Esequie di don Marco Aldrovandi
Molinella, 8 maggio 2015
1. «Il ricordo della mia miseria e del mio vagare è come assenzio e veleno. Ben se ne ricorda la mia anima e si accascia dentro di me». Alla notizia della tragica morte di don Marco, le parole del profeta sono diventate profondamente mie e vostre; il suo lamento è diventato il nostro lamento. Veramente le vie del Signore non sono le nostre vie, e quanto il cielo sovrasta sulla terra tanto i giudizi del Signore sovrastano i nostri. Gli interrogativi non sono riuscito a spegnerli neppure per un momento: “perché Signore togli un sacerdote ancora giovane al nostro presbiterio, già così provato? Ti abbiamo pregato: forse la nostra preghiera non arriva al tuo cuore?”
«E’ bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore» poiché Egli «è buono con chi spera in Lui, con colui che lo cerca», dal momento che «le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie».
2. Ma il Signore attraverso la morte di don Marco ci ha parlato. Ha parlato a noi tutti: Vescovo, sacerdoti e fedeli. Che cosa ci dice?
La prima parola è quella del Vangelo, che sempre viva ed attuale, lo è particolarmente in questo momento: «tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». Cari fratelli e sorelle, la morte non è un evento lontano. E’ sempre imminente, ed ogni attimo della nostra esistenza è sovrastato dalla possibilità della morte. Quale peso ha ogni istante del tempo! Esso può diventare la porta di ingresso nell’eternità.
Da questa nostra condizione deriva l’esortazione di Gesù, la quale acquista di fronte a questa bara una particolare intensità: «tenetevi pronti». Pronti a che cosa? Pronti all’incontro col Signore. La morte non è un salto nel buio. E’ l’arrivo del Signore che ci rivela il suo Volto finalmente non più velato dall’oscurità della fede.
L’incontro ha il carattere del giudizio. Le nostre opere ci seguono; e sono le sole a farlo. L’esortazione del Signore a tenersi pronti significa tenersi pronti ad un incontro che decide il nostro destino eterno. La morte alla luce della parola di Gesù non è solo un evento naturale, ma è soprattutto un evento che accade fra due persone: è un incontro con Gesù. Alla porta di don Marco, Gesù ha bussato nel pieno della notte, come ipotizza anche la parola evangelica.
3. L’apostolo Paolo ci viene in aiuto per capire il senso di ciò che è accaduto in quella notte a don Marco.
Esiste un’appartenenza di ciascuno di noi al Signore, «sia che viviamo sia che moriamo». E’ l’appartenenza costituita dal Battesimo. Ma per don Marco è stata anche l’appartenenza propria del sacerdote.
L’appartenenza battesimale ed in un certo senso ancora più quella sacerdotale opera una vera espropriazione del sacerdote perché “se vive, non vive per se stesso; se muore, non muore per se stesso”.
Custodite nel cuore, cari fedeli, la testimonianza che don Marco vi ha donato di una vita spesa gioiosamente per voi.
O Cristo, accogli come sacrificio di soave odore il dono di questa giovane vita, unito al tuo sacrificio.
Il suo entrare nella tomba, il suo disfarsi nella polvere di infiniti atomi ha un senso, poiché accade dentro la tua Pasqua.
E tu, carissimo don Marco, prega il Signore perché faccia vivere al nostro presbiterio il vuoto che lasci e la povertà dei nostri numeri in spirito di penitenza e di conversione al Vangelo.
«E’ bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore». «Ma se non crederete, non avrete stabilità» [Is 7, 9].
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