Giovedì Santo - Messa crismale
Cattedrale di S. Pietro, 20 marzo 2008
1. "Lo Spirito del Signore è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione: mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri". Le parole profetiche si compiono in Cristo, che nella sinagoga di Nazareth afferma: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi".
Carissimi fratelli nel sacerdozio, il fatto che la Chiesa nella solenne memoria del nostro dies natalis ci presenti il sacerdozio di Cristo in questo modo, ci dona materia di profonda meditazione e preghiera.
Il nuovo sacerdozio di Cristo si realizza nella cura che egli si prende della dignità ferita dell’uomo; nella condivisione piena di compassione con ogni miseria umana: "fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà agli schiavi … allietare gli afflitti in Sion". Questa sera noi ascolteremo la narrazione del più sconvolgente gesto di umiltà e di servizio fatto dal Signore: egli lava i piedi ai suoi discepoli.
Lo Spirito Santo ha donato alla Chiesa un libro intero della S. Scrittura, la lettera agli Ebrei, per aiutarla a comprendere l’incomparabile novità del sacerdozio di Cristo. Egli lo esercita non sacrificando qualcosa, ma donando se stesso, divenendo in questo modo redentore pieno di compassione dell’uomo ferito, umiliato ed oppresso. Il ministero della nuova ed eterna Alleanza non è esercizio della virtù morale della religione, ma la donazione di sé per l’uomo.
"Gli disse Simon Pietro: Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo". Anche il nostro capo ha bisogno di essere lavato, per la grave difficoltà che proviamo di capire la sorprendente novità del sacerdozio di Gesù: sacerdozio che è abbassamento; che è solidarietà con l’uomo ferito, riversata nel nostro cuore dall’oblazione eucaristica di Cristo, e non certo di origine semplicemente umana.
Ma non solo il capo, anche le nostre mani hanno bisogno di essere lavate.
L’accenno alle mani ci fa ricordare uno dei riti più suggestivi della nostra ordinazione sacerdotale. Inginocchiati davanti al Vescovo, abbiamo steso le nostre mani perché fossero unte col sacro Crisma. Come sappiamo, il Crisma è il segno dello Spirito Santo e della sua forza, che è la forza dell’amore. L’unzione coincide coll’apertura delle mani.
La "mano che si chiude" e la "mano che si apre" sono il linguaggio del corpo di una persona che, rispettivamente, prende o dona, tiene per sé o offre all’altro. Chiediamo che lo Spirito Santo prenda possesso di ciascuno di noi perché ci introduca nella novità del sacerdozio di Cristo, ci renda veramente partecipi della sua missione.
È da questo, miei cari fratelli, che dipende anche la nostra felicità. Nel rito dell’Ordinazione ci è stato consegnato il calice: Gesù ci ha consegnato il suo mistero più profondo e personale. È l’effusione del suo sangue che transita attraverso il nostro ministero; è il suo essere mandato "a portare il lieto annuncio ai poveri".
2. Cari fratelli, la tradizione presbiterale della nostra Chiesa ha espresso figure esemplari di sacerdoti che erano profondamente consapevoli della novità del sacerdozio della Nuova ed Eterna Alleanza; sacerdoti che sono
stati piagati nel loro cuore dalla miseria umana. Alcuni di essi, come vi è ben noto, sono in processo di beatificazione. Custodiamo questa splendida tradizione sacerdotale, rinnovandola nel nostro quotidiano servizio sacerdotale.
Che cosa è che la può insidiare? Certamente il degradare il servizio messianico al povero a mera filantropia, come ci ha richiamato il S. Padre nella sua prima enciclica; ma da questa insidia, data la sua rozzezza teologica, non è difficile guardarsi. Anche, e non meno, l’evasione spiritualistica – che non ha solo né principalmente il volto del devozionalismo – la quale ci dà l’illusione di assicurare la necessità di essere col Signore in una vera esperienza di preghiera, mentre in realtà è abbandono della novità del sacerdozio di Cristo. Nel Getsemani Cristo ha esercitato il suo sacerdozio provando stanchezza ed angoscia mortale.
Cari fratelli, è ben impresso nel nostro cuore, nella coscienza che abbiamo di noi stessi, il ricordo del momento in cui abbiamo detto a Cristo il nostro sì, la nostra disponibilità a seguirlo nel sacerdozio della Nuova ed Eterna Alleanza. Ma ci può accadere ciò che è accaduto a Pietro. Spaventato dalla grandezza del mistero in cui cominciava ad essere coinvolto e dalla miseria della sua persona, disse al Signore di allontanarsi da lui. Ed anche noi cominciamo come l’apostolo a dire a Cristo che la cosa non fa per noi: cominciamo a vacillare.
In quei momenti Cristo ci dice: "Non temere, io sono con te; non ti abbandono, se non sei tu ad abbandonarmi". Egli ci prende per mano. "Fissiamo sempre di nuovo lo sguardo su di Lui, e stendiamo le mani verso di Lui. Lasciamo che la sua mano ci prenda, e allora non affonderemo, ma serviremo la vita che è più forte della morte, e l’amore che è più forte dell’odio" [Benedetto XVI, Insegnamenti II, 1 2006, LEV 2007, pag. 445]. Ed il mondo sentirà attraverso il nostro sacerdozio la compassione di Dio per l’uomo.
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