«I problemi della famiglia»
Relazione sul tema “Che diritto ha lo Stato di regolamentare la fecondazione artificiale?”
Roma, Hotel Columbus, 21 marzo 1985
L’introduzione a tutta la mia riflessione seguente è costituita da un’affermazione di san Tommaso, che riguarda il rapporto fra l’etica ed il diritto statuale.
«lege humana non prohibentur omnia vitia a quibus virtuosi abstinent, sed solum graviora, a quibus possibile est maiorem partem multitudinis abstinere, et praecipue quae sunt in nocumentum aliorom, sine quorum prohibitione societas humana conservari non possent» (1, 2, q. 96, a. 2).
Sarebbe lungo giustificare razionalmente questo principio regolativo dei rapporti fra l’ordine etico e l’ordinamento giuridico. Esso è stato citato semplicemente per dire che tutta la mia riflessione seguente sarà illuminata da esso.
1. La domanda a cui vorrei dare una risposta può essere formulata in questi termini: supposta l’acquisizione da parte dell’uomo della possibilità di dare origine alla vita umana al di fuori della unione sessuale, come deve essere giuridicamente regolamentato l’esercizio di questo potere?
Prima di dare una risposta a questa domanda, devo almeno enunciare alcuni presupposti alla domanda medesima.
Il primo. Occorre assolutamente chiarire il concetto di etica e di ordine etico. Che l’etica abbia come oggetto suo proprio l’agire della persona è lapalissiano. Ciò che è importante notare è che l’ordine etico non esprime dei gusti individuali, delle preferenze personali, dei sentimenti, così che la responsabilità etica di chi esercita la pubblica autorità debba limitarsi semplicemente a cercare dei compromessi, delle convergenze fra opposti interessi. E l’etica non è neppure il calcolo delle conseguenze che deriverebbero da una supposta legittimazione di un determinato comportamento, un calcolo fondato semplicemente ed ultimamente su un bilanciamento di beni in questione, così che la responsabilità etica del pubblico potere debba limitarsi a legittimare quei comportamenti che avrebbero, alla fine, conseguenze meno dannose. La prima e fondamentale responsabilità etica del potere pubblico in una democrazia consiste nella difesa e promozione dei diritti fondamentali che ogni e singolo membro della società possiede semplicemente in forza del suo essere un uomo. La prima e fondamentale responsabilità, in altre parole, è la difesa del valore assoluto ed incondizionato della persona umana come tale. L’autorità deve riconoscere questo valore, prima di qualsiasi calcolo di conseguenze o considerazioni di desideri, sentimenti. E nessun eventuale successivo bilanciamento di beni in questione, può mettere in questione questo originario riconoscimento, dovuto ad ogni persona semplicemente in forza del suo essere persona.
Il secondo. A questo livello di considerazione della responsabilità etica del potere pubblico, richiamarsi al “pluralismo delle diverse concezioni etiche” è non solo non pertinente, ma è falso e contraddittorio. Infatti, quando si tratta di diritti fondamentali della persona umana, la loro esistenza è semplicemente posta dal fatto che di persona umana si tratta, e non dal fatto che il consenso sociale maggioritario o unanime glieli attribuisce o concede. L’essere persona umana e, dunque, tutto ciò che con questo status è inscindibilmente connesso, non è una creazione della legge civile, ma al contrario, è l’esistenza di persone umane — di soggetti aventi valore assoluto ed incondizionato — che pone in essere e spiega il fatto dell’ordinamento civile statuale. In una parola: non è il consenso che decide ciò che è la persona umana.
Il terzo. È la conseguenza dei due presupposti precedenti. Le persone implicate nella pratica della FIV-ET non sono solamente i due coniugi o, comunque, le due persone adulte che vogliono un figlio: è persona umana anche l’embrione e, pertanto, possiede una pari dignità delle due persone adulte. Da ciò deriva una conseguenza di enorme importanza. Qualsiasi progetto legislativo che tenga conto solo o principalmente della volontà dei due di avere un figlio e non ugualmente dello status umano dell’embrione, è già, per questa sola ragione, eticamente insostenibile.
Alla luce di questi tre presupposti, posso ora riformulare la mia domanda in maniera più precisa: tenuto conto del fatto che ogni legge civile deve difendere ogni diritto fondamentale di ogni persona umana, tenuto conto del fatto che le persone umane in questione non sono solamente due, ma tre, quale legge civile, che voglia regolamentare le procedure tecniche per dare origine ad un individuo umano, possiede quel “minimum” di giustizia morale, da renderla quanto meno tollerabile ad una coscienza morale retta e vera?
Io cercherò di rispondere a questa domanda, cercherò di individuare questo “minimum” etico.
2. La risposta che darò, l’individuazione del “minimum” etico di cui ho parlato, si fonda su alcune affermazioni che voglio ora enunciare e che cercherò di dimostrare.
La prima. A mio giudizio, non esiste un diritto soggettivo della coppia ad avere un figlio. La ragione è molto semplice. Nessuna persona ha diritto ad un’altra persona come tale: al massimo ha diritto ad una prestazione d’opera da parte dell’altra persona, poste certe condizioni. O, in altre parole: una persona come tale non può essere oggetto di un diritto. La ragione di questo sta semplicemente nella uguale dignità di ogni persona umana.
Ciò a cui la coppia ha diritto è di porre quell’atto da cui può essere concepito un figlio. Se con questo debba intendersi anche la procedura della FIV-ET [Fecondazione in vitro con trasferimento dell’embrione], se ha diritto ad esigere questa procedura, credo che nessuno lo voglia affermare, tanto è evidente il contrario, una volta negato il diritto al figlio.
È fuori discussione che la coppia abbia legittimo desiderio del figlio; ma l’identificazione di desiderio legittimo con diritto soggettivo è semplicemente distruttiva della convivenza sociale.
La seconda affermazione è più importante. Si deve affermare il diritto vero e proprio dell’embrione umano ad essere concepito in vivo da un uomo e una donna legittimamente sposati: ogni persona umana ha il diritto di essere figlio di un uomo e di una donna legittimamente sposati. È questo, forse, il punto nodale di tutta la questione. Le ragioni che dimostrano l’esistenza di questo diritto sono molteplici e fra loro strettamente connesse. Procediamo per gradi.
In primo luogo, si deve affermare il diritto dell’embrione ad essere concepito dalla congiunzione sessuale, naturalmente cioè. Infatti, è fuori discussione, e non messo in dubbio da nessuno, che la fecondazione in vitro costituisce una sperimentazione sull’ovulo umano fecondato. Primariamente, perché la FIV ha dovuto essere messa a punto e ciò ha comportato la previsione e la voluta distruzione di molti embrioni umani (1) che nessun fine buono può giustificare, poiché nessuna persona umana può essere trattata come un mezzo. Inoltre, la FIV-ET comporta di fatto la “produzione” di embrioni eccedenti, fra i quali si dovrà fare una scelta e prendere una decisione di condanna a morte. Ora, perché deve essere scelto l’embrione A e non B,C,D? Se si dice che anche in natura si ha questa “perdita di embrioni”, si fa una terribile confusione. Infatti, si ha problema etico solo quando si ha a che fare con un atto umano e, reciprocamente, ogni atto umano ha un’implicazione morale. E, quindi, se in natura avviene qualcosa, l’etica non ne è implicata; se l’uomo compie un atto, è necessariamente implicato nell’ordine etico. È qui tutta la differenza fra “in vivo” e “in vitro”. In sintesi: ogni embrione umano ha diritto ad essere concepito in vivo, poiché nessun uomo ha diritto di vita o di morte su un altro essere umano innocente.
In secondo luogo, si deve affermare il diritto di ogni embrione umano ad essere concepito da una coppia legittimamente sposata. In primo luogo, per la ragione che dirò fra breve. In secondo luogo, perché solo in questo modo è assicurato che il diritto fondamentale di ogni individuo umano ad essere sia educato, sia pienamente rispettato: solo l’uomo e la donna posseggono il “plenum” di quella “humanitas” che consente di educare integralmente un’altra persona umana; solo il vincolo legittimo del coniugio assicura quella stabilità di cui l’opera educativa ha bisogno.
La terza affermazione è che la famiglia non è una istituzione creata dalla legge dello Stato e, dunque, soggetta al suo potere, per principio, senza limiti. In una parola: è una società naturale.
Non penso sia necessario soffermarmi a lungo per dimostrare questa affermazione, tanto essa è inscritta profondamente nella definizione stessa della persona umana, costituisce una delle scriminanti essenziali fra società democratica e totalitarismo, è un punto fermo della visione giudeo-cristiana dell’uomo. Ma bisogna essere coerenti fino in fondo. Tutti sappiamo che il fatto originario che istituisce la società familiare è la relazione paternità/maternità-filiazione. Ora, la progressiva artificializzazione della procreazione conduce progressivamente ad espropriare la coppia della sua relazione procreatrice al figlio. Ed, infatti, fin da ora, sono già possibili tre tipi di genitori: genetici, gestazionali, socio-educanti. Se si dicesse, a questo punto, che lo Stato ha il potere di decidere quale di questi tre tipi costituisce la società familiare, ciò equivale a dire che compete allo Stato decidere la struttura stessa della famiglia: il che è la negazione della naturalità della società familiare ed è sempre stata una costante di ogni progetto totalitario, da Platone in poi (2).
Alla luce di queste tre affermazioni, cercherò ora di rispondere alla domanda che mi sono posto, prendendo in esame caso per caso.
A) Resta al di sotto di quel “minimum ethicum” che la legge civile deve garantire la legittimazione della AID, della FIV-ET nella quale uno dei due gameti — e tanto più se ambedue — non appartiene alla coppia che chiede la procedura, della FIV-ET che implica la distruzione di embrioni eccedenti, di ogni procedura che ammetta la separazione fra genitori genetici, genitori gestazionali, genitori educanti.
In altre parole: ogni legge civile che ammettesse una di queste pratiche, sarebbe priva di quel “minimum ethicum” e, pertanto, non sarebbe accettabile, si noti bene, come legge dello Stato.
B) A questo giudizio sembra, quanto meno, sfuggire un solo caso, il “simple case” della FIV-ET, come oggi è comunemente chiamato: fra i due coniugi, con i loro gameti, un solo embrione sempre e comunque impiantato. Una legge civile che legittimasse questa procedura, meriterebbe ancora lo stesso giudizio negativo?
Ho già espresso in molte altre sedi il mio giudizio etico negativo anche su questa procedura. Ma, ora, la mia domanda è distinta: la legge civile deve recepire questo giudizio, pena — se non lo facesse — la perdita della sua dignità di legge civile? Nel rispondere a questa domanda, procederò, ancora una volta, per gradi.
Se consideriamo attentamente l’intima natura di questo procedimento, vediamo che con essa ed in essa l’uomo produce l’uomo: la generazione diviene produzione. Questo cambiamento istituisce, per se stesso, al di là cioè delle intenzioni soggettive di chi lo compie, un rapporto di radicale dipendenza del “prodotto” dal “produttore” che vizia, alla sua sorgente, il rapporto sociale come tale. Nel momento in cui le legislazioni di tutti gli Stati democratici cercano di eliminare dal proprio ordinamento giuridico ogni forma di questo rapporto, non siamo forse costretti a chiederci se la legalizzazione della FIV non introduce nella nostra civiltà giuridica un comportamento che ne mette in dubbio, quanto meno, il suo fondamento stesso?
Questo modo di dare origine alla vita umana implica certamente, e la pratica di questi anni lo conferma, il rischio grave di un eugenismo insostenibile. Esso apre la porta alla manomissione dello Stato, o di un gruppo dominante, sulla riproduzione umana e sulla vita degli individui.
C’è anche un’altra considerazione di non minore importanza. La FIV-ET comporta, ovviamente, un costo economico. Chi lo sostiene? La tendenza in atto fa prevedere che esso sarà sostenuto, alla fine, dallo Stato. Si avranno così “i figli a spese dello Stato”. Esso dovrà ovviamente discernere a chi pagare la procreazione, a chi non. Ci rendiamo conto fino in fondo quale è il significato oggettivo di un simile fatto? Del fatto, cioè, che del sorgere di una vita umana sia economicamente responsabilizzato lo Stato? Del fatto che questo evento non sia più “extra-commercium”? Penso, ancora una volta, che questo fatto costituisca una grave insidia ai fondamenti stessi di un ordinamento giuridico veramente democratico.
Per queste ragioni, resto profondamente perplesso anche di fronte ad una legalizzazione del “semplice caso” della FIV-ET.
Il minimo che chiedo è che si proibisca per il momento questa procedura e si continui in una rigorosa riflessione etico-giuridica.
Note:
(1) Il Prof. Ferrin scriveva dieci anni orsono: “Nello spirito dei biologi, una parte degli ovuli umani che saranno così ottenuti, saranno destinati ad essere sacrificati. In primo luogo per la messa a punto del metodo stesso”. Seguono poi tre altre ragioni “per le quali il biologo sarà praticamente posto nell’obbligazione di sacrificare un certo numero di ovuli umani”: conoscenze dei primi stadi dello sviluppo; sperimentazione di medicinali; efficacità del metodo (cfr. L’homme manipulé, ed. par Charles Robert, Université des Sciences Humaines, Strasbourg, 1974, p. 30 ss.).
(2) Pierre Simon, allora Grande Maestro della Grande Loggia di Francia scrive: “La sessualità sarà dissociata dalla procreazione, e la procreazione dalla paternità. È tutto il concetto di famiglia che è in procinto di vacillare... in un certo senso è la società tutta intera... mediante il medico... che feconda la coppia”. (De la vie avant toute chose, Paris 1979, p. 222; cfr. anche Le Libre belgique del 21/3/1981).
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