S. Messa Crismale
13 aprile 2006
1. "Lo Spirito del Signore è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri. Oggi si è adempiuta questa Scrittura". Carissimi fratelli, stiamo celebrando l’adempimento della Scrittura di cui abbiamo ascoltato la proclamazione. Ne celebriamo l’adempimento in Cristo, e mediante Cristo in ciascuno di noi.
La santa liturgia odierna ci invita in primo luogo a meditare sul sacerdozio di Cristo .
L’elevazione ipostatica della sua umanità costituisce la sua unzione-consacrazione sacerdotale, ma essa deve essere sempre vista intimamente orientata alla morte sulla Croce ed alla sua glorificazione nella Risurrezione. "Incarnazione, morte e risurrezione sono considerate come i vertici, strettamente collegati tra di loro, di un unico ed identico avvenimento salvifico. L’incarnazione appare ordinata alla morte redentrice che, a sua volta, ha come conseguenza la risurrezione, la quale per l’uomo Gesù significa la pienezza della gloria. La glorificazione rappresenta il punto finale di quel cammino che Cristo percorre dalla incarnazione alla morte" [J. Alfaro, in Mysterium salutis, vol. 5, ed. Queriniana, Brescia 1971, pag. 870]. L’"oggi" di cui parla il Cristo come tempo in cui si compie la profezia, l’"anno di grazia del Signore", è costituito precisamente dall’intero Evento-Cristo, accaduto in tre momenti fondamentali: Incarnazione-Morte-Risurrezione.
L’adempimento delle Scritture è già anticipato nell’Incarnazione; è realizzato nella Morte sulla Croce; è perfezionato nella Risurrezione.
Il Verbo prendendo una natura in tutto simile alla nostra, già accettava per ciò stesso la morte. Prendendo una natura in tutto simile alla nostra, egli è libero della libertà propria dell’uomo, vale a dire di quella libertà che deve responsabilmente decidere sul significato ultimo della vita della persona e quindi della sua morte: "Entrando nel mondo" – scrive l’autore della Lettera agli Ebrei – "Cristo dice: tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato … Allora ho detto: Ecco io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà" [Eb 10,5-7].
La morte poi del Verbo incarnato sulla Croce è nel suo intimo oblazione che il Verbo incarnato fa di Se stesso al Padre; atto di obbedienza nella pienezza dell’amore. E’ l’unico, vero, perfetto sacrificio che esprime umanamente in forma perfetta la divina figliazione del Verbo; è l’atto nel quale ciascuno di noi è stato liberato dalla sua condizione di peccato.
La Risurrezione infine è stata l’accettazione da parte del Padre di questo Sacrificio di Cristo: nella Risurrezione l’atto di auto-donazione fatto dal Verbo incarnato sulla Croce ottiene dal Padre valore eterno. Il Risorto vive permanentemente, partecipa eternamente nella sua umanità alla Vita gloriosa del Padre, come Agnello immolato: "Vidi … un Agnello come immolato" (Ap 5,6). "Il Cristo risorto non muore più, ma l’atto per il quale si è offerto di passare attraverso la sofferenza e la morte per entrare nella gloria, permane anche nello stato glorioso, e anzi è proprio lì che esso trova la sua ultima perfezione, la sua piena realtà di sacrificio gradito e riconciliatore … Il suo sacrificio non ha bisogno di essere ripetuto, poiché esso è sempre attuale" [M.J. Nicolas, Théologie de la Résurrection, Paris 1981, pag. 335].
Questo è il sacerdozio di Cristo: sacerdozio unico, senza ascendenza, senza discendenza (cfr. Eb 7,3). Sacerdozio unico che si esprime in un sacrificio permanente, definitivo, irripetibile, indistruttibile: stat Crux, dum volvitur orbis.
2. Celebrando l’unzione di Cristo da parte dello Spirito, noi oggi celebriamo anche la nostra partecipazione alla stessa: la nostra unzione, il nostro dies natalis come "sacerdoti per il suo Dio e Padre". E’ un immenso mistero; è un dono immeritato. È il "dono" e il "mistero" del nostro inserimento sacramentale nel sacerdozio di Cristo.
L’eterno sacrifico di sé, che Cristo compie in cielo, non è un sacrificio diverso da quello della Croce. E’ questo stesso sacrificio nella sua compiuta realizzazione. Esso non ha bisogno di essere attualizzato: è sempre attuale! Ha bisogno di essere reso presente in ogni luogo e tempo, perché sia dato ad ogni uomo di parteciparvi. Esso è reso presente nel sacramento dell’Eucarestia: sacramentum sacrificii Christi, come dice S. Tommaso.
E’ dentro a questo grande mistero, "mysterium fidei", che è l’Eucarestia, che scopriamo la verità intera del nostro sacerdozio senza del quale l’Eucarestia non esisterebbe.
Ciascuno di noi è il sacramento vivente di Cristo che dona se stesso per la salvezza dell’uomo. La grande teologia cattolica ha coniato una formulazione del mistero del nostro essere ed agire, che dà le vertigini: "in persona Christi". Questa formulazione non significa "a nome di Cristo" o tanto meno "nelle veci di Cristo"; ma una specifica, sacramentalmente reale identificazione col sommo, unico ed eterno Sacerdote. Siamo appunto il "sacramentum Christi-Sponsi Ecclesiae": nel nostro essere e nel nostro agire.
Ciò che ho detto, vale in modo eminente di ciascuno di noi quando celebriamo l’Eucarestia. E da ciò deriva una conseguenza importantissima dal punto di vista della comprensione della nostra vita sacerdotale.
Ciò che è primo ed eminente in un dato ordine di cose, è principio, fondamento e spiegazione di tutto il resto. La celebrazione eucaristica è principio, fondamento e spiegazione di tutta la nostra esistenza sacerdotale. E’ principio perché da essa deriva tutto il nostro ministero; è fondamento perché su di essa la nostra esistenza sacerdotale deve permanentemente stabilizzarsi; è spiegazione perché la celebrazione eucaristica, in quanto espressione eminente del nostro "carattere" sacerdotale, è l’unica chiave interpretativa vera di tutta la nostra esistenza. Potremmo dire in modo sintetico: dobbiamo "dimorare" sempre dentro alla celebrazione eucaristica; essa è la nostra "dimora" abituale. Che cosa significa tutto questo?
Diciamo subito che non significa la riduzione del nostro ministero sacerdotale alla celebrazione dei divini Misteri. Non diremo mai abbastanza che la prima e più urgente espressione del nostro ministero è l’evangelizzazione, senza della quale la Chiesa non può semplicemente neppure cominciare ad esistere. Che cosa dunque significa "dimorare nella celebrazione eucaristica"? che cosa significa fare della celebrazione eucaristica la nostra dimora permanente? La risposta la troviamo precisamente nella rinnovazione delle promesse sacerdotali che faremo fra poco. Ed è un significato che attiene al nostro essere, ed attiene al nostro operare.
3. Attiene al nostro essere. "Volete unirvi intimamente al Signore Gesù?" vi verrà chiesto fra poco. Ecco che cosa significa dimorare nella celebrazione eucaristica. Essere là dove è Gesù: Gesù è sull’altare col suo corpo offerto e col suo sangue effuso. Siamo chiamati a realizzare una tale unione con Cristo da eliminare qualsiasi scarto ed opacità nel nostro rapporto con Lui.
Essere con Gesù: con Gesù che dona Se stesso sull’altare per la salvezza dell’uomo. Siamo chiamati a realizzare una tale unione col Cristo da evitare qualsiasi "uscita" o interruzione dall’attitudine di autodonazione che definisce il nostro ministero.
Essere in Gesù: in Gesù che si fa servo della dignità dell’uomo. Siamo chiamati a realizzare una tale unione in Cristo da vivere un’esperienza profondissima di immanenza stabile l’uno nell’altro.
Ma dire che la celebrazione dell’Eucarestia è la nostra dimora stabile ha anche un significato eminentemente pratico, che attiene cioè al nostro agire sacerdotale ed umano. Ed infatti la stessa domanda continua: "…rinunciando a voi stessi e confermando i sacri impegni che, spinti dall’amore di Cristo, avete assunto liberamente verso la sua Chiesa?"
Ho detto che la celebrazione dell’Eucarestia è l’unica chiave interpretativa vera di tutta la nostra esistenza. Il dramma della nostra vita si trasforma in tragedia quando introduciamo nella nostra coscienza morale altre chiavi interpretative diverse da quella eucaristica. Da che cosa infatti in ultima analisi dipende il progetto con cui ogni uomo configura la sua vita? Dall’idea che egli ha di libertà. Noi siamo ciò che pensiamo sia il significato del nostro essere liberi. Ora due sono le idee di libertà che si scontrano nel cuore di ogni uomo, quindi anche nel nostro cuore: libertà nella [obbedienza alla] Verità; libertà nella negazione della Verità. Nel rapporto fra libertà e verità dimora il dramma dell’umano esistere.
Quale è la verità del nostro essere? E’ la celebrazione dell’Eucarestia il luogo dove impariamo a rispondere a questa suprema domanda. "In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo … Cristo, che è il Nuovo Adamo, svela anche pienamente l’uomo a se stesso" [Cost. past. Gaudium et Spes 22]. E quindi l’uomo non può ritrovare pienamente se stesso se non attraverso un dono sincero di sé [cfr. ibid. 24,4]. La Verità del nostro essere sacerdotale è l’amore; l’amore che fa di noi stessi un dono offerto per la salvezza dell’uomo: nel dono di Cristo, eucaristicamente sempre presente. Cari fratelli, lascio a voi di meditare sulle implicazioni di questa definizione (eucaristica) di libertà come capacità di donarsi.
E’ davvero grande il "dono" e il "mistero" della nostra configurazione a Cristo in forza della quale in Lui e con Lui ciascuno di noi può dire in verità: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio … e predicare un anno di grazia del Signore".
Qualunque sia il ministero che esercitiamo, qualunque sia il luogo in cui ci troviamo, la nostra vita si radica nel dono che Cristo ha fatto di se stesso per l’uomo. Lo Spirito che ci ha unto nel giorno della nostra consacrazione sacerdotale plasmi l’intera nostra persona – corpo, anima, spirito – secondo la forma di questo dono.
|