Editoriale
Rivista Anthropotes, maggio 1989
«...propria ratione metiri volentes...»
(San Tommaso d’Aquino, Contra Gentes, IV, 10; 3460)
Il rischio primo della nostra vicenda spirituale è di elevare la nostra ragione a misura suprema ed unica della realtà. Una tale elevazione ha mortali conseguenze per la vita spirituale umana e cristiana. Per la vita umana come tale: semplicemente ci chiude nel vacuo e arido deserto di un «se stesso» (individuale e/o sociale, è questione secondaria) privo di ogni fondamento. Kierkegaard ha espresso stupendamente (come sempre) questa situazione esistenziale: una donna vuole cucire, ma si è dimenticata di fare il nodo al filo e così continua a girare ago e filo, senza mai concludere nulla.
Questo numero di Anthropotes intende proseguire la riflessione su questa situazione in cui versa la modernità, presentandone una ipotesi eziologica: la sostanziale riduzione dell’uso pratico della ragione alla razionalità tecnica (articolo del Prof. Caffarra) con la contro-verifica nell’ambito educativo (articolo del Prof. Shannon) e continuando la nostra discussione sul «quando» ciascuno di noi è cominciato ad essere (articoli dei Prof. Caspar e Billings).
L’assunzione della ragione umana a misura dell’essere sconvolge anche la struttura dell’intellectus fidei. Sul versante, dunque, più propriamente teologico, il presente numero svolge una riflessione costruttiva. Esiste una priorità della Chiesa — sia nella sua connotazione mariana sia nella sua connotazione petrina — nei confronti della razionalità etica del credente (Prof. Melina), così che i contrasti fra teologia morale e Magistero, fra coscienza morale e Tradizione ecclesiale sono da considerarsi fenomeni patologici e non fisiologici nell’esperienza cristiana. La riconferma di questa verità è data dal fatto che la «metodologia etica» della Chiesa è sempre stata una metodologia che sapeva la verità della persona (articolo del Prof. May). Come è possibile verificare nel caso di una riflessione filosofica sull’esperienza etica, di particolare interesse, poiché chi l’ha condotta oggi è Colui che ci conferma nella fede (articolo del Prof. Crosby).
Chi conosce l’itinerario speculativo di sant’Agostino, sa che — come egli varie volte confessò — il suo instancabile desiderio di verità si scontrò molto presto con la humilitas Verbi incarnati. È il supremo scandalo della ragione, che Agostino superò nell’obbedienza della fede: sguardo più profondo sulla realtà. In fondo, il problema ritorna tale e quale oggi: la Gloria di Dio rifulge solo nell’immolazione obbediente dell’Agnello che effonde il suo Sangue per la Chiesa. L’intuizione centrale di Caterina da Siena (una sorella di Tommaso) permane intatta nella sua semplice profondità: la ragione è de-centrata, nel vedere che la Chiesa nasce continuamente dal Sangue di Cristo.
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