzione in questi giorni: la tele-dipendenza crescente
dei bambini; il tempo sempre minore che i genitori dedicano ai bambini.
Tutti questi fatti, ed altri ancora che ora non voglio ricordare, hanno
spesso spento la forza educativa della famiglia.
A ciò si deve poi aggiungere che è sempre più
elevato il numero di bambini figli di matrimoni falliti.
Di fronte a questa situazione, l’impegno educativo diventa obiettivamente
difficile. E’ certo che ci troviamo di fronte ad una “situazione” così
devastante dal punto di vista educativo, che bisogna essere veramente stolti
per non capire che è necessario un cambiamento radicale. In quale
linea muoversi per compiere questo cambiamento? La linea dipende da un
fatto semplicissimo, ma assai profondo. Lo spiego con un esempio (che ho
desunto da uno studio recente: cfr. R. Arduini, La famiglia e lo Stato,
in Fogli, itinerari mensili di costume, 203/4, pag. 22-23). La trama dei
Promessi Sposi è come è, perché ci sono dei modi di
pensare, di vivere, di scegliere essenzialmente diversi fra loro, che sono
differenti secondo i vari personaggi che compaiono nella trama del romanzo.
I concreti modi di agire dipendono proprio da tali valori agiti. Se al
posto di don Rodrigo ci fosse stato uno come don Abbondio, l’intera vicenda
sarebbe stata diversa.
Questo esempio ci fa capire una verità, come dicevo, semplicissima,
ma assai importante: la realtà diciamo fenomenica che vediamo agitarsi
alla superficie, trova la sua spiegazione in quell’insieme di opzioni radicali
o valori, che guidano concretamente l’agire degli uomini.
Se tutto questo vi convince, allora capirete che noi usciremo o non
usciremo da questa “insopportabile” situazione educativa, a seconda del
modo con cui noi risponderemo a tre domande:
- a chi deve essere affidata in via prioritaria, l’educazione del bambino,
alla famiglia o allo Stato?
- quale è il compito che lo Stato deve assumersi nei confronti
della famiglia che, per varie ragioni, non è in grado di svolgere
il suo compito educativo? sostituirsi o aiutare chi si pone al servizio
della famiglia?
- dove devono essere concentrati gli sforzi per risolvere i gravi problemi
del nostro paese, nel sostegno economico ed educativo delle famiglie oppure
nell’ampliamento delle risorse da affidare alla gestione discrezionale
dello Stato?
Voi esistete, perché avete risposto in un modo ben chiaro a
queste domande, spesso in controcorrente.
CONCLUSIONE
Il bambino è un “segno di contraddizione”: esso svela i “pensieri
del cuore” di ciascuno di noi. L’attitudine di una società verso
di lui è uno dei principali tests del grado di cultura raggiunto.
Perché? Perché egli è l’essere più ... inutile
che esiste. Col suo esserci, egli contesta ogni riduzione del vero e del
bene all’utile e ti aiuta a volere (amare) la persona umana semplicemente
in se stessa e per se stessa.
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