BIOETICA: IL CONFLITTO DEI MODELLI DI RAZIONALITÀ
Mercoledì 17 gennaio 1996
Illustri Signori,
credo bene ottemperare ad uno dei precetti fondamentali della
logica classica, secondo la quale quando si affronta un problema di particolare
difficoltà, si deve sempre partire dalla spiegazione dei termini.
Nel nostro caso due sono quelli bisognosi di essere definiti, modelli e
razionalità.
Prima però diciamo che parlando di bio-etica intendiamo
parlare di “studio sistematico della condotta umana nell’ambito delle scienze
della vita e della cura della salute dell’uomo, esaminata alla luce dei
valori e dei principi morali”. Ora passiamo alla definizione dei termini
più problematici.
Col termine di “modello” intendo un “protocollo di operazioni
ricorrenti e fra loro connesse, messe in atto per il raggiungimento di
una conoscenza”. Trattasi, dunque di un insieme di operazioni: di che natura
esse siano, risulterà chiaro dopo che avrò spiegato il termine
razionalità, poiché si tratta precisamente di operazioni
razionali. Trattasi di operazioni “ricorrenti”, cioè di operazioni
che sono sempre le stesse, non ovviamente nel loro contenuto, ma nella
loro forma. Le operazioni che Galileo faceva per verificare le proprie
ipotesi sono le stesse che oggi compie ogni fisico: appunto trattasi di
operazioni ricorrenti. Anche se il contenuto dei problemi cambia. Trattasi
di operazioni “fra loro connesse”. La messa in atto di operazioni ricorrenti
non avviene in modo disordinato o casuale: nessun medico fa la prognosi
prima della diagnosi. Le operazioni ricorrenti devono essere poste secondo
un ordine che stabilisce un “prima” e “poi”. Pur trattandosi di operazioni
ricorrenti, esse se sono correttamente compiute conducono sempre
chi le compie, ad un risultato nuovo. Poiché trattasi di operazioni
razionali, esse conducono ad un risultato conoscitivo: risolvono un problema
posto dalla nostra ragione. A chi non è del tutto ignaro di metodologia
scientifica, sarà apparso che la nostra definizione di “modello”
coincide sostanzialmente colla definizione di metodo scientifico, comunemente
accettata.
Assai più difficile è la definizione del secondo
termine, quello di razionalità. Cercherò di semplificare
al massimo, cominciando col dire che stiamo parlando di razionalità
pratica, non speculativa o teorica. La distinzione, come sapete, ci è
stata tramandata dai greci ed è di importanza straordinaria. Per
il momento accontentiamoci di dire che esercito la razionalità speculativa
quando rispondo alla domanda del tipo: “che cosa è...?” oppure “come
è che ...?”; esercito la razionalità pratica quando rispondo
alla domanda del tipo: “che cosa posso/devo fare per ...?” Si potrebbe
dire che la razionalità teorica è interessata a sapere “come
stanno, come sono le cose”, la razionalità pratica a sapere “che
cosa si può /si deve fare per ...”. Dunque, noi stiamo parlando
di razionalità pratica. In che cosa consiste la razionalità
pratica? o meglio: quali sono le operazioni proprie della razionalità
pratica? quando e come noi ragioniamo praticamente? Queste domande sono
tutt’altro che facili: ancora una volta, anche per non essere eccessivamente
lungo, mi limiterò alle idee essenziali, seguendo fondamentalmente
la dottrina di Aristotele, il primo che elaborò una teoria completa
della razionalità, oggi giustamente ripresa e riabilitata.
Noi siamo mossi a fare un uso pratico della nostra capacità
razionale, quando ci poniamo almeno due problemi.
Il primo: quando la soluzione data ad un problema pratico può
considerarsi una soluzione ragionevole? Non dimentichiamo che ci stiamo
muovendo in problemi che riguardano l’agire umano. Faccio un esempio. Esiste
il problema della diffusione dell’AIDS. Se mi chiedo: quale è la
consistenza di questa diffusione? per risolvere questo problema,
ricorro alla statistica, faccio grafici ... Ho compiuto delle operazioni
razionali che mirano a farmi vedere “come sta” la diffusione dell’AIDS:
ho ragionato teoricamente. Se di fronte al problema della diffusione dell’AIDS,
mi chiedo: “che cosa devo/posso fare per risolvere questo problema?” mi
sono posto il problema della soluzione pratica di un problema. Quando la
soluzione pratica è una soluzione ragionevole? Che cosa significa
“ragionevole” in questo caso? Ecco il primo e fondamentale problema.
Il secondo: la ragionevolezza di una soluzione ad un problema pratico,
fa si che essa (soluzione) sia “comprensibile” o anche “giustificabile”?
Immaginiamo che la soluzione giudicata ragionevole al problema della diffusione
dell’AIDS sia la seguente: “isoliamo tutti gli ammalati”. Il fatto che
la soluzione sia per ipotesi ragionevole, fa sì che essa sia anche
giusta? La giustizia di una soluzione coincide anche con la sua ragionevolezza?
Ma guardando più a fondo tutta la questione dell’uso pratico
della nostra ragione, vediamo che esiste anche, ed è il più
importante un terzo problema: in che cosa consiste precisamente la differenza
fra la razionalità pratica e la razionalità puramente teorica?
Dunque, ora possiamo dare una definizione generale di “modello
di razionalità pratica”. Esso consiste in un “protocollo di operazioni
ricorrenti e fra loro connesse, messe in atto per ottenere una soluzione
ragionevole e giusta ad un problema riguardante l’agire umano”.
In che cosa si distinguono i modelli di razionalità pratica?
Precisamente in base al modo con cui intendono che una soluzione ragionevole
(primo problema), è giusta (secondo problema). Quando i modi di
intendere, di definire la ragionevolezza e la giustizia sono fra loro contrari,
allora si ha il conflitto di vari modelli di razionalità. Ed è
la situazione in cui versa oggi la riflessione bioetica. E questo è
precisamente il tema della mia riflessione.
Avrete notato che ho tralasciato, per il momento, di far riferimento
al terzo problema. Esso non è rilevante prima facie per cogliere
il conflitto dei modelli. Lo sarà ad un livello più profondo.
E lo riprenderemo nel secondo punto della mia riflessione.
1. TRE MODELLI DI RAZIONALITÀ
Semplificando all’estremo, ma credo senza tradire la realtà,
mi sembra che i modelli di razionalità pratica oggi dominanti nella
soluzione dei problemi bioetici, siano fondamentalmente tre: gli altri
possono essere ricondotti ad uno di essi. Sono il modello utilitarista,
il modello della razionalità comunicativa, il modello personalista.
Farò ora una presentazione schematica di ciascuno di essi.
1.1.: il modello utilitarista. E’ il modello oggi largamente dominante.
Con questo termine, indico quel protocollo di operazioni ... che giustifica
la soluzione ai problemi della bioetica, sulla base delle conseguenze positive
e negative bilanciate secondo la contrapposizione costi-benefici. Mi spiego.
Quali sono le operazioni “ricorrenti e fra loro connesse” che si devono
compiere quando si vuole dare una soluzione ragionevole e giusta ad un
problema bio-etico? Esse sono le seguenti. Posto il problema, individuare
tutte le soluzioni possibili; vedere quali sono le conseguenze positive
e negative di ogni soluzione; il positivo significa il beneficio che deriva
dalla soluzione, il negativo il costo che la soluzione comporta; individuare
quale soluzione ha minor costo e più benefici.
Quando una soluzione è ragionevole? quando il costo di essa
non è ampiamente superiore al beneficio che ne deriva.
Quando una soluzione è giusta? non esistendo un obbligo di agire
irrazionalmente, essendo razionale ottimizzare il rapporto costo-benefici,
soluzione giusta sarà precisamente quella che a parità/minor
costo assicura maggior beneficio.
Faccio qualche esempio. Chi accetta il modello utilitarista,
ritiene ragionevoli e giusti esperimenti su embrioni, compiuti esclusivamente
con finalità di ricerca, anche se questo comporta la morte dell’embrione
stesso. La ragionevolezza e giustizia di questi esperimenti è ampiamente
fondata sul fatto che il costo (la morte di un solo individuo umano, soprattutto
se gravemente deforme) è chiaramente inferiore al beneficio: quelle
conoscenze potranno aiutare in futuro molte persone umane.
Altro esempio. Per quanto siano limitate le risorse sanitarie,
non è giusto spostare il finanziamento da altre voci del bilancio
alla sanità, se il rapporto costo/beneficio è migliore in
altri campi che in quello sanitario. Se, per esempio, la politica della
casa può presentare un rapporto costo/beneficio superiore, è
ragionevole e giusto investire il denaro in costruzioni.
Altro esempio. Se bisogna scegliere fra una campagna di vaccinazioni
e la realizzazione di un trapianto cardiaco, è chiaro che si deve
scegliere il primo, in base al rapporto costo/beneficio.
Il modello utilitarista intende normalmente il rapporto costi/benefici
in termini economici, comunque di misurazione quantitativa dei medesimi
costi/benefici.
Ho esposto il modello utilitarista nel suo stato puro, diciamo.
In questo stato, nella sua pura essenza, nel dibattito bioetico contemporaneo
raramente esiste: di solito è almeno corretto con il principio secondo
il quale ogni cittadino ha il diritto di accedere ai servizi sanitari fino
al livello del “minimo conveniente”.
Tuttavia (questo è assai importante) nella determinazione
del “minimo conveniente” viene messo spesso in atto quel protocollo, soprattutto
in momenti di difficoltà economica. Pertanto, il “minimo conveniente”
tenderà sempre più a restringersi. Non solo, ma nella soluzione
dei problemi concreti quando ci si trova in situazioni conflittuali, il
criterio delle conseguenze positive-negative bilanciate secondo il criterio
costo-benefici, resta sempre il criterio alla fine decisivo.
1.2.: il modello della razionalità comunicativa. E’ un modello
che oggi si sta imponendo sempre più, anche come correttivo al modello
utilitarista. Con questo termine, indico quel protocollo di operazioni
... che giustifica la soluzione ai problemi della bioetica, sulla base
esclusivamente della procedura seguita per scoprire la soluzione stessa.
Mi spiego.
Ciò che caratterizza questo modello è il suo “formalismo”:
la ragionevolezza e la giustizia della soluzione è condizionata
dalla procedura seguita per elaborarla. Se la procedura di elaborazione
è corretta, la soluzione (qualunque essa sia) deve essere accettata
come ragionevole e giusta.
Quando la procedura (di elaborazione della soluzione) è
corretta? Quando in essa si rispettano due regole fondamentali.
La prima. Si deve accettare come giusta e ragionevole quella
soluzione che è stata elaborata in modo tale che : (a) ogni soggetto
avente diritto vi ha preso parte; (b1) ogni soggetto avente diritto può
mettere in discussione ogni affermazione, (b2) può introdurre nella
discussione qualsiasi affermazione, (b3) può esprimere le
sue aspirazioni; (c) a nessuno soggetto è stato negato l’esercizio
del diritto di cui in (b). E’ stata proposta una formulazione più
semplice: “Che tutti i membri della comunità si riconoscano reciprocamente
come interlocutori con gli stessi diritti e che si obblighino, pertanto,
a esporre i propri argomenti, ad ascoltare quelli degli altri, e a osservare
norme fondamentali nella logica della comunicazione, come l’esclusione
della menzogna” (A. Cortina).
Fermiamoci un momento a riflettere su questa prima regola.
Essa, di fatto, sembra essere una formulazione diversa (e forse più
complicata) della procedura che si deve seguire, e di fatto si cerca di
seguire, in ogni società democratica per la costituzione delle norme
di condotta. Quella prima regola, cioè, è facilmente applicabile
per legittimare le norme generali di comportamento, ma non risulta essere
molto pratica per risolvere i “casi concreti” della Bioetica. Facciamo
subito un esempio. Quale obbligo ho di fronte ad una persona anziana ed
inferma che non sa più parlare sensatamente? Non sapendo più
parlare sensatamente, l’anziano in questione non è più capace
di entrare in quella comunicazione razionale regolata dal primo principio
procedurale.
A causa di situazioni come queste, non infrequenti in medicina,
chi sostiene questo modello della razionalità comunicativa, introduce
la seconda regola procedurale che si deve seguire, per dare soluzioni razionali
e giuste ai problemi bioetici. E’ la seguente: “Qualsiasi soluzione deve
soddisfare la condizione che le sue conseguenze e sottoconseguenze, le
quali risulterebbero se la soluzione proposta fosse accettata universalmente,
possano essere accettate senza costrizioni da tutti gli interessati”. In
base a questa seconda regola, ogni problema concreto sembrerebbe potersi
risolvere. Il problema dell’anziano, per esempio, andrebbe risolto nel
senso di assicurargli l’assistenza medica.
Sennonché, il sostenitore di questo modello si rende conto
di aver solo “spostato” il problema, non di averlo risolto. Ci si può
infatti chiedere: “fino a che punto deve arrivare quell’obbligo? cioè:
all’uso di quali mezzi obbliga?”. Siamo stati condotti ad una distinzione
classica nella deontologia medica, la distinzione fra “mezzi straordinari”
e “mezzi ordinari”. Sarebbe chimerico pensare che esiste un obbligo di
soddisfare tutte le necessità di tutti gli uomini. A questo punto
il modello di cui stiamo parlando, introduce un criterio per determinare
l’astensione dall’obbligo. Esso è il seguente: “solo le necessità
che si possono giustificare in una situazione concreta mediante argomenti
consensuali, cioè in consonanza con i mezzi e le esigenze di tutti
gli altri, devono essere soddisfatte”.
A questo punto possiamo finalmente rispondere, in base al modello
della comunicazione razionale, alle due domande fondamentali.
E’ ragionevole la soluzione di un problema di bioetica, se essa
(soluzione) nasce dal confronto fra le esigenze giustificabili sulla base
dell’applicazione delle due regole procedurali e le possibilità
concrete fissate dall’applicazione del criterio che corregge la seconda.
Più brevemente: è ragionevole la soluzione che risulta dal
confronto fra esigenze giustificabili a priori e necessità/mezzi
giustificati e disponibili a posteriori.
E’ giusta la soluzione che tiene ugualmente conto e delle esigenze
universalmente valide e delle condizioni concrete.
E’ da chiedersi fino a che punto, nella determinazione di ciò
che è concretamente possibile, il metodo della comunicazione razionale
non debba ricorrere al metodo utilitarista. Ma di questo parleremo dopo.
1.3.: il modello personalista. E’ il modello che trova i suoi fondamenti
nella visione cristiana dell’uomo, soprattutto come questa visione
è stata elaborata da S. Tommaso d’Aquino.
Con il termine “modello personalista” intendo indicare quel protocollo
di operazioni ... che giustifica la soluzione dei problemi della bioetica
sulla base dell’affermazione che ogni individuo umano, dal momento del
concepimento al momento della sua morte, possiede una tale dignità
da esigere un rispetto assoluto ed incondizionato. Assoluto, significa
che non si possono giustificare mancanze di rispetto; incondizionato significa
che l’obbligo del rispetto non è “condizionato da ... “, non è
“a certe condizioni”. Obbliga sempre e comunque.
Così formulato, questo modello sembra essere talmente
generico e formale da non avere alcuna rilevanza pratica, cioè da
non essere neppure un modello.
Vorrei allora cominciare a precisarne il contenuto, mettendolo
a confronto coi due modelli precedenti. Nei confronti del modello utilitarista,
il modello personalista afferma che la “giustizia” della soluzione di un
problema di bioetica non dipende solo dalle conseguenze della medesima
soluzione: il modello personalista non è consequenzialista. Esistono
soluzioni (o atti) che in se stesse e per se stesse sono ingiuste,
in quanto precisamente violano la dignità della persona umana. Già
prima di prendere in considerazione le conseguenze, esistono soluzioni
in sé ingiuste.
Nei confronti del modello della comunicazione razionale, il modello
personalista afferma che la “giustizia” della soluzione di un problema
di bioetica non dipende dalla procedura adottata per trovarla. Il consenso
non fa che sia giusto ciò che si consente che sia giusto. Esistono
soluzioni giuste/ingiuste in ragione della loro conformità o non
alla verità-dignità della persona, anche se su di esse c’è
o non c’è un consenso sociale.
Da questo primo approccio al metodo personalista, risultano già
le chiavi di volta dell’edificio argomentativo di questo modello.
Partiamo ancora da un esempio già fatto: è lecito realizzare
esperimenti su embrioni, al solo scopo dell’investigazione scientifica,
anche col rischio della loro morte? In linea di principio, né il
primo, né il secondo modello escludono una risposta positiva. Il
modello personalista argomenta nel modo seguente. Non è mai lecito
fare uso di un individuo umano. Ma l’embrione è un individuo umano
e l’esperimento in questione ha il carattere di uso. Quindi l’esperimento
è ingiusto. Come si vede, si ha una duplice conoscenza di principio,
una di carattere antropologico (l’embrione è un individuo umano)
ed una di carattere etico (l’individuo umano non deve mai essere usato):
si giunge così alla formulazione di una legge morale, l’embrione
non deve mai essere usato. A questo punto si esamina il procedimento tecnico
(gli esperimenti proposti) alla luce delle conoscenze antropologiche e
morali suddette, al fine di verificare se gli esperimenti devono o non
devono essere qualificati come “uso della persona”.
Ora possiamo rispondere meglio alla nostra domanda, alla domanda
a cui ogni modello vuole rispondere.
E’ ragionevole la soluzione di un problema di bioetica, se essa
(soluzione) nasce dalla conoscenza della natura dell’attività proposta
in rapporto al bene propriamente umano della persona, corrispondente alla
verità-dignità della persona medesima.
E’ giusta, quindi, la soluzione che rispetta concretamente, cioè
nell’agire, la dignità di ogni e singola persona umana.
2.: CONFLITTO DI MODELLI
Ho esposto molto succintamente i tre modelli fondamentali. Ma
io ho parlato anche di “conflitto”. Che cosa significa “conflitto di modelli”?
Vorrei ora riflettere brevemente su questa situazione conflittuale.
Se vi ricordate, nella premessa generale dissi che un modello
sorge per rispondere a tre domande fondamentali, almeno. Nella esposizione
poi dei tre modelli, mi sono sempre limitato a verificare come i tre modelli
sopra esposti rispondessero alle prime due. E la terza? E’ il “nodo” del
conflitto, è la vera “materia del contendere” fra i tre modelli.
Di che cosa si tratta? La domanda era formulata in modo molto tecnico e
asettico: “in che cosa consiste precisamente la differenza fra la razionalità
pratica e la razionalità puramente teorica?” In realtà questa
formulazione nasconde un formidabile problema. Consentitemi di iniziare
da osservazioni molto semplici.
Nessuno si mette a discutere con un altro, perché ad uno
piacciono i dolci ed ad un altro non piacciono, per sapere chi dei due
ha ragione. Si tratta di un problema di gusti, si dice: ciascuno ha i propri,
e la discussione è finita.
Tutti discutiamo sulla giustizia o ingiustizia per es. dei termini
della carcerazione preventiva, del sistema fiscale, del dire sempre o non
la verità.
Perché questa diversità? perché sui gusti
non si discute, mentre discutiamo su ciò che è giusto o ingiusto?
Perché nel primo caso si parla di una esperienza puramente soggettiva,
individuale: ciascuno ha i propri gusti. Nel secondo caso, il nostro discutere
connota un’esigenza che si colloca sopra i gusti individuali di ciascuno.
Diciamo: un’esigenza universalmente valida. Diciamo: un’esigenza razionale.
Ma è a questo punto che inizia il “conflitto dei modelli”.
L’utilitarista ed il personalista parlano di “soluzioni ragionevoli”. Ma
che cosa è “ragionevole”? in che cosa consiste la razionalità?
Per il primo si tratta di una razionalità puramente strumentale
e descrittiva; per il secondo si tratta di una razionalità veritativa
e prescrittiva. Mi spiego.
La ragione utilitarista è una ragione puramente strumentale.
Esistono tanti individui che hanno tante esigenze e tanti desideri, tante
passioni: chiedersi se sia giusto, se un desiderio sia buono, non ha senso.
La ragione serve, è strumento dato all’uomo per soddisfare i suoi
desideri, compiere le sue esigenze. E’ “strumentale” a questi. Ovviamente,
non è possibile soddisfare tutte le esigenze di tutti gli uomini.
E’ necessario trovare soluzioni compromissorie. Come? Ecco l’elaborazione
del modello utilitarista: esso serve per “descrivere” la situazione, le
conseguenze dei vari compromessi. Trattasi di un confronto costo-beneficio
in termini quantitativi.
Il personalista rigetta questa impostazione. Perché? perché
la ragione non è strumentale alla soddisfazione dei propri bisogni.
Essa è capace di dare un giudizio sugli stessi: esistono veri bisogni
umani ed esistono bisogni che non sono dell’uomo anche se possono essere
nell’uomo. La ragione pratica è la facoltà che conosce la
verità su ciò che è bene/male dell’uomo come uomo.
Di conseguenza, il giudizio della ragione diventa “prescrizione” della
libertà, perché questa non sia distruttiva della persona.
La legge morale è precisamente la prescrizione della ragione: ordo
rationis.
Allora, quale è il vero conflitto dei modelli? E’ se esista
o non esista una verità universalmente valida su ciò che
è bene/male della persona umana come tale. E’ se esistano o non
esistano quindi delle soluzioni ai problemi di bioetica che sempre e comunque
debbono considerarsi ingiuste. E’ se esistano o non esistano quindi delle
leggi morali negative che non possono, non devono mai essere eccepite.
In una parola: la dignità dell’uomo ha o non ha una consistenza
meta-storica assoluta?
CONCLUSIONE
Mi rendo conto che la mia riflessione è stata assai schematica.
Essa quindi ha taciuto quasi completamente su alcune dimensioni dei problemi
della bioetica che sono essenziali, per esempio quella politica.
Era inevitabile attenersi a questo “schematismo”, in una riflessione
a carattere introduttivo coma le mia di questa sera. Ora sarebbe
possibile, in altre conversazioni, entrare più direttamente nei
problemi specifici della bioetica.
Voglio però terminare riprendendo la riflessione
con cui ho terminato il secondo punto. La bioetica contemporanea
ha posto ormai in modo radicale il problema della verità dell’uomo.
Possiamo accontentarci di un uso puramente strumentale della nostra ragione?
Siamo giunti al punto descritto da Pirandello con le seguenti parole: “sappiamo
ormai che le cose sono un nostro inganno per vivere e che sotto c’è
qualcos’altro, a cui l’uomo può affacciarsi se non a costo di morire
o di impazzire”? O meglio: può affacciarsisenza morire o impazzire,
solo se resta fedele fino in fondo alla sua ragione, alla sua indomita
esigenza di conoscere, al suo desiderio di sapere la verità sul
bene ultimo della persona.
SINTESI BREVE PER LA STAMPA
INTRODUZIONE: definizione dei termini e formulazione del
problema
- Modello è “un protocollo di operazioni ricorrenti
e fra loro connesse, messe in atto per il raggiungimento
di una conoscenza”.
- Razionalità pratica (è di questa solamente
che parliamo) è l’esercizio della nostra ragione, teso
a risolvere un problema del tipo: “Che cosa posso/devo fare per ...” e
non del tipo “come è che ...” (razionalità teorica).
Esercito dunque in questo modo la mia ragione, quando
(a) risolvo ragionevolmente un problema pratico;
(b) risolvo giustamente un problema
pratico.
- Modello di razionalità pratica (MRP) è
“un protocollo di operazioni razionali ricorrenti e fra loro
connesse, messe in atto per ottenere una soluzione ragionevole e giusta
ad un problema riguardante l’agire umano”.
In che cosa si differenziano i MPR? in base al modo con
cui intendono che una soluzione è ragionevole e giusta. Quando trattasi
di modi di intendere logicamente contrari, allora non ho solo una diversità,
ma ho un conflitto di MPR.
1. TRE MPR.
Essi sono: (1.1) il modello utilitarista; (1.2) il modello
della razionalità comunicativa; (1.3) il modello personalista.
1.1.: il modello utilitarista e quello che giudica ragionevole
e giusta la soluzione (dei problemi alla bioetica) il cui costo non sia
ampiamente inferiore ai benefici.
1.2.: il modello della comunicazione razionale è
quello che giudica ragionevole e giusta la soluzione (dei problemi della
bioetica) raggiunta attraverso una procedura nella quale a ciascuno degli
aventi interessi sia dato il diritto di intervenire.
1.3.: il modello personalista è quello che giudica
ragionevole e giusta la soluzione (dei problemi della bioetica) che rispetta
la dignità di ogni e singola persona, dal momento del suo concepimento
al momento della sua morte naturale.
2. CONFLITTO MRP
Il Conflitto consiste in questo. Esiste o non esiste una
verità universalmente valida su ciò che è bene/male
della persona umana come tale? l’utilitarista ed il comunicazionista (forse)
lo nega; il personalista lo afferma. E quindi (ormai sono corollari):
- esistono o non esistono soluzioni ai problemi della
bioetica che sempre e comunque devono ritenersi ingiuste?
- esistono o non esistono leggi morali che non devono
mai essere eccepite?
In una parola: la “dignità” dell’uomo ha o non
ha una consistenza meta-storica?
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