Esequie di don Giuseppe Nozzi
Corticella, 14 febbraio 2008
Testi:
Rom 14,7-12; Mt 25,31-46
1. "Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso". Cari fratelli e sorelle, la parola dell’apostolo ci indica la dimensione fondamentale della nostra vita e della nostra morte: "se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore". E ciò è la conseguenza del fatto che noi apparteniamo al Signore: "sia che viviamo, sia che moriamo, siamo … del Signore". È questa un’appartenenza costata un prezzo molto alto: il sangue di Cristo.
La consapevolezza che nessuna forza, né umana né sovraumana, può spezzare questo vincolo di appartenenza; che neppure nella morte saremo dati in preda alla totale dissoluzione, genera nel discepolo del Signore la serena certezza "che la vita non è tolta, ma trasformata". Colui a cui appartengo anche in morte, cammina con me per accompagnarmi anche quando attraverso la valle più oscura.
Miei cari fratelli e sorelle, mentre risuona alle nostre orecchie e nel nostro cuore questa parola di Dio, risuonano ancora nel mio cuore le ultime parole che don Giuseppe mi disse quando lo visitai venerdì scorso. Era molto sofferente, ma pienamente lucido. "Sono al servizio della Chiesa" mi disse "in questo modo: colla mia sofferenza". "È il modo più grande, questo" – gli risposi – " perché è quello che ci assimila di più a Cristo". "È proprio così!": sono state le sue ultime parole dettemi. E poi pregammo insieme per la santa Chiesa. Ecco, miei cari fratelli e sorelle, il contenuto di una coscienza sacerdotale giunta alla sua perfezione: sentirsi partecipi dell’atto redentivo di Cristo; immersi nel grande dramma della redenzione dell’uomo.
2. "In verità vi dico: ogni volta che avete fatto questo cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me". Miei cari fratelli e sorelle, quale grande mistero è rivelato da queste parole! Nella coscienza dell’umanità, nella cultura di tutti i popoli anche molto primitivi, la divinità è ritenuta presente in chi esercita il potere; è rappresentata dai re e dagli imperatori.
Il nostro Dio si "identifica" coi "più piccoli". Colui che aveva fatto salire in cattedra i gigli del campo e gli uccelli del cielo, invitandoci ad imparare da loro, ora fa salire sul trono della divinità "i fratelli più piccoli": "l’avete fatto a me".
Questa parola evangelica esprime la dimensione essenziale del sacerdozio di don Giuseppe, che trova nella Casa della carità di Corticella la sua eminente espressione. Ma fin dall’inizio del suo sacerdozio fu così per don Giuseppe.
Sacerdote di quel manipolo di apostoli che costituivano i sacerdoti – cappellani, egli iniziò il suo servizio sacerdotale in varie fabbriche, vicino a chi allora apparteneva ai "fratelli più piccoli". Attorno a quel testimone eccezionale di Cristo che fu don G. Salmi, anche don Giuseppe con altri fratelli nel sacerdozio entra così a scrivere uno dei capitoli più gloriosi della storia del clero bolognese. L’affetto e la stima e la cura che avete mostrato, miei cari e buoni fedeli di Corticella, soprattutto in questi ultimi giorni, hanno dimostrato che cosa ha significato per voi il ministero parrocchiale di don Giuseppe.
Le Suore della Carità della vostra casa hanno avuto una ispirazione celeste: con atto di squisita dedicazione di cui solo sono capaci le vergini consacrate, hanno chiesto che don Giuseppe potesse finire i suoi giorni in mezzo "ai fratelli più piccoli". Coloro che lo avrebbero poi ricevuto nei loro tabernacoli eterni, lo hanno così accompagnato all’incontro col Signore. Quale corteo regale poteva essere più splendido di questo?
Il Signore faccia allora sentire al suo servo la definitiva parola di beatitudine: "vieni, benedetto dal Padre mio, ricevi in eredità il regno preparato per te fin dalla fondazione del mondo, perché tutto ciò che hai fatto a questi miei fratelli piccoli, lo hai fatto a me".
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