IL MINISTERO EDUCATIVO DEI GENITORI
Santa Caterina al Pilastro
4 giugno 2004
La nostra riflessione questa sera ha per oggetto uno dei momenti essenziali nella costruzione della comunità cristiana e civile: il compito educativo dei genitori. La svolgerò nei seguenti due punti.
Nel primo parlerò dell’educazione come bisogno umano; nel secondo cercherò di mostrare come e perché la persona umana può trovare la prima risposta a questo suo bisogno nella famiglia.
L’educazione come bisogno umano
Vorrei partire da una constatazione che ciascuno di noi può fare, con un po’ di attenzione a ciò che accade dentro di sé. Noi a volte agiamo con giustizia ed a volte non agiamo con giustizia; però se ci si chiede: "ma tu come vuoi essere trattato, qualche volta giustamente e qualche volta ingiustamente oppure sempre giustamente?", sono sicuro che la risposta è "sempre giustamente". Nessuno desidera di essere trattato ingiustamente, neppure qualche volta.
Noi generalmente diciamo la verità e non inganniamo il nostro prossimo; qualche volta tuttavia mentiamo ed inganniamo il nostro prossimo. Se però qualcuno ci chiedesse: "e tu vuoi qualche volta essere ingannato?" sono sicuro che nessuno seriamente risponderebbe che gli piace, che desidera essere ingannato. Potrei continuare con questi esempi. Mi fermo, perché questi sono sufficienti a farci fare un’importante scoperta su noi stessi.
Ciascuno di noi sa distinguere fra "agire con giustizia-agire con ingiustizia", fra "essere nella verità-essere ingannati". Non solo, ma ciascuno di noi desidera la giustizia, la verità. In sintesi: la persona umana possiede la capacità di discernere fra giustizia/ingiustizia, verità/errore e di desiderare l’una a preferenza dell’altra.
Ma, continuando a fare attenzione a noi stessi, la scoperta non si ferma a questo punto. Pur desiderando la giustizia, noi possiamo decidere di trattare un altro con ingiustizia; pur desiderando la verità, noi possiamo decidere di ingannare un altro. Può cioè accadere come una "spaccatura" dentro di noi fra ciò che conosciamo e desideriamo e ciò che di fatto decidiamo.
Questa "spaccatura" non è opera del caso: è opera di ciascuno di noi, è opera nostra. La conoscenza-desiderio (la giustizia, la verità...) chiedono alla nostra persona di realizzarsi concretamente. Fanno appello a "qualcosa" che è in noi. Questo qualcosa ha un nome; si chiama libertà. Essa ci appare quindi come la capacità di compiere o non compiere il "desiderio" che abita dentro la nostra persona.
Da questi semplici esempi desunti dalla nostra quotidiana esperienza noi scopriamo chi siamo: siamo un grande "desiderio" (di giustizia, di verità, di amore...) la cui realizzazione è affidata alla nostra "libertà". Possiamo dire la stessa cosa in questo modo: siamo pellegrini verso la beatitudine mossi dai nostri desideri naturali e dalla nostra libertà.
Ma forse qualcuno si chiederà che attinenza ha tutto questo con l’educazione. Ora vedremo subito che la persona umana ha bisogno, chiede di essere educata precisamente perché è "pellegrina-mendicante della beatitudine": un pellegrinaggio che deve essere compiuto dalla sua libertà.
Possiamo capire questo partendo da una delle pagine più "suggestive" di tutto il Vangelo: l’incontro di Maria ed Elisabetta [cfr. Lc 1,39-45].
Fra i milioni di esseri umani che popolavano la terra, ne era arrivato uno che era unico e che era atteso da millenni: era il Figlio di Dio venuto ad abitare fra noi. Nessuno conosceva questa presenza all’infuori di sua madre. Le due donne si incontrano. E che cosa succede? Quella persona umana che era nel ventre di Elisabetta "sussultò di gioia" perché aveva sentito che nel mondo era presente Dio stesso: vicino a lui.
Anche quel bambino, Giovanni, entrato nel mondo da sei mesi, aveva iniziato il suo "pellegrinaggio verso la beatitudine", come ogni persona umana. Che cosa gli successe? Gli successe di sperimentare una Presenza che introdusse nel suo cuore un "sussulto di gioia". E Giovanni non dimenticò più quel "sussulto di gioia". Divenuto adulto, egli morirà a causa della giustizia e della santità dell’amore coniugale.
Proviamo ora a raccogliere meglio assieme gli elementi fondamentali di questa straordinaria vicenda.
Una persona sta entrando nel mondo: ed abbiamo visto quale è l’ "equipaggio" di cui è dotata. Anzi chi è: un pellegrino-mendicante di beatitudine affidato alla sua libertà. Dentro a questo mondo egli scopre una Presenza, la Presenza di Qualcuno. La scoperta genera in lui un sussulto di gioia: la certezza che il suo desiderio non è deluso, che il suo pellegrinaggio non è verso il nulla. Egli ha potuto scoprire questa Presenza perché una donna gliela ha fatto "sentire vicina". Ebbene, questi sono gli elementi fondamentali del rapporto o della "comunicazione educativa".
La persona umana entrando nel mondo, comincia il suo pellegrinaggio verso la beatitudine e chiede di essere "aiutata", ed incontra altre persone.
Queste le fanno sentire (oppure non le fanno sentire) una Presenza. Dentro a questa "comunicazione" la nuova persona raggiunge (oppure non raggiunge) la piena libertà di camminare.
Il "punto essenziale" di questo avvenimento che è l’educazione, è di capire bene che cosa significano le parole: "persone che fanno sentire (non sentire) una Presenza". Questo infatti è il "cuore" del rapporto educativo. Cercherò ancora una volta di spiegarmi con qualche esempio.
Tutti sanno che uno dei momenti più difficili di tutta la nostra vita sono stati i primi giorni della nostra vita. La difficoltà consisteva nel trovarci dentro ad una realtà completamente diversa da quella in cui vivevamo nel corpo materno. In una parola: la difficoltà del contatto colla realtà.
Fermiamoci un momento a riflettere su che cosa significa "contatto colla realtà", partendo sempre da esperienze molto comuni.
Se mi capita di posare la mia mano su una piastra bollente, sento un terribile dolore e ritiro immediatamente la mia mano. Ho avuto un contatto colla realtà, un contatto puramente fisico. Esso è abitato, dominato dal principio del piacere/dolore. E’ l’unico contatto possibile questo colla realtà? Voglio ora fare un altro esempio: l’esperienza dell’amore vero fra un uomo e una donna.
Un uomo incontra tante donne [e viceversa]; alcune non le conosce neppure; altre le conosce. Ma ad un certo momento, una di queste gli appare "diversa da tutte le altre" e fra le mille conosciute "unica, insostituibile". Che cosa è accaduto? In quella persona ha visto "qualcosa" che non aveva visto in nessun altra e che lo ha fatto esclamare: "oh come è bello che tu esista!" e alla fine: "come è bello vivere!". E’ l’esperienza di una Presenza dentro alla realtà concreta che ci ha fatto "sussultare di gioia".
Che cosa vuol dire dunque "la persona ha bisogno-chiede di essere educata"? Vuol dire: ha bisogno-chiede di entrare in contatto colla realtà in modo da sentire in essa una Presenza che la faccia "sussultare di gioia", che le dia la certezza che vale la pena vivere, proprio a causa di questa Presenza. Educare significa introdurre la persona nella realtà in modo che essa si senta accolta da un Destino buono.
La famiglia e il bisogno dell’educazione
Da quanto ho detto finora risulta che l’educazione può accadere solamente all’interno di un rapporto fra persone; all’interno di una comunicazione che va da "persona a persona". Vorrei spiegare un poco questo punto di fondamentale importanza.
Volendo semplificare al massimo, fra le persone possono esistere due tipi di comunicazione. Quando un insegnante vuole insegnare ad un bambino l’operazione della divisione, insegna al bambino alcune regole. Se l’insegnante è brava ed il bambino sta attento ed è un poco intelligente, capisce quelle regole ed ha imparato a fare la divisione. C’è stata una comunicazione (di un sapere, in questo caso) che potremmo chiamare diretta, nel senso che alcune conoscenze sono state comunicate attraverso alcuni semplici ragionamenti. Ora facciamo un altro esempio.
Un ragazzo si rende conto presto che egli nel suo cuore ha un profondo desiderio di giustizia ma che nel mondo molti agiscono con ingiustizia, per cui prima o poi può trovarsi nella situazione di dover scegliere se subire un’ingiustizia o compierla per non subirla. E si chiede: è meglio subire un’ingiustizia piuttosto che compierla?
Come si fa a convincere il ragazzo che è meglio subire un’ingiustizia piuttosto che compierla? Cioè: che essere giusti, essere nella verità è ciò che esiste di più prezioso, bello e degno di essere cercato e voluto.
E’ originariamente la fiducia data alla persona che lo sta educando, che gli fa sentire che nella realtà esiste un ordine, un Senso che non è distrutto dal male che l’uomo compie. Alla fiducia originaria dovrà poi seguire certamente l’educazione alla riflessione per elaborare una visione vera della realtà.
Ora possiamo capire perché il primo ed originario luogo della educazione della persona è la famiglia, e che niente e nessuno potrà mai sostituire questo rapporto "da persona a persona" nell’educazione: l’uomo trova nella famiglia la prima risposta al suo bisogno di educazione.
La persona entra nel mondo attraverso una famiglia, dentro una famiglia. Che cosa significa veramente "entra nel mondo"?
La persona umana si desta per così dire nel suo spirito attraverso l’apprendimento della realtà, l’intuizione di ciò che è. Il primo atto dello spirito non è una domanda, ed ancor meno un dubbio: è una constatazione. Questo risveglio dell’umanità che è in ogni persona suscita in essa un profondo stupore, una grande meraviglia da cui nasce l’interrogativo radicale: quale è il "senso" di tutto questo?
Questo interrogativo ha in sé due domande: è domanda se la realtà abbia un significato [= domanda sulla verità] ed è domanda se la realtà meriti di essere voluta e rifiutata [= domanda sul bene].
Il bambino è colui che pone per primo la domanda metafisica ed etica e la risposta che egli riceverà marcherà la sua vita per sempre.
Ma ciò che suscita grande stupore è il modo con cui il bambino ed il ragazzo pone queste domande: le pone non verbalmente, ma semplicemente esistendo, ponendo se steso fra le altre persone. La persona nuova giunta in questo mondo, ponendo se stessa di fronte all’altra, attende che gli si dica come è visto [problema della verità] e come è accolto [problema del bene]: se è il ben-venuto. In questa risposta egli vede il volto della realtà che lo circonda: se è Amore o Rifiuto. Scopre in questo incontro la presenza del Mistero della realtà.
È nella famiglia che, per così dire senza "pensarci sopra", si istituisce una comunione interpersonale nella quale il nuovo arrivato incontra la risposta al suo bisogno di sapere e riconoscere il senso della realtà. Non si chiede nulla alla famiglia per essere educante, se non di essere famiglia. Essa cessa di essere risposta al bisogno di educazione quando cessa di essere una vera comunità di persone.
Una vera comunità di persone si costruisce nel passare del tempo assieme; nel passare del tempo assieme non in un qualunque modo, ma nel dialogo profondo su "ciò che conta nella vita" (dal tempo quantitativo al tempo qualitativo); dialogo su ciò che conta, nel quale c’è un confronto su temi che implicano delle scelte di fondo, ultime, fondamentali nella vita.
Le vere insidie quindi all’educazione in famiglia sono quelle che insidiano la verità della comunione inter-personale: il poco tempo passato assieme; un dialogo che si ferma alla superficie della vita; l’impossibilità-incapacità di offrire risposte forti alle domande dei figli.
Alla fine, se mi chiedeste: fare il "mestiere di genitori" è difficile o facile? Vi risponderei: è il mestiere più difficile di tutti perché è il più facile di tutti. E’ come il "mestiere di vivere".
E’ il più difficile, poiché si tratta di generare una persona umana e nulla è più grande di una persona umana; è il più facile, poiché si educa semplicemente convivendo.
Termino con un esempio. Immaginiamo che nella stanza in cui ci troviamo di notte, venga a mancare all’improvviso la luce. Proviamo ad immaginare che nonostante il nostro procedere, non sentiamo mai nessuna parete e quindi non troviamo mai nessun interruttore. Sarebbe insopportabile.
Ho semplicemente descritto la condizione del bambino, del ragazzo, del giovane non educato o meglio privo di educatori: una condizione nella quale si può muovere ovunque, ma senza avere nessun punto fermo. E’ la disperata noia di una libertà insensata.
La luce si accende quando il bambino, il ragazzo, il giovane incontra un vero educatore. E’ l’esperienza mirabile della generazione di una persona: è la missione dei genitori.
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