Catechesi ai giovani del Vicariato di Galliera sul tema
"La vita è un pacco?"
Bentivoglio (Bo), 26 ottobre 2006
A questa catechesi avete voluto dare un titolo provocatorio dentro cui urge e alza la voce una grande domanda: che senso ha vivere? Questa sera sono venuto fra voi per aiutarvi a dar una risposta a questa domanda.
Forse la risposta negativa a quella domanda nessuno nei tempi moderni l’ha espressa con maggior forza come W. Shakespeare:
"La vita non è che un ombra che cammina; un povero commediante che si pavoneggia e si agita, sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla" [Macbeth, Atto V, Scena V].
Provate in questo momento a chiedere a voi stessi, ciascuno a se stesso come fosse solo: mi ritrovo in questa definizione della vita? Veramente essa è "una favola raccontata da un idiota … che non significa nulla"? e quindi, ciascuno di noi è "un povero commediante che si pavoneggia e si agita, sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi non se ne parla più"? Teniamo dentro questa radicale contestazione al senso della vita, senza affrontarla di petto, per il momento. Desidero ora – e sarà il primo punto della mia catechesi – portarvi altrove.
1. [Due esperienze di vite sensate]. Vorrei ora riflettere con voi sull’esperienza vissuta da due personaggi a voi ben noti: l’apostolo Pietro e S. Francesco d’Assisi.
Quanto al primo, mi riferisco ad un episodio narrato nel quarto Vangelo [6,67-68]. Gesù ha appena terminato un lungo discorso. Un discorso lungo, per molti aspetti duro e difficile da capire e da accettare. Risultato: delle cinquemila persone presenti e prima entusiaste, ne restano dodici. Un crollo di popolarità a picco, diremmo oggi. A quel punto, e qui lascio la parola all’evangelista Giovanni, "disse allora Gesù: forse anche voi volete andarvene? Gli rispose Simon Pietro: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna".
La risposta di Pietro è formidabile. Egli in sostanza dice: "nella mia vita ho incontrato te; mi hai proposto di vivere con te: in questo incontro che è diventato condivisione di vita, io ho cominciato veramente a vivere; non ti lascio più". Se voi aveste detto a Pietro: "la vita non è che un ombra che cammina … una favola raccontata da un idiota, che non significa nulla", egli vi avrebbe risposto: "non è così! Io sto vivendo la mia vita come una narrazione piena di significato, perché sto assieme ad uno che mi fa vivere veramente".
Proviamo a tirare alcune conclusioni da questo fatto. La vita – la vita concreta di ciascuno di noi – può essere "una favola raccontata da un idiota, che non significa nulla" oppure può essere "una narrazione vissuta da un io, da una persona vera e libera, e che ha in se stessa un significato". Prima conclusione. Accadono incontri che trasformano la vita da "ombra che cammina" a "realtà di una consistenza indistruttibile": da una vita mortale ad una vita eterna. Seconda conclusione. Questa trasformazione implica una libertà capace di prendere decisioni anche forti: tutti se ne vanno, Pietro resta. Terza conclusione.
Ora veniamo a Francesco d’Assisi: un episodio della sua vita non fra i più noti, ma fra i più sconvolgenti. È un dialogo col suo amico fra Leone nel quale si chiede: "quale è, in che cosa consiste la perfetta letizia?". È la stessa domanda che ci stiamo facendo noi questa sera: che senso ha la vita? Come la posso vivere non "come un ombra che passa, una favola raccontata da un idiota?". La risposta di Francesco è la seguente: "se durante una notte d’inverno chiedo la carità di essere ospitato presso i miei frati, e questi mi scacciano costringendomi a passare fuori la notte, dicendomi: "Vattene, tu sei un semplice e un idiota", in questo è la perfetta letizia". Vi prego di non pensare che si tratti di un pazzo; ancor meno di ridere come foste ben più esperti di Francesco nelle questione della vita. Ma prestatemi molta attenzione.
Che cosa fa vivere a Francesco un’esperienza, come quella descritta, di sofferenza e di umiliazione come un’esperienza di "perfetta letizia"? Non vorrei per il momento rispondere, ma prima farvi notare alcune cose.
Primo. L’uomo può vivere anche le esperienze più assurde senza smarrire la certezza che la vita che sta vivendo in quel momento ha un senso. Secondo. Che cosa vuole dire: "ha un senso"? vuol dire che anche in quelle situazioni tu "senti" che è comunque meglio vivere, che la vita non ha perduto la sua bontà intrinseca. Ma come è possibile questo? Ritorniamo per un momento a Francesco. Egli vive la memoria di Cristo: anch’egli è stato oppresso ed umiliato; è la memoria di una persona colla quale Francesco vive: la "perfetta letizia" è di essere come lui, è di stare con lui sempre, perché questa è la vita vera e non "un’ombra che passa".
Proviamo ora a raccogliere i risultati raggiunti meditando su queste due narrazioni. Li enuncio.
- Il senso della vita è un rischio, è una scommessa: la si può perdere e ridurre la propria vita ad essere "una favola raccontata da un idiota … che non significa nulla" oppure si può scoprire e vivere la propria vita in modo tale da dire con Pietro: "ma questa è vita eterna!" e con Francesco "ma quivi è perfetta letizia".
- È la nostra libertà che disperde o custodisce il senso della vita: Pietro se ne poteva andare con gli altri cinquemila; Francesco poteva maledire ed imprecare contro chi lo respingeva.
- La nostra libertà è provocata, è come sfidata dalla realtà di un incontro con una persona nella quale – nella sua vita e nelle sue parole – tu intravedi la possibilità di vivere una vita eterna, vera.
Dunque: rischio – libertà – [realtà di un] incontro sono le tre grandi coordinate dentro cui si svolge il dramma della vostra vita.
2. [La grande menzogna]. Può essere che uscendo da questa catechesi qualcuno preferisca vivere senza rendersi conto del rischio grave che corre la sua vita, quello di divenire "un’ombra che cammina"; di decidere la schiavitù piuttosto che la libertà, lasciandosi semplicemente trascinare da ciò che "si dice – si pensa – si fa" da tutti e quindi di diventare sulla scena "un povero commediante che si pavoneggia e si agita … per la sua ora e poi non se ne parla più". Ma perché può succedere tutto questo?
Critici competenti ritengono che uno dei racconti più belli scritti nel Novecento sia il racconto di Hemingway, "Colline come elefanti bianchi". Un uomo e una donna sono fermi in una stazione, stanno parlando di una operazione che la donna deve subire. Si capisce che è un aborto deliberato. Per convincerla ad abortire l’uomo le dice: "È davvero un’operazione semplicissima, Jig… so che non ci faresti neanche caso, Jig. È una cosa da nulla, veramente. Serve solo a far passare l’aria… Fanno solo entrare l’aria e poi è tutto perfettamente naturale" [in Tutti i racconti, Mondatori, Milano 1993, pag. 308]. Credo che sia una delle pagine più tragiche di tutta la modernità: la soppressione dell’uomo ridotta all’apertura di un pertugio da cui far entrare e passare un po’ d’aria.
Provate ora a chiedervi: come si può arrivare a considerare la soppressione di un uomo come il passaggio di un po’ d’aria? e quindi a considerare la vita, la propria vita, "un’ombra che cammina": qualcosa di assolutamente inconsistente.
Si arriva a questo, ed anche voi – siatene certi – arriverete a questo se vi lasciate irretire dentro ad una menzogna terribile: non esiste la realtà ma solo la mia opinione; la realtà, anche la realtà dell’altro, non è quello che è, ma quello che appare a ciascuno. Chi si lascia irretire dentro a questa menzogna, finisce col chiudersi dentro se stesso; l’incontro con l’altro si riduce ad essere una contrattazione fra diritti ed interessi opposti senza che ci sia più nessun bene umano comune; la libertà è ridotta a vagabondare da un luogo all’altro senza mai compiere scelte definitive ["stiamo assieme fin che ciascuno è felice!"]. Il S. Padre ha detto a Verona: "ha luogo una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale". Miei cari giovani, il senso della vostra vita è a rischio perché siete immersi in una cultura impregnata di quella menzogna. Ed allora – voi direte – che fare?
Vi rispondo con una immagine molto semplice: quella del risveglio mattutino. Provate a pensare che cosa accade quando ci risvegliamo al mattino. Un fatto: entriamo nella realtà; la realtà ricomincia ad essere per noi: cose, persone, dimora, e così via. Tutto questo è reso possibile sia perché "apriamo gli occhi" sia perché "accendiamo la luce".
Il nostro risveglio mattutino è una metafora potente di ciò che possiamo chiamare il risveglio del nostro io. Quale è la luce che scopre davanti a noi la realtà, che ce la fa vedere? è la nostra ragione. Ma se tu tieni chiusi gli occhi? devi usare la tua ragione in tutta la sua capacità; dovete amare molto la vostra ragione. Dovete rendervi conto che il punto di partenza dell'uso della vostra ragione è il contatto colla realtà; è lasciarsi stupire, interrogare dalla realtà. Vi ricordate Zaccheo? Egli usava la sua ragione… per rubare. Ma non si è chiuso a questo; aveva un interesse per quella persona, Gesù, e quindi voleva vederlo. Lo ha incontrato ed ha visto che era possibile una vita diversa; dare un altro senso alla propria vita. Immaginate che quando al mattino vi svegliate, voi rimaneste nella vostra camera da letto per tutta la giornata. Certamente vi sarete risvegliati alla realtà, ma solo ad una parte, ad una regione della realtà. E quella che sta oltre la vostra stanza? Così è possibile non usar fino in fondo la propria ragione, non giungendo mai a conoscere tutto ciò che la realtà ci dona, non percependo il suo mistero.
Se non volete usare la vostra ragione non diventerete mai liberi perché porterete sempre il vostro cervello all’ammasso di chi sa gridare di più; se non diventerete liberi, la vostra vita diventerà prima o poi "un’ombra che cammina … una favola raccontava da un idiota … che non significa nulla". E la soppressione della vostra ed altrui umanità il "passaggio di un po’ di aria".
3. [Pietro – Francesco: è possibile oggi?]. Ritorniamo alla prima parte della nostra catechesi, e ci facciamo allora la domanda finale e decisiva: ciò che è accaduto a Pietro, e ciò che è accaduto a Francesco, può accadere anche a me, oggi? A loro è accaduto un incontro con Gesù; non hanno rifiutato di stare liberamente con Lui: la loro vita ha cessato di essere "un’ombra che cammina".
Prima di rispondere vi faccio notare una diversità: Pietro ha incontrato fisicamente Gesù e Francesco come, dove ha potuto incontrarlo? Non abbiamo ora il tempo di narrare la sua vicenda. Vi aiuto a rispondere ricordandovi una delle pagine più intense della letteratura di ogni tempo: l’incontro dell’Innominato col Card. Borromeo. Ad un certo punto l’Innominato chiede: "Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?". Vedete: è la nostra domanda stessa. Il Cardinale risponde: "Non lo sentite in cuore? … v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa". E l’Innominato s’arrende nell’abbraccio col suo Vescovo. Qui è detto tutto, cari giovani.
Non posso non pensare che non sentiate nel vostro cuore il desiderio profondo di amare e di essere amati di un amore vero; il desiderio di giustizia … Ebbene, questa attrazione che sentite nel vostro cuore è Gesù che la esercita su di voi perché andiate a Lui. Dove lo potete abbracciare? nella sua Chiesa.
La Chiesa è il luogo in cui può accadere l’incontro con Gesù; la dimora del senso. E ciò è vero da almeno due punti di vista fondamentali.
Primo. La possibilità di incontrare Gesù nella Chiesa si concretizza nei gesti oggettivi della vita che nella Chiesa impariamo a vivere: la preghiera e la lettura della S. Scrittura, i santi sacramenti, la vita in comune con chi vive la nostra stessa fede, la devozione alla Madre di Dio, i sacerdoti che vi educano e vi guidano.
Secondo. Per facilitare al massimo l’incontro con Lui, Gesù si manifesta e ci attira più potentemente attraverso quei volti, quelle persone concrete nelle quali noi percepiamo più intensamente il senso di una vita vera. Può essere il volto di quella donna, di quell’uomo, con cui hai iniziato a vivere una storia di vero amore. Può essere il volto di un povero, di un oppresso in cui hai visto il bisogno smisurato di amore ed allora hai cominciato a sentire che Gesù ti chiede di seguirlo nel sacerdozio o nella verginità consacrata.
A questo punto la mia catechesi non può, non deve più continuare: ora deve continuare nel cuore di ciascuno di voi. La scommessa non va rifiutata; siete già imbarcati nel rischio: Gesù vi dona la possibilità di una vita eterna.
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