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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Convegno del Movimento per la Vita
Relazione «I fondamenti etici della professione medica»
Augustinianum, Roma, novembre 1989


L’apparente semplicità del titolo di questa conferenza conclusiva nasconde una notevole complessità di problemi. Mi vedo, pertanto, costretto a chiarire, in via preliminare, il suo contenuto preciso. 

All’origine della professione medica sta, ovviamente, una decisione libera di una persona. Ma ogni decisione umana presuppone sempre un atto di intelligenza, mediante il quale noi percepiamo — vediamo intellettualmente — un universo di valori inerenti alla professione, valori che esercitano un’attrazione interiore sulla nostra persona, inclinandola a decidersi, appunto, per quella professione.

Questa semplice riflessione ci dona il primo e fondamentale significato della mia conferenza. Per “fondamenti etici della professione medica” intendo quel complesso di valori inerenti all’esercizio della professione medica, che sono la ragione ultima per cui un uomo decide di esercitarla.

Ma la professione medica, come alcune altre professioni, ha una inevitabile rilevanza sociale. Il suo esercizio, cioè, non istituisce solamente un rapporto a due (medico-malato), ma esso coinvolge anche, in un qualche modo, la società in cui il medico professa. Dalla coscienza di questa rilevanza pubblica, che assume l’esercizio della professione medica, nasce anche un codice deontologico che fissa regole di comportamento in vista della salvaguardia dei valori inerenti alla professione medica come tale e anche una legislazione statuale che intende regolare la professione medica in vista del bene comune della società.

Questa seconda riflessione ci dona il secondo e fondamentale significato della mia conferenza. Per “fondamenti etici della professione medica” intendo quel complesso di norme che sono promulgate da chi ha l’autorità di farlo, che devono essere accettate da chi esercita la professione medica.

E, così, due sono le domande fondamentali alle quali vorrei rispondere. La prima: quali sono i valori etici fondamentali inerenti all’esercizio della professione medica? La seconda: quali sono le norme fondamentali che devono essere promulgate dalla legittima autorità per regolare l’esercizio della professione medica?

 

1. I VALORI ETICI DELLA PROFESSIONE MEDICA

 

Parto dalla più semplice delle constatazioni, che — almeno fino ad un certo punto — non è messa in discussione da nessuno: la professione medica si propone di prevenire la malattia e, quando è necessario, di distruggerla riportando la persona alla salute fisica e psichica.

La constatazione è talmente semplice che... quasi mi vergogno di dare inizio alla mia riflessione in un modo che rasenta il banale. Tuttavia, avviene spesso — ed è il nostro caso — che proprio nelle cose più semplici si nascondono i più profondi misteri. Quali? Tento di dirlo.

In primo luogo, la professione medica istituisce un rapporto diretto, immediato con la persona umana: il che non è vero di ogni professione. Quando si entra nell’universo delle relazioni interpersonali, si entra in quell’universo, in quel regno — direbbe Pascal — dei valori spirituali, infinitamente superiore sia al regno dei valori intellettuali sia al regno dei valori materiali. Che cosa, infatti, caratterizza l’universo dei valori spirituali, cioè l’universo delle relazioni interpersonali? La persona, ogni persona, per il solo e semplice fatto di essere persona, è un valore incondizionato e assoluto. Incondizionato: essa non vale, cioè, a condizione che... Essa vale in sé e per sé. Assoluto: essa non vale, cioè, in relazione, in riferimento... Essa desume il suo valore dal fatto di essere relazionato direttamente e immediatamente all’Assoluto, a Dio stesso. E così, tutto l’universo delle relazioni inter-personali è come percorso da questa esigenza di incondizionatezza e di assolutezza, che è propria dell’etica. È la legge morale la regola prima della professione medica.

Tuttavia, la professione medica incontra non la persona umana genericamente intesa. Essa incontra una persona umana già o potenzialmente ammalata. La malattia della persona è qualcosa di più di un cattivo funzionamento di processi naturali, una rottura di costanze statisticamente predeterminate, da ricondurre dentro la norma. Essa, la malattia della persona, è molto più che un corpo o una psiche ammalata, un po’ di vita dolorante. È una persona che vive un’esperienza di sofferenza.

L’incontro della professione medica ha anche una terza e ultima caratteristica. Il rapporto che essa istituisce colla persona umana ammalata, si radica nel sapere scientifico: è la messa in atto di un sapere scientifico.

Si pone, qui, un serio problema etico nella professione medica. Come è a tutti noto, ciò che caratterizza la scienza moderna e contemporanea è la sua cosiddetta “obiettività”. Essa, cioè, parte dall’esclusione metodologica di ogni interferenza soggettiva nel procedimento conoscitivo. Solo così essa può esibirsi come sapere “verificabile-falsificabile” in senso assoluto: ciascuno può prendere il posto di ciascuno, in ogni momento del procedimento conoscitivo, sia per continuare semplicemente ciò che altri hanno iniziato sia per verificare, appunto, quanto è stato affermato.

Quando l’esclusione che per sé è solo metodologica, diventa un’esclusione tout court di ogni presenza della soggettività; quando questa indebita estensione di un giusto principio metodologico investe anche la professione medica, il risultato è tragico. La prassi medica diviene una prassi di laboratorio. La persona ammalata diventa, in senso vero e proprio, un numero: cioè, un momento di una serie. La professione medica, in quanto professione che istituisce un rapporto inter-personale, corrompe intimamente la sua intrinseca natura: non merita più di essere chiamata tale.

La considerazione della medicina come rapporto con la persona ammalata conduce a concludere che la sua professione deve radicarsi in quell’attitudine spirituale, già conosciuta anche dalla sapienza precristiana, che è la pietà: l’attitudine di riverenza e rispetto verso qualcuno che, per la particolare condizione in cui si trova, vive un mistero che ci trascende.

La considerazione della medicina, come rapporto con la persona ammalata, che deve radicarsi nella scienza, conduce a concludere che la sua professione deve essere regolata da un’attitudine di obiettività e rigore.

E così, concludendo questo primo punto della mia riflessione, possiamo dire che il fondamento etico della professione medica, dal punto di vista soggettivo, è questa sintesi vissuta di pietà e di scienza. La pietà senza la scienza trasforma, prima o poi, la professione medica in magia e superstizione; la scienza senza la pietà trasforma, prima o poi, la professione medica in sacrilegio. Su quale base questa sintesi può essere costruita e mantenuta? Sulla base della percezione del valore incondizionato e assoluto di ogni persona umana dal concepimento alla morte. Ma questa percezione può essere insegnata? Può essere solo testimoniata, poiché «nulla di ciò che è degno di essere saputo, può essere insegnato» (Oscar Wilde).

 

2. LE NORME FONDAMENTALI DELLA PROFESSIONE MEDICA

 

Prima di riflettere su questa seconda dimensione del fondamento etico della professione etica, mi vedo costretto a fare una premessa che ritengo assai importante.

Esistono norme che impongono un determinato comportamento, ma potrebbero benissimo, in linea di principio, imporne un altro, addirittura contrario a quello imposto: andare a destra o a sinistra sulle strade; fissare le aliquote delle varie fasce fiscali. In questo caso, si deve dire: esiste un obbligo perché esiste una legge. La ragione d’essere dell’obbligo è la legge promulgata dalla legittima autorità.

Esistono, però, norme che prima di essere promulgate da un’autorità esterna, sono promulgate nel nostro intimo dalla forza della ragione. Esse esprimono esigenze inscritte nella natura della persona umana, poiché esprimono l’incondizionata attrazione che il bene come tale esercita nel nostro spirito. Esiste, in questo caso, una legge (della nostra ragione) perché esiste un obbligo: l’obbligo del nostro essere personale — della nostra volontà razionale — di amare tutto ciò che è bene ed odiare tutto ciò che è male. La ragione d’essere dell’obbligo non è in questo caso la legge promulgata, ma al contrario, la ragione d’essere della legge è l’esistenza di un obbligo che la preceda.

È stato uno dei guadagni, teoretico e pratico, più preziosi, trasmesso alla nostra cultura occidentale già dalla cultura greca, la certezza che il primo tipo di leggi è accettabile solo se e solo tanto quanto esso si radica nel secondo. Si radica: ne conferma ulteriormente l’obbligatorietà o ne specifica, ne esplicita i contenuti. Guadagno, dicevo, tra i più preziosi. In questo modo, infatti si è sostituita la forza della giustizia alla giustizia della forza: si è scoperta, cioè, la specifica natura del rapporto interpersonale e la sua intrinseca dignità e bellezza.

Tenendo sempre presente questa premessa, dobbiamo ora riflettere sul fondamento etico della professione medica, sotto il profilo delle norme che la regolano.

Fin dal principio (Ippocrate), la medicina si è data un codice di comportamento e le pubbliche autorità hanno emanato leggi sempre più precise: sono il fondamento etico della professione medica di cui stiamo parlando.

Questi codici e queste leggi sono valide solo se e tanto-quanto essi si radicano nel terreno del fondamento etico in senso soggettivo, di cui ho parlato nel primo punto della mia riflessione. E allora penso sia necessario elaborare alcuni criteri di discernimento, alla luce dei quali giudicare se questa radicazione si dia o non; e in che misura. In altre parole: se codici deontologici e leggi statuali esprimono, tutelino e specifichino quel fondamento etico soggettivo di cui parlavamo e che consiste in una sintesi vissuta di pietà e scienza. Mi limiterò a indicare solo i più importanti. 

Il primo. Poiché la professione medica istituisce un rapporto diretto e immediato colla persona umana, ogni norma che consenta (e tanto più che imponga) un comportamento che neghi la dignità assoluta e incondizionata della persona, violandone i diritti fondamentali, è distruttivo della professione medica.

È diritto fondamentale di ogni persona umana il diritto alla vita: ogni legge che consenta, in qualsiasi misura, al medico di compiere procedure abortive o eutanasiche, è una pura e semplice distruzione della professione medica.

È diritto fondamentale di ogni persona umana di essere concepita da un uomo e da una donna legittimamente sposati: ogni legge che consenta, in qualsiasi misura, al medico di compiere procedure procreative artificiali viola il fondamento etico della professione medica.

Il secondo. Poiché la professione medica istituisce un rapporto diretto e immediato colla persona umana ammalata, ogni norma che consenta un comportamento medico non finalizzato alla cura della malattia, è distruttiva del fondamento etico della professione medica.

È alla luce di questo criterio che devono essere giudicate tutte le norme riguardanti la sperimentazione clinica e chirurgica.

Il terzo. Poiché la professione medica istituisce un rapporto diretto e immediato colla persona umana ammalata, radicato nella scienza, ogni norma che consenta un comportamento medico nel quale la conoscenza scientifica viene usata contro la natura propria del rapporto inter-personale, istituito dalla professione medica, viola il fondamento etico della professione medica stessa.

Alcune esemplificazioni. La produzione di composti chimici (mi guardo dal chiamarli farmaci) che si propongono solo la violazione di diritti o valori umani inalienabili, umilia la dignità inerente all’atto della conoscenza scientifica. È il caso della RU486.

Quando non si riconosce più che nella sua professione il medico deve agire “secondo scienza e coscienza”, ma lo si riduce alla prestazione di atti secondo il desiderio del richiedente, si distrugge la giusta autonomia della professione e se ne viola il fondamento etico.

 

CONCLUSIONE

 

La ragione di questo Seminario di studio è la celebrazione del 120° anniversario di un Ospedale della Chiesa. La Chiesa di sempre impegnata nel settore della sanità. Perché? Poiché essa ha visto nella persona ammalata un “sacramento” della continuata presenza di Cristo nel mondo: “ero ammalato, e mi avete visitato”.

E così, tutto ciò che abbiamo detto trova il suo fondamento ultimo nella parola di Gesù: quello che avete fatto al più piccolo, lo avete fatto a me.