S. Messa esequiale per Mons. Angelo Magagnoli
Chiesa parrocchiale di S. Giovanni in Monte, 7 febbraio 2006
1. "Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano, la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli".
Queste parole evangeliche non cessano di riempirci di stupore e di commozione, poiché esse descrivono il metodo che Dio ha seguito nella redenzione dell’uomo.
Il Signore non ha compiuto l’atto redentivo tenendosi a dovuta distanza dall’uomo: "dovuta" alla sua dignità divina e alla miseria dell’uomo. Egli si è accostato. Poteva anche raggiungere il suo scopo colla sola sua onnipotenza. Egli si è accostato, non considerando un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliando se stesso assumendo la nostra condizione di servi.
Accostatosi, il Signore ci ha sollevati prendendoci per mano. Non ha temuto di "sporcare la sua" prendendo la nostra: era il modo che aveva scelto per sollevarci. Il più forte ed il più dolce, poiché tutta la forza divina non vuole fare senza la nostra corrispondente decisione libera di alzarci.
La prima lettura ci ha mostrato, carissimi fedeli, come l’apostolo Paolo avesse profondamente assimilato questa metodologia divina: "pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti". Come il suo Maestro: rinuncia alla sua libertà per servire. "Mi sono fatto debole con i deboli … mi sono fatto tutto a tutti": è il metodo della condivisione più profonda: "accostatosi, la sollevò prendendola per mano".
Veramente, Cristo ha il diritto di chiederci di non anteporre nulla a Lui poiché Lui non ha anteposto nulla alla salvezza dell’uomo.
2. Carissimi fedeli, queste pagine sante mi sembrano la migliore chiave interpretativa della lunga esistenza sacerdotale di don Angelo. In uno scritto autobiografico del 1953, ad appena dieci anni dalla ordinazione, egli esprime al riguardo una consapevolezza inequivocabile: "Notavo, mentre dicevo la Messa domenicale nella parrocchia di città che il mio Arcivescovo mi aveva affidato, per un periodo di tre anni, un fatto assai doloroso: la quasi completa assenza di uomini … Il problema ora mi sembra sia il caso di risolverlo in altro modo: andare a trovare gli operai nel posto di lavoro. Passare ore insieme a loro, parlare delle loro macchine, delle loro fatiche e dei problemi che li assillano, per poi arrivare al problema sommo, a Cristo". È la divina metodologia: "egli, accostatosi …"; è l’esperienza dell’Apostolo: "mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno".
Don Angelo ha compreso che questa è la logica intima del servizio apostolico. Ed è da questa comprensione che nasce una delle intuizioni più profonde del suo sacerdozio. Sempre nello stesso scritto autobiografico, egli scriveva: "mentre la scuola ha il professore di religione, il soldato ha il cappellano militare; la nave, l’ospedale il loro sacerdote, il mondo del lavoro non ha il suo prete". Dopo appena un anno dalla sua ordinazione viene nominato Cappellano del lavoro presso le Officine Ortopediche Rizzoli ed altre fabbriche, e quando il Card. Nasalli Rocca di v.m. trasformerà il Collegino dei Buoni Fanciulli in "Seminario ONARMO per la formazione dei cappellani del lavoro", don Angelo ne viene nominato Rettore, tale rimanendo fino al 1986. Da quel Seminario sono uscite una sessantina di preti, di cui due elevati all’episcopato, e molte centinaia di laici.
Don Angelo aveva compreso che il lavoro costituisce una delle dimensioni costitutive del vivere umano, e che pertanto la sua intensa valenza antropologica interpellava ogni cristiano, il sacerdote, ogni comunità ecclesiale. Disarticolare l’annuncio cristiano dal vissuto umano, di cui il lavoro è parte costituente, rende l’annuncio insignificante perché evasivo ed espone il vissuto umano ad una totale liquidazione.
L’aggancio fra annuncio cristiano e vissuto umano è fatto da uomini capaci di un giudizio pratico ispirato alla fede. E qui si pone quello che oserei chiamare il carisma proprio di don Angelo: la sua preoccupazione e capacità formativa. In una relazione tenuta ad un Congresso ONARMO, don Angelo traccia un programma formativo sacerdotale di permanente attualità: "un prete pio, ma gretto; dotto, ma chiuso; esperto, ma egoista … non potrà incidere molto. … gli è necessario ricordare che chi è a capo si deve considerare l’ultimo, a servizio di tutti".
3. Il 15 settembre 1975, don Angelo è nominato parroco in S. Giovanni in Monte. È il secondo grande capitolo del suo "accostarsi all’uomo".
L’affetto con cui lo avete sempre circondato, carissimi fedeli di S. Giovanni in Monte, indica la dedizione con cui don Angelo ha svolto il suo servizio pastorale in mezzo a voi. Egli ha amato la bellezza di questo luogo, ma ancor più lo splendore del tempio che sono le vostre persone. La riconoscenza che gli avete mostrato quando vi ha lasciato come parroco, è stato il segno più chiaro del legame profondo e soprannaturale che univa pastore e gregge.
Proprio l’8 gennaio scorso egli scriveva per così dire la sintesi del suo ministero pastorale come parroco, con le seguenti parole: "Scrivo ora (dicembre 2005) per annunciare che sono giunto al termine del mio trentennale servizio parrocchiale, in questa mia cara ed amata Chiesa e comunità. Che cosa ho fatto? Quel poco l’ho compiuto con gioia e con amore. Risultato? Lo sa il Signore … Lascio nelle mani d’altri che certamente saranno migliori di me. Ho amato tutti e, per conto mio non ho avversari, nemici. Per me sono tutti simpatici e per tutti ho pregato. Non sono sempre riuscito a convincere, però ho cercato sempre con dolcezza di condurre tutti sulla via di Gesù … L’ultimo consiglio: si prendono più mosche con una goccia di miele che con un barattolo di aceto! E "mano di ferro con quanti di velluto!" "vale di più un sorriso che uno sguardo truce, irato, vendicativo".
Carissimi fedeli, quindici giorni orsono abbiamo accompagnato all’eterna dimora Mons. Giulio Salmi, l’altro grande frutto cresciuto con don Angelo alla scuola di don Filippo Cremonini al "Collegino dei Buoni Fanciulli". Oggi diamo l’estremo saluto a don Angelo. Sacerdoti e uomini che hanno arricchito la grande Tradizione di questa santa Chiesa di Bologna, concorrendo a disegnarne il suo profilo inconfondibile.
Essi ci aiutino dal cielo a custodire e ad accrescere questo patrimonio "perché la verità del Vangelo continui a rimanere salda" in questa città.
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