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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


La Dignità del Matrimonio
1990


1.

Domandiamoci: il matrimonio ha una dignità? Esso, cioè, appartiene alle realtà che sono dotate di una tale preziosità, da meritare solo rispetto, ammirazione, venerazione? Non è facile rispondere a questa domanda, oggi.

Infatti, nella nostra cultura occidentale di oggi, non esiste più una sola concezione di matrimonio. Esistono varie concezioni, e contrarie tra loro. E quindi, prima di rispondere alla domanda, è necessario chiederci di quale matrimonio si sta parlando, del matrimonio indissolubile o del matrimonio dissolubile; del matrimonio aperto generosamente al dono della vita, o del matrimonio nel quale la contraccezione è normale; del matrimonio a termine e per esperimento, o del matrimonio comunione di vita profonda e senza limiti di tempo? Eccoci arrivati al punto centrale della nostra relazione.

Nella nostra cultura occidentale, oggi, esistono due concezioni così opposte del matrimonio, perché l’uomo che vive in questa cultura non conosce più la verità su se stesso, perché l’uomo è diventato sempre più un enigma a se stesso. Dobbiamo procedere con più ordine, passo dopo passo, a causa della grande difficoltà di questo punto. Siamo passati da una concezione del matrimonio nella quale l’uomo e la donna che si sposano erano e si sentivano liberi nella e sotto la verità, ad una concezione nella quale l’uomo e la donna che si sposano sono e si sentono semplicemente liberi; cioè non esiste una verità del matrimonio che preceda la libertà di chi si sposa; cioè, ancora, l’uomo e la donna che si sposano non sentono più di entrare dentro un Mistero che li trascenda e che esige di essere venerato, ma tutto è oggetto di consenso e di scambio, di contratto. Quando due si sposano, oggi, possono decidere se sposarsi per sempre o fino a quando...; possono decidere se dare origine a nuove vite umane, oppure se rifiutare in linea di di principio, anche il dono della vita, e così via. E la legge civile ha cercato di limitare il meno possibile questo potere contrattuale degli sposi. Vediamo il significato profondo di tutto questo: perché, proprio nel momento in cui l’uomo e la donna sposano, possono pensare di contrattare se donare o non donare la vita, amarsi fino alla morte in ogni situazione, oppure se amarsi solo però a condizione che…?

Come è potuto accadere questo, che si contratti su questo punto? La risposta non è difficile. Perché oggi l’uomo e la donna che si sposano spesso non vedono più nel dono della vita una preziosità, un valore tale che merita di essere fatto; perché non vedono più nella eternità di una comunione intrepersonale di amore una preziosità, un valore tale che merita di essere voluto. In una parola, non vedono più la dignità insita nel dono della vita, la dignità insita nell’eterna autodonazione di se stessi a un’altra persona. Ma queste, dono della vita, dono di sé ad un altro, sono realtà che possono essere scambiate con qualcosa d’altro e sostituite da qualcosa d’altro; sono realtà, cioè, che non hanno dignità, ma hanno solo un prezzo.

In questo consiste la distruzione della dignità del matrimonio. Da una parte la persona è divenuta sempre più incapace di vedere l’intrinseca bellezza dell’amore coniugale indissolubile e orientato al dono della vita; e dall’altra questa intrinseca bellezza è stata semplicemente negata. Come è potuto accadere questo nella coscienza dell’uomo? Ho già detto che solo l’uomo e la donna convinti della bellezza della vita sono disposti a suscitare altre vite. Ho già detto che solo l’uomo e la donna convinti che l’amore eterno e in qualunque situazione può costituire una base su cui giocare la propria esistenza, sono capaci di amare in questo modo. E così, solo l’uomo e la donna che hanno vissuto realmente l’esperienza del vero amore, sanno che esso ha in se stesso il suo premio. Ma allora l’uomo e la donna distruggono la dignità del matrimonio quando hanno spento nel loro cuore la speranza? Questo è ciò che precisamente io penso.

Tre sono le domande fondamentali che possono sorgere nel nostro spirito: cosa posso sapere, cosa devo fare, che cosa ho il diritto di sperare. Ho il diritto di sperare solo di raggiungere quella felicità che deriva dal fragile miracolo della convergenza di interessi opposti? Se è questo che ho il diritto di sperare, e non più di questo, il problema fondamentale è allora quello di trovare accordi entro i quali sia consentito a ciascuno di raggiungere la sua propria individuale felicità. È da questa limitazione della speranza dentro al cuore dell’uomo e della donna che è cominciata la distruzione della dignità del matrimonio.

 

2.

Abbiamo bisogno che questa dignità venga ricostituita?

È la seconda riflessione. È questa una necessità per la persona umana singolarmente presa e per la società civile. Permettetemi di riflettere brevemente su ciascuno di questi due punti. È necessario per la persona umana singolarmente presa, la persona umana che si sposa, ovviamente. Ma anche per la persona umana come tale. La persona umana, infatti, resta incomprensibile mistero per se stessa, fino a quando non vive una profonda esperienza d’amore. Perché? La ragione è molto semplice: nessuno di noi ha deciso di venire all’esistenza. Ciascuno si è trovato nell’esistenza, e dunque ciascuno di noi prima o poi si chiede: ma chi o che cosa sta all’origine del mio esserci, all’origine cioè di me stesso? È una domanda che ogni uomo porta in se stesso, ancora prima di formularla. Il bambino nasce con questo interrogativo, ed egli riceve la sua prima risposta dalla e nella accoglienza di colei che è la prima a riceverlo: sua madre. L’accoglienza della madre assicura il bambino che entra in un universo nel quale l’amore è presente, cioè un universo nel quale la sua persona è attesa, è benvoluta, è venerata, è amata. In uno dei vertici più sublimi della sapienza precristiana, rappresentato in una famosa poesia di Virgilio, rivolgendosi a un bimbo appena nato, dice: “incipe parve puer, risu cognoscere matrem”; comincia a riconoscere, bimbo, quella donna che ti è madre dal modo col quale ti sta sorridendo, (e nessun’altra donna ti sorride come lei), “Risu cognoscere matrem”: il bambino è arrivato in un universo nel quale quale l’amore lo sta accogliendo. Questa prima esperienza è necessaria. Sappiamo oggi più che ieri quali danni, irreparabili, spesso, non solo spirituali ma anche psicologici, sono causati dalla mancanza di questa accoglienza materna. Ma questa accoglienza non è sufficiente. La persona umana cresce, e vive continuamente nel rischio di vedere se stessa gettata in un universo ostile. Solo l’esperienza di un vero amore libera la persona dalla sua disperazione. È questa la semplice e profonda ragione per cui dobbiamo impegnarci a ristabilire la dignità del matrimonio, per donare all’uomo e alla donna la possibilità di vivere nella speranza, vivendo una vera esperienza d’amore. Ma non è meno necessario anche per la società civile.

Tre sono le possibili norme fondamentali che possono regolare il nostro vivere sociale. Esiste una norma utilitarista, secondo la quale i rapporti sociali sono basati sulla utilità dei partner; ciascuno usa dell’altro al fine di raggiungere un determinato bene. Esiste una norma edonista, secondo la quale i rapporti sociali sono basati sul piacere dei partner; ciascuno è con l’altro a causa del piacere che ne riceve. Ed esiste, infine, una norma personalista secondo la quale i rapporti sociali sono basati, ultimamente, sul riconoscimento del valore dell’altro. Nella nostra, come in ogni società di ieri e di oggi, possiamo essere governati dalla norma utilitarista, dalla norma edonista, dalla norma personalista. Proviamo, però, a riflettere, a pensare ad una società nella quale il rispetto della norma personalista sia del tutto assente. In questa ipotesi, a che cosa si riduce il rapporto sociale? Alla esperienza della vita sociale come auspicabile convergenza di opposti interessi. Necessariamente questa esperienza ha ha almeno due effetti. Il primo: il più debole, il più povero in questo tipo di società sarà sempre inesorabilmente soccombente ed emarginato. Il secondo effetto: l’edificio sociale sarà sempre fragile e sempre sottoposto a gravi pericoli. Ciò di cui ha bisogno la società è la presenza in essa di esperienze di reciproca accoglienza, di riconoscimento della persona come tale, di comunità di amore. In una parola: la società civile ha bisogno che in essa ci siano vere comunità coniugali e familiari.

 

3.

E siamo alla terza ed ultima questione. In che cosa consiste allora la ricostruzione della dignità del matrimonio? Quando si è visto profondamente la dignità della comunità coniugale, quando si è visto la necessità ricostruire nella coscienza dell’uomo e della donna di oggi la capacità rivedere questa dignità, e quindi, quando nella misura delle responsabilità proprie di ciascuno ci si impegna in questo senso, noi ci troviamo di fronte a mille difficoltà, a mille serie difficoltà. Non è mia intenzione, né sarebbe mia competenza, enumerare tutte queste difficoltà. Mi limiterò anche per brevità, ad una sola: la grave ambiguità nella quale noi tutti oggi viviamo. Il problema della ambiguità della nostra cultura occidentale odierna è un problema enorme.

Generalmente, per ambiguità io qui intendo l’incapacità di parlare lo stesso linguaggio intendendo le stesse cose. Siamo nella babele dei significati, perché la stessa parola comunica oggi opposti significati. Vorrei semplicemente darvi tre esempi di questa ambiguità di oggi. La prima di queste ambiguità su cui attirare la vostra attenzione è quella che si nasconde nel termine “persona”. Il Concilio Vaticano II e Paolo VI hanno insistito sulla necessità di una visione personalista dell’uomo, di una visione personalista dell’amore coniugale, e come è ben noto Giovanni Paolo II ha dedicato larga parte del Suo magistero in questi 12 anni di pontificato al tema della dignità della persona umana, al tema della visione personalista dell’amore e dell’etica coniugale. In che cosa allora consiste l’ambiguità, di cui è carico questo termine persona, personalista? Nel fatto che i significati connotati da questo termine nel magistero della Chiesa, sono completamente diversi da quelli connotati nella tradizione umanistica contemporanea. La tradizione umanistica contemporanea, infatti, mediante il termine “persona” indica un soggetto libero e autonomo, alla ricerca della sua propria felicità individuale, spesso in necessaria e inevitabile competizione con la ricerca altrui della propria felicità, ricevendo restrizioni dalla società civile e statuale, come la controversia sull’aborto ha dolorosamente dimostrato. Questa tradizione umanista è aliena da ogni definizione realista di persona, cioè per essa sono persone solo i soggetti che possono affermare i propri interessi e difenderli contro gli altri, il che ovviamente, non può avvenire dalla persona umana già concepita e non ancora nata, e pertanto a questo si nega lo statuto stesso di persona, dicendo che non è questa una persona. Nella tradizione cristiana, invece, persona significa un soggetto ontologicamente riferito a Dio che lo ha creato e in comunione con le altre persone, in una comunione di destino che non si realizza solo nel tempo, ma che si compie nella eternità. Qui libertà non è primariamente libertà “da”,  ma è libertà “per”  la costruzione umana nella quale ciascuno sia riconosciuto e voluto in se stesso e per se stesso nell’impegno comune per il bene comune, non inteso solo come la somma delle felicità individuali, ma come la creazione di quelle condizioni nelle quali a ciascuno è consentito di realizzare in verità la sua dignità di persona.

La seconda grande ambiguità si nasconde nel termine “amore”. Come ho già detto, la persona umana scopre la più profonda verità su se stessa solo vivendo una vera esperienza d’amore. Ma che cosa significa “amore”, in quanto relazionato a sessualità nella tradizione umanistica contemporanea?

Questa tradizione, in primo luogo, ha nettamente separato la sessualità dalla procreazione, e la procreazione dalla sessualità, e considera questa separazione totale come il recupero della responsabilità da parte della persona umana nella gestione, come si dice, della propria sessualità medesima. Nella realtà, questa separazione ha finito col deresponsabilizzare l’uomo e la donna nei confronti della propria sessualità e nel ritenerla semplicemente come luogo, per molti l’unico, nel quale è possibile vivere una vera esperienza personale, perché piena di piacere. La dottrina della Chiesa, tuttavia, mediante la parola amore, significa qualcosa di ben altro, anche quando lo riferisce alla sessualità umana. Per essa, infatti, c’è un modello supremo della esperienza e della verità dell’amore, ed è il dono che Cristo stesso ha fatto di se stesso sulla croce. Così in questa visione, amare significa donarsi senza limiti, né di tempo, né di luogo. C’è, infine, una terza ambiguità sulla quale vorrei attirare la vostra attenzione; quella che riguarda il termine “procreazione responsabile”. Nella tradizione cristiana il genitore non è solamente la sorgente della vita fisica del bambino, ma anche della sua vita spirituale. È la trasmissione, cioè, della fede cristiana che è vista come il più alto dono che i genitori possono fare ai loro figli. Il collocare nella “trasmissio fidei”, nella trasmissione della fede, il momento e il vertice del rapporto educativo genitori-figli, inserisce in questo stesso rapporto una misura essenzialmente diversa da quella che solitamente si pensa. Nella tradizione umanistico-contemporanea, invece, il bambino, il figlio, è sempre più visto come ciò di cui un uomo e una donna hanno bisogno per realizzare se stessi. Quando non ne hanno bisogno, quando è superfluo, allora è abortito. Quando è assolutamente necessario, allora lo si vuole, costi quello che costi; le varie procreazioni artificiali. Anche nel modello tradizionale della famiglia c’era stato il pericolo e la realtà di una strumentalizzazione dei figli, voluti come possibili braccia, necessarie alla conduzione dell’azienda familiare. Ma una tale mancanza di rispetto verso il bambino, quale si ha in questa tradizione umanistica contemporanea, credo che raramente nella storia dell’umanità sia accaduto.

 Si ha dunque un’ambiguità, nell’idea di persona, nell’idea di amore, nell’idea di procreazione, cioè precisamente nelle tre fondamentali dimensioni della vita coniugale e familiare. Così possiamo dare la risposta a quest’ultima domanda: “in che cosa consiste la ricostruzione della dignità del matrimonio?”: nella ricostruzione della dignità della persona, nella ricostruzione della dignità dell’amore umano, nella ricostruzione della dignità della procreazione umana.

 

Giungo alla riflessione conclusiva: il modello cristiano di matrimonio e di famiglia non può e non deve essere confuso, come ancora a volte capita, con il cosiddetto modello tradizionale di matrimonio e di famiglia, quale si è realizzato nel passato, così come non può nascere, non è un compromesso, con ciò che ho chiamato la tradizione umanistica contemporanea, che oggi domina la nostra cultura occidentale. Esso è qualcosa di diverso. Esso è semplicemente la testimonianza e la rivelazione delle intenzioni ultime che il Creatore ebbe quando creò l’uomo e la donna, intenzioni che Egli stesso ci ha rivelato e scrivendole nel cuore di ogni uomo e di ogni donna, e trasmettendole attraverso la Tradizione e il Magistero della Santa Chiesa.

Certo, a livello pratico, la Chiesa si è sempre sforzata con gli sposi cristiani di realizzare questo modello divino. Questo tentativo ha avuto successo, come ha avuto insuccesso, e la tradizione etica della Chiesa ha saputo fare tesoro sia degli uni, sia degli degli altri. Questo, però, non ci deve far pensare che questo modello divino sia un puro ideale verso cui tendere. Esso è qualcosa di più, esso è reale, e già può ora essere vissuto. Il fatto che oggi questa visione cristiana del matrimonio e della famiglia incontri tante resistenze, soprattutto nella nostra cultura occidentale odierna, non deve portarci a confonderlo con ciò che esso non è; né deve portarci ad indebolire la nostra certezza nella verità di esso, né a rendere più fragile la nostra speranza di poterlo realizzare.

Anzi, tutto il contrario, perché all’uomo e alla donna, che in questa rivelazione del matrimonio hanno creduto, e si sono sposati di  conseguenza, è chiesto, in fondo, di essere luce che illumina tutta la casa. Quale luce? La luce della bellezza e della dignità dell’amore, la luce e la bellezza della dignità della persona, la luce e la bellezza della dignità del dono della vita.