IX INCONTRO EBRAICO-CRISTIANO
Biblioteca Ariostea
8 marzo 1998
La notte che precedette l’esecuzione della pena capitale inflitta a
Socrate fu veramente grande e il suo discepolo più fedele ne volle
conservare memoria imperitura nel Critone. Che cosa accadde di straordinariamente
grande in quel carcere, mentre, si potrebbe pensare, si consumava la vergognosa
condanna di un innocente? Lo scontro, in primo luogo, fra due modi contrari
di vivere nel mondo da parte dell’uomo. L’uno era rappresentato dai discepoli
di Socrate, da Critone in primo luogo, l’altro da Socrate, in una tragica
solitudine. Il primo modo può essere descritto così: l’uomo
deve far trionfare la giustizia nel mondo; il secondo (quello socratico)
dice: all’uomo è chiesto solo e sempre di agire con la giustizia.
Certamente Critone è un abile argomentatore, e non fa fatica a mostrare
le disastrose conseguenze nella famiglia di Socrate, nella società
ateniese, della sottomissione ad una sentenza ingiusta. Ma per Socrate
il primo problema di chi sta per prendere una decisione, non è di
prevedere e giudicare le conseguenze certe o probabili della stessa. Il
primo problema è di sapere se ciò che decido è giusto
o ingiusto.
C’è una certezza alla base della posizione socratica: non ci
può essere altro modo di far trionfare la giustizia che quello di
agire con giustizia. La giustizia è immediatamente un’esigenza della
persona, non del mondo. E c’è un’obiezione o una domanda radicale
che Critone muove: anche quando tutto ciò significa la morte del
giusto stesso che nel mondo agisce con giustizia? e qui la certezza di
Socrate finisce in una sorta di «scommessa»: è sicuro
che l’ingiustizia è sempre un male, ma non è altrettanto
sicuro che la morte sia sempre un male. La ragione umana ha toccato il
limite delle sue possibilità: ha posto le supreme domande, quelle
sul significato della morte del giusto a causa della sua giustizia, alle
quali non sa più rispondere.
Ponendo la domanda sul significato della morte (del giusto), ha posto
la domanda sul significato del vivere: se valga la pena di vivere in questo
mondo in cui non si trova posto per la giustizia e per il giusto. Se un
tale mondo sia il vero mondo. Ed è proprio in questa domanda che
si insedia un’intima contraddizione dalla quale l’uomo lasciato a se stesso,
non ne uscirà mai. O la decisione per cui il senso della vita sta
in un mondo “ideale” verso il quale fuggire, togliendosi da questo mondo
che è solo inganno: la verità è l’ideale. O la decisione
di “far trionfare la giustizia” con le nostre stesse mani, trascrivendo
nel tessuto intrinsecamente ingiusto di questo mondo un mondo ideale e
come tale utopico, cioè non esistente in nessun luogo. O la passiva
ritirata dell’umanità fuori dalla storia o il (demoniaco) tentativo
di distruggere questa creazione per sostituirla con un’altra. È
dentro a questa intima contraddizione che viene a dimorare il Giusto; il
Giusto sofferente.
Nel cap. quinto del Libro dell’Apocalisse di Giovanni (vv. 1-9) si
narra una scena di straordinaria potenza, nella quale viene precisamente
descritta la dimora del Giusto sofferente, dell’Agnello immolato, dentro
all’intima contraddizione della nostra storia.
Il libro, posto nella destra di Dio, contiene il mistero che unisce
gli uomini a Dio, i decreti ed i giudizi divini riguardanti quella rigenerazione
e quel compimento della storia del mondo che sfocia in una nuova umanità.
Ma esso è sigillato con sette sigilli.
Chi potrà compiere le due azioni essenziali, rompere i sigilli
ed aprire il libro: togliere ciò che impedisce al piano divino di
realizzare e compiere ogni giustizia? Nessuno ci riesce. Non coloro che
sono nei cieli: i martiri possono solo invocare e chiedere “quando vendicherai
il nostro sangue”? Non coloro che sono sulla terra: nonostante i molti
che hanno fatto il possibile e l’impossibile per portare a termine l’impresa.
All’uomo è noto il suo proprio fine. Il fine dell’intera vicenda
storica non gli è noto. La regola principale ed eminente della vita
umana non è quindi deducibile dal disegno della storia, ma è
dato dalla legge morale da Colui che possiede nella destra il libro sigillato.
Non coloro che sono sotto terra: il Satana ha tentato anche il Giusto,
il Cristo, di seguire la sua proposta per realizzare il Regno.
“Io piangevo molto perché non si trovava nessuno degno di aprire
il libro e di leggerlo” (4). Ecco la reale condizione dell’uomo giusto:
un immenso desidero che non può trovare compimento. Il libro deve
essere aperto: deve esserci qualcuno capace di farlo. Ma l’identificazione
di Questi è umanamente impossibile. Di qui il pianto del Giusto.
“Uno dei vegliardi consola Giovanni con queste parole: non piangere
più. Basta questo comando a sollevarlo dalla sua tristezza, senza
bisogno della spiegazione successiva, che indica il motivo per cui non
deve più piangere. Egli gli dichiara che il leone di Giuda, il forte,
il potente, il germoglio di Davide che possiede la promessa ha vinto e
che lo scopo di tale vittoria era quello di aprire il libro e i suoi sigilli.
Lo scopo e la ricompensa nello stesso tempo. Ora Giovanni vede la soluzione.
Sa chi è quegli di cui il vegliardo parla, chi ha vinto e sa che
si tratta della vittoria sulla morte degli uomini. Egli ha vissuto questa
vittoria e capisce che la vittoria sulla morte e la rottura dei sigilli
sono lo stesso evento” (Adrienne von Speyr, L’Apocalisse, vol. 1°,
Ed. Jaca Book, Milano 1983, pag. 189).
Colui che ha vinto, lo ha fatto nella sua sofferenza e morte: è
un Agnello immolato il forte che rompe i sigilli ed apre il Libro. E’ la
sofferenza e morte del Giusto, che ha riportato la giustizia dentro al
nostro mondo e ci rende capaci, perché giustificati, di produrre
frutti di giustizia.
Uno ha preso sopra di sé il peso del peccato degli uomini e,
proprio in questo, li ha redenti. E’ da questo atto redentivo che gli uomini
attingono la certezza e vivono l’esperienza del Dio-con-noi, in questo
mondo. “Dio non è più al di là, egli è presente
nell’amore che unisce gli uomini, nella purezza e nella gioia non più
contaminata dal timore. Neppure la morte ha il potere di soffocarla” (D.
Barsotti).
|