OMELIA MESSA CRISMALE 1998
Cattedrale Ferrara
9 aprile 1998
1. “Lo Spirito del Signore è su di me. Oggi si è
adempiuta questa Scrittura”. Le parole della S. Scrittura parlano in primo
luogo di Cristo: in maniera ancora figurata, descrivendo la vocazione di
un profeta della Vecchia Alleanza; in maniera chiara e definitiva quando
Gesù stesso, all’inizio del suo ministero, la realizza nella sua
persona e nella sua vita.
Sono parole piene di mistero poiché intendono svelarci l’origine
della missione del Verbo incarnato in questo mondo, portarci per così
dire alla sorgente da cui essa è sgorgata: “…mi ha mandato”. Siamo
direttamente introdotti nella relazione del Salvatore con lo Spirito che
lo ha “unto”, cioè costituito nella sua missione salvifica. Ma la
Parola di Dio ci rivela anche che questa stessa missione ha avuto la sua
origine dal Padre: “quando venne la pienezza del tempo, Dio [Padre] inviò
il suo Figlio, fatto da una donna” (Gal 4,4). L’avvenimento stupendo
della liberazione dei prigionieri, dell’illuminazione dei ciechi, del lieto
annuncio ai poveri accade nella persona, nella vita, nella parola di Gesù;
è stato progettato e voluto dal Padre mediante lo Spirito
Santo. Esso cioè si radica nella stessa vita trinitaria, come ci
hanno insegnato tutti i grandi Padri della Chiesa: l’economia della
salvezza dipende interamente dalla vita stessa della Trinità
santa ed adorabile.
L’invio da parte del Padre dell’Unigenito nel mondo, trova la sua ragione
unicamente nell’amore del Padre per il mondo: “Dio ha tanto amato
il mondo da dare il suo Figlio unigenito… Dio non ha mandato il Figlio
nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per
mezzo di Lui” (Gv 3,16-17). L’accoglienza da parte del Figlio di
questa decisione del Padre, il consenso del Figlio ad essere inviato
in questo mondo trova la sua ragione unicamente nell’amore per il Padre:
“Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché
io faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Gv 8,28). Trova la sua
ragione unicamente nell’amore per l’uomo: “dopo aver amato i suoi
che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13.1). L’antica
parola profetica, “lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché
il Signore mi ha consacrato con l’unzione”, trova pertanto in Cristo, “inviato
a portare il lieto annuncio ai poveri”, una realizzazione assolutamente
unica, sulla quale è solo possibile balbettare qualcosa. Inviato
dall’amore del Padre, venuto per amore del Padre verso l’uomo, Gesù
è veramente costituito salvatore dalla unzione che è lo Spirito
Santo: “lo Spirito… è il medium in cui il Padre invia in libertà
e pura grazia il Figlio… ed è il medium in cui e mediante cui il
Figlio risponde… colla sua obbedienza alla missione del Padre” (W. Kasper,
cit. da H.U. von Balthasar, Teodrammatica, vol. III, ed. Jaka Book, Milano
1985, pag. 175). Costituito nella nostra umanità dallo Spirito Santo
(cfr. Lc 1,35), il Figlio si affida totalmente in conformità alla
volontà del Padre, all’azione dello Spirito. L’azione che lo spinge
ad annunciare ai poveri un lieto messaggio, a proclamare ai prigionieri
la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli
oppressi e predicare un anno di grazia del Signore.
Ecco il mistero che stiamo celebrando! Il mistero dell’unzione del
Verbo incarnato da parte dello Spirito; il mistero del suo dies natalis
come sacerdote della nuova ed eterna Alleanza; il mistero della presenza
nella sua santa umanità dello Spirito Santo, mediante il quale Cristo
“offrì se stesso senza macchia a Dio” perché, intervenendo
la sua morte, coloro che sono chiamati possano ricevere l’eredità
eterna che è stata promessa (cfr. Eb. 9,14.15).
2. “ Lo Spirito del Signore è su di me, perché il
Signore mi ha consacrato con l’unzione”. Le parole della S. Scrittura parlano
anche di ciascuno di noi in Cristo: descrivono anche il dies natalis del
nostro sacerdozio in Cristo. Tocchiamo qui le radici più profonde,
eterne, non solo e non principalmente del nostro ministero sacerdotale,
ma del nostro essere sacerdoti: della nostra predestinazione ad essere
partecipi in modo singolare dell’unzione del Verbo incarnato come sacerdote
della nuova ed eterna Alleanza.
E’ con un unico atto ed in unico movimento di amore che il Padre nello
Spirito Santo ha consacrato l’Unigenito e ciascuno di noi. Fin dal principio,
ciascuno di noi è stato incluso nella unzione del Verbo incarnato,
per essere mandato ad annunciare ai poveri il lieto messaggio. E se il
dies natalis del nostro sacerdozio è un giorno, mese ad anno del
calendario umano, esso però ha la sua alba nella vita intima della
Trinità Santa ed adorabile: il vero dies natalis è la nostra
eterna predestinazione ad essere partecipi dell’unzione di Cristo. Le radici
del nostro sacerdozio affondano nel dialogo salvifico intercorso fra il
Padre ed il Figlio nello Spirito Santo. Con piena verità, pieni
di stupore e di gratitudine, possiamo narrare la nostra più profonda
autobiografia così: “lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunciare
ai poveri un lieto messaggio”.
Riscoprendo oggi il nostro dies natalis, riscopriamo la nostra dignità.
Oh non abbiamo paura di pronunciare questa parola! Noi la pronunciamo non
come la pronuncia il mondo. Il mondo la pronuncia e pensa onori, primi
posti, potere sugli altri. Noi pensiamo semplicemente verità del
nostro essere sacerdoti. Ovunque tu sia a svolgere il tuo ministero, qualunque
sia il risultato apparente del medesimo, tu sei colui che il Padre ha reso
partecipe della stessa unzione – missione di Cristo: la verità del
tuo essere – sacerdote è nell’essere sacramento della presenza di
Cristo in mezzo al mondo. Nella vita di ciascuno di noi si fa leggibile
il ministero stesso di Cristo. Questa è la nostra incomparabile
dignità. Non rinunciamo mai ad essa: la rinuncia da parte di una
persona alla sua dignità è la più grande tragedia
spirituale. Questa rinuncia comincia ad insidiare la nostra esistenza sacerdotale
quando siamo tentati di misurarla secondo la stima che generalmente il
mondo ha di un ministero più che di un altro; quando cominciamo
a perdere nel cuore la gioia di essere sacerdoti; quando non siamo capaci
di accostarci all’uomo nel suo mistero più grande, cioè nel
mistero della Redenzione; quando cioè come fossimo ipnotizzati dalla
realtà sensibile, non vediamo più la nostra esistenza immersa
dentro all’economia di salvezza, progettata dal Padre in Cristo.
La nostra dignità dunque consiste nella verità del nostro
essere ed agire sacerdotale, “vicem gerentes Christi”. Lo Spirito ha spinto
Cristo ad offrire se stesso sulla Croce: lo stesso Spirito spinge ciascuno
di noi ad offrire se stesso in Cristo, per la salvezza dell’uomo. Che cosa
significa salvezza dell’uomo? Uomo nella pienezza della sua verità
e dignità. Siamo i servitori della dignità dell’uomo, perché
siamo i servi della Redenzione. L’unzione di cui siamo partecipi ci spinge
ad entrare sempre più profondamente nel “mysterium” della Redenzione
e quindi nel “mysterium” della Eucaristia, per essere custodi inviolabili
del “mysterium hominis”.
Tutto è racchiuso nella preghiera che abbiamo appena elevato
al Padre: “O Padre, che hai consacrato il tuo unico Figlio con l’unzione
dello Spirito Santo, e lo hai costituito Messia e Signore, concedi a noi,
partecipi della sua consacrazione, di essere testimoni nel mondo della
sua opera di salvezza”. Amen.
Carissimi fratelli e sorelle: consentite che rivolga anche a voi una
parola. E’ parola semplice: amate i vostri Sacerdoti; abbiate di loro una
profonda stima: sono gli unti del Signore; pregate per loro, perché
siano in verità il sacramento vivente dell’amore di Cristo, i servi
della Redenzione.
|