San Donnino martire
Cattedrale di Fidenza, 9 ottobre 2016
Eccellenza venerata e carissima, Signor Sindaco di questa nobile città di Fidenza, Illustri Autorità civili e militari, considero atto di squisita fraternità da parte del Vescovo e dono del Signore celebrare la Santa Eucarestia in onore del Santo Martire Donnino, in questa stupenda cattedrale, delizia degli occhi di ogni fidentino.
La memoria solenne dei martiri è una necessità per ogni vera coscienza cristiana, e la Parola di Dio or ora proclamata ci dice le ragioni profonde della venerazione dei martiri.
1. Chiediamoci: il martire dove trova la ragione del suo martirio? Dove è fondata la sua decisione di perdere la propria vita? La pagina evangelica appena proclamata risponde: si fonda sulla morte di Gesù, sul suo supremo sacrificio offerto sulla Croce perché ricevessimo la vita [Cfr. Giov.10,10].
Egli esorta i suoi discepoli, ciascuno di noi, a fare altrettanto: a seguirlo sulla via dell’amore totale a Dio e agli uomini. Cari fratelli e sorelle, la via del martirio, la logica del martirio è – come ci è insegnato nel vangelo – la logica del chicco di grano che muore per germogliare e portare vita.
Gesù stesso «è il chicco di grano venuto da Dio, che si lascia cadere in terra, che si lascia spezzare, rompere nella morte e, proprio attraverso questo, si apre e può così portare frutto nella vastità del mondo» [Benedetto XVI, Visita alla Chiesa luterana di Roma (14 marzo 2010)]. Memore delle parole di Gesù, «se uno mi vuol servire, mi segua», anche il martire segue il Signore fino in fondo, accettando liberamente di morire per la salvezza del mondo. Donnino è il chicco di grano che seminato in questa terra, si è lasciato rompere nella morte, e ha così generato questa Santa Chiesa di Dio in Fidenza.
Ma continuiamo a chiederci: dove il martire ha imparato a vivere e morire secondo la logica evangelica del chicco di grano? Forse attraverso una sorta di ginnastica spirituale tesa al massimo sforzo? No, cari amici. Il martirio non è il risultato di uno sforzo umano. E’ un dono di Dio, che rende capace il battezzato di offrire la propria vita, poiché la divina potenza si manifesta pienamente nella debolezza, nella povertà di chi si affida a Lui e ripone la sua speranza solo nel Signore [Cfr.2 Cor.12,9].
2. La prima lettura poi ci fa comprendere la rilevanza anche civile che ha il martirio; rilevanza civile profondamente radicata nel rapporto di fede che il martire ha col Signore.
La prima lettura riferisce le ultime parola dette da un padre, già prossimo alla morte, ai figli. Il popolo di Israele stava vivendo uno dei momenti più tragici della sua storia. Il re Antioco Epifane vuole imporre la cultura greca, dunque pagana, alla comunità ebraica, anche ricorrendo alla violenza più spietata. E’ il progetto che si ripeterà atre volte nella storia, proprio delle tirannie: imporre un pensiero, una cultura unica.
Il vecchio Mattatia morente dice ai figli: «date la vostra vita per l’alleanza dei vostri padri… non abbiate paura delle parole del perverso».
È esattamente la situazione storica in cui visse Donnino. Grande uomo di Stato quale era, l’imperatore Diocleziano si rese conto che la crisi istituzionale dell’Impero di Roma poteva divenire, come fu, irreversibile. Egli pertanto non ammetteva che ci fosse una “zona” della vita non controllata dallo Stato; che ci fossero comunità cristiane che si regolavano secondo la loro fede nel Signore, pur essendo ottimi cittadini. Donnino è uno dei non pochi martiri della persecuzione dioclezianea.
Cari fratelli e sorelle, riflettiamo attentamente su tutto questo e comprenderemo come il martirio sia fonte di rinnovamento anche per la società civile. Comprenderemo come i martiri cristiani siano stati pietre angolari della nostra grande cultura.
3. Nel fatto che il martire preferisca morire piuttosto che tradire la sua coscienza, risplende l’intangibile dignità della persona umana. È una dignità che a nessuno è consentito svilire, deturpare, infrangere. Nel contesto di questo splendore risuonano severe le parole di Mattatia ai figli: «non abbiate paura delle parole del perverso».
Nel fatto che il martire preferisca morire piuttosto che tradire la sua coscienza, risplende nettamente la distinzione fra bene e male. La memoria quindi del nostro martire ci mette in guardia dal cadere nella confusione più grave in cui possa cadere l’uomo: la confusione fra ciò che è bene e ciò che è male. In un’epoca come la nostra, nella quale si considera grande conquista civile il relativismo morale, risuonano severe le parole di Isaia: «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano la luce in tenebre e le tenebre in luce, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro» [Is.5,20]. La sentinella che vigila sulla dignità dell’uomo è la certezza che esistono norme morali intangibili.
Nel fatto, infine, che il martire preferisca morire piuttosto che tradire la sua coscienza, risplende la vera libertà della persona, anche e soprattutto nei confronti del potente di turno. Colla sua morte infatti egli dice che esistono confini oltre ai quali nessun potere di questo mondo può spingersi. In questo modo afferma che la vera libertà consiste nella sottomissione alla verità. Una democrazia pertanto priva di un universo condiviso di valori non puramente formali, si converte facilmente in un totalitarismo aperto o subdolo, come la storia dimostra.
Cari fratelli e sorelle, la memoria del Santo Martire Donnino sia custode vigile della grandezza e della nobile tradizione di questa città. La forza della sua testimonianza ricordi ai giovani la grandezza e le esigenze della vera libertà. Guidi coloro che l’amministrano perché sappiano sempre promuovere il bene comune. La sua intercessione ottenga a tutti di vivere giorni più sereni e tranquilli. In dignità e sicurezza.
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