LA PREGHIERA CRISTIANA
Incontro catechisti 17 gennaio 1999
01. Richiamo ancora una volta lo scopo preciso degli incontri del Vescovo
coi catechisti, e del lavoro (a livello vicariale) che ne segue. La catechesi
è l’atto di trasmettere la fede della Chiesa nella sua armonica
integrità. Essa (catechesi) quindi implica un «contenuto»
da trasmettere, e una «trasmissione» propriamente detta. Sia
l’uno che l’altra sono parti costitutive, e dunque essenziali, dell’azione
che è il «catechizzare». Venendo meno o l’uno o l’altro,
non si «fa catechismo»: si fa qualcosa d’altro, normalmente
buono. Ma non catechismo.
Già ho spiegato che cosa significa «fede della Chiesa
nella sua armonica integrità», in quanto contenuto dell’atto
di catechizzare [fides quae creditur, direbbero i teologi].
L’incontro del Vescovo coi catechisti si propone, ha come scopo
di insegnare ai catechisti i «punti» centrali della fede della
Chiesa: i «momenti essenziali» della sua articolazione. Gli
«articoli della fede» non sono la giustapposizione di tante
proposizioni, ma la composizione di una visione della realtà organicamente
articolata (cfr. App. I all'incontro sulla Creazione del settembre scorso).
02. Contro questa impostazione dell’incontro possono muoversi diverse
difficoltà: superabili da una riflessione attenta.
La prima potrebbe essere quella di ritenere superflua tale riflessione,
conoscendo già i catechisti i contenuti della fede da trasmettere.
Al che rispondo. Che nel catechista ci sia questa conoscenza è una
convinzione che il Vescovo deve assolutamente condividere, altrimenti mancherebbe
gravemente alla sua missione se, privo di questa certezza, desse il «mandato»
ai catechisti. Il problema è quindi un altro. E’ di sapere se possa
esistere non dico un catechista, ma un qualsiasi battezzato che possa dire
di conoscere a sufficienza la fede della Chiesa; che non abbia bisogno
di scrutare ancora là dove anche “gli angeli desiderano fissare
lo sguardo” (1Pt 1,12). La gioia di essere credenti è proporzionata
al desiderio di capire ciò che crediamo.
La seconda potrebbe essere quella che gli incontri sono troppo
«scolastici». A parte il fatto che la «scolasticità»
se sinonimo di chiarezza, di rigore concettuale e di coerenza argomentativa
non è un difetto, non possiamo mai dimenticare quanto anche recentemente
l’Enc. Fides et ratio ha insegnato, che cioè la fede esige di essere
pensata. E pensare è esercizio della ragione rispettoso delle leggi
proprie di questa, e della Rivelazione ricevuta ed accolta. Non è
semplicemente «emozionarsi» o «impegnarsi praticamente».
CChC 2558 03. Nell’ultimo incontro del triennio di preparazione al Giubileo,
cioè questo, parlerò della PREGHIERA CRISTIANA. La dottrina
di fede circa la preghiera è il «vertice» per così
dire della fede della Chiesa, il suo «coronamento». O prima
o poi, quindi, il catechista deve trasmettere questa dottrina al catechizzando:
l’educazione alla preghiera implica anche un insegnamento completo ed organico
sulla preghiera.
Ed infatti delle quattro parti di cui si compone il Catechismo
della Chiesa Cattolica, tutta la quarta parte è dedicata all’esposizione
della fede della Chiesa alla preghiera [dal n° 2558 al n° 2865]:
sono pagine semplicemente mirabili.
Compito della mia esposizione è di indicare alcune idee
fondamentali di quelle pagine, perché siano di guida alla lettura
e stu-dio di esse: lettura e studio da farsi anche nei vicariati.
2566-2567 1. Comincio col richiamarvi i presupposti fondamentali della
dottrina cristiana sulla preghiera. Per «presupposti fondamentali»
intendo quelle verità razionali e rivelate la cui negazione
impedisce di parlare sensatamente di preghiera. Esse sono le seguenti.
- La «personalità» di Dio: o Dio è persona
nel senso metafisico più intenso oppure dire «preghiera»,
cioè discorso umano rivolto a Dio, non ha più alcun significato
proprio. Si può rivolgere un discorso in senso proprio solo ad un
«tu». Una conseguenza: parlare per esempio di preghiera nel
buddismo propriamente non ha senso. Non basta pensare ed un «impersonale
divino» per pregare.
- La «libera provvidenza di Dio» intesa come “le disposizioni
per mezzo delle quali Dio conduce la creazione verso la [sua] perfezione”
(n° 302). Chi riduce l’essere al divenire cosmico della materia, ignorando
la libera creazione dal nulla (cfr. incontro del settembre scorso), lasciando
ad un impersonale «destino» ed alla rigida o casuale concatena-zione
della «natura» il corso ultimo degli eventi, questi non può
più parlare sensatamente di preghiera. Su questo i Padri della Chiesa
erano molto attenti: cfr. per es. S. Agostino, Ep. 236.
- Da parte dell’uomo, ugualmente, la preghiera presuppone che egli
sia «persona» e che sia «libero»: la tradizione
ebraico-cristiana insiste sul fatto che il luogo della preghiera è
il cuore. O si prega nel e dal cuore o non si prega affatto (cfr. 2563:
molto importante).
Insomma: la fondazione ultima della preghiera, ciò che rende
pensabile e quindi praticabile un’attività come la preghiera, è
sia da parte di Dio sia da parte dell’uomo la libertà. E di conseguenza
ogni insidia teoretica o pratica alla libertà mette a rischio la
preghiera nella sua stessa radice.
[Esiste un’opera veramente mirabile su questo, che tuttavia esige notevole
preparazione: C. Fabro, La preghiera nel pensiero moderno, Edizioni di
Storia e Letteratura, Roma 1979].
Ma questi sono per così dire i «presupposti» che
rendono «possibile-pensabile» la preghiera. Ma perché
la preghiera sia praticabile, è necessario che accada un fatto:
che Dio parli all’uomo! E’ necessario meditare attentamente su questo punto.
Se pregare significa propriamente rivolgere il proprio discorso a Dio,
il pregare – come si è già visto – implica che ci si possa
rivolgere a Dio dicendo «Tu». Orbene, nell’ambito della sola
rivelazione naturale non posso avere nessun rapporto diretto ed immediato
col Creatore, ma solo indiretto e mediato: Egli resta sempre «alla
terza persona». Solo se Dio parla direttamente all’uomo, l’uomo può
rispondergli. E’ il fatto che Dio ha parlato a rendere possibile concretamente
la preghiera. “Questo passo d’amore del Dio fedele viene sempre per primo
nella preghiera; il passo dell’uomo è sempre una risposta” (n°
2567). Pregare cioè è sempre rispondere a Dio che ci parla
(cfr. anche n° 2561 e 2653). Una profonda intelligenza del fatto della
Rivelazione è il fondamentale presupposto di fede per capire e praticare
la preghiera.
Per capire meglio il fatto che la preghiera è risposta a Dio
che parla, possiamo ricorrere ad un’analogia. La madre per insegnare al
bambino a parlare, gli parla facendo in modo che il bambino a poco a poco
cominci a ripetere le parole stesse dettegli dalla madre. Ad un certo momento
succede un avvenimento stupendo: il bambino, pur ripetendo le parole insegnategli
dalla madre, diventa capace di esprimere alla stessa sentimenti, emozioni,
desideri. Diventa cioè capace di «rispondere» e di «dialogare».
Analogamente succede nella preghiera.
Il Signore Iddio ci parla. Rivolgendoci la sua parola Egli suscita
in noi la capacità di rispondere: ripetiamo le parole detteci da
Lui (cfr. Rom. 8,26), ma sono parole nostre. S. Basilio Magno dice stupendamente:
“la voce dello Spirito diventa la voce propria di coloro che l’hanno ricevuto”.
Questa è la preghiera! In questa prospettiva si ha una prima, profonda
comprensione dei Salmi, preghiera composta dall’uomo sotto l’ispirazione
divina.
2585-2589 Essi pertanto sono la preghiera del credente.
2. “L’evento della preghiera ci viene pienamente rivelato nel Verbo
che si è fatto carne e dimora in mezzo a noi” (2598). Quest’affermazione
del CChC è di importanza capitale: è la vera chiave di volta
di tutta la dottrina cristiana sulla preghiera. Alla luce di quell’affermazione
noi possiamo comprendere come e perché la preghiera cristiana [non
del cristiano, in quanto – come ci mette in guardia Gesù – anche
noi possiamo pregare come i pagani] è un evento inconfondibilmente
unico.
In ordine all’intelligenza del mistero della preghiera cristiana,
dobbiamo premettere la riflessione su due punti accuratamente esposti nel
CChC:
- il fatto che Gesù Cristo stesso prega [cfr. 2599-2606];
- Gesù ha dato un insegnamento sulla preghiera [cfr. 2607-2615].
Presupposta dunque la lettura attenta di quelle pagine, cercherò
ora di esporre in maniera breve il «nucleo» essenziale della
preghiera cristiana.
Gli studiosi più seri del Nuovo Testamento sono concordi nel
dire che il fatto più sconcertante e più inedito riguardante
in generale il rapporto Gesù-Dio ed in particolare la sua preghiera,
era che Egli quando pregava chiamava Dio «ABBÁ». Egli
si rivolge a Dio chiamandolo col nome con cui il bambino si rivolgeva in
casa a suo Padre: abbiamo nel Vangelo 18 testi di preghiere rivolte da
Gesù al Padre (15 più esattamente se si tiene conto dei paralleli).
Questo fatto è la porta che ci introduce nel Mistero più
profondo della vita intima di Gesù: dentro al suo Cuore.
Nel Vangelo sec. Giovanni (1,18) si dice che il Verbo, l’Unigenito
è eternamente “rivolto verso il seno del Padre”. E’ qui suggerita
certamente la generazione eterna del Verbo. Questo insondabile mistero
è concretamente e metaforicamente descritto in quel modo. Il figlio
è eternamente cosciente di ricevere dal “seno del Padre” tutta la
sua vita, tutto il suo essere: pura “irradiazione della sua Gloria” (Eb
1,3a) [luce da luce: dice il Credo], Egli, il Figlio, è relazione
al Padre: è relazione sussistente al Padre. Siamo illuminati dalla
Parola di Dio sul dialogo eterno fra il Padre ed il Figlio, nello Spirito
Santo.
Questo dialogo eterno è entrato nella nostra povera storia umana,
si è espresso umanamente: “il Figlio di Dio diventato Figlio della
Vergine ha anche imparato a pregare secondo il suo cuore d’uomo” (2599).
La preghiera umana del Verbo è precisamente la traduzione nella
nostra lingua, nella nostra esperienza, del dialogo intratrinitario. L’invocazione
così singolare di «ABBÁ» ci fa riscoprire l’atmosfera
più intima della preghiera di Gesù, e nello stesso tempo
ci permette di intravedere ciò che vi ha di più profondo
nella sua vita: il segreto della sua divina figliazione. Ce lo rivela nella
sua preghiera.
La preghiera di Cristo nella sua assoluta unicità e singolarità
e fondamento, sorgente e ragione d’essere della preghiera cristiana, la
quale partecipa della stessa assoluta unicità e singolarità.
“Ciascuna delle sue preghiere è al tempo stesso detta al Padre insieme
a noi; anche là dove noi non udiamo niente e non ne abbiamo nessun
sospetto, essa esce verso Dio in nostro nome, contiene ciò che renderà
fruttuosa la nostra preghiera, non si lascia costringere in una preghiera
distaccata, privata” (A. von Speyr, Esperienza di preghiera, ed. Jaca Book,
Milano 1974, pag. 13).
3. La rivelazione neo-testamentaria ci dice una cosa che non dovrebbe
mai cessare di riempirci di commozione e di stupore: colla sua preghiera,
il cristiano viene introdotto dallo Spirito Santo nella stessa preghiera
di Cristo. Anzi: la preghiera cristiana è precisamente prendere
parte, partecipare all’intima relazione del Verbo incarnato col Padre.
La preghiera del cristiano è Cristo che dice in lui e con lui e
per mezzo di lui: ABBA’-PADRE. E’ questa l’assoluta originalità
della preghiera cristiana che la rende imparagonabile con ogni altra preghiera,
e che porta a pieno compimento la preghiera di Israele.
Resi partecipi della divina figliazione del Verbo, noi siamo
resi figli nel Figlio: misticamente ma realmente uniti a Lui, orientati
verso il Padre. E’ questa unione la sorgente da cui scaturisce la preghiera
del cristiano: «ABBA’-PADRE»; in Cristo, con Cristo, per mezzo
di Cristo, egli si rivolge al Padre. Forse uno dei testi biblici più
importanti per avere una qualche intelligenza del mistero della preghiera
cristiana è Rom. 8,14-16.
Il testo paolino pone esplicitamente la nostra condizione di
figli adottivi del Padre in rapporto alla persona dello Spirito Santo.
In un duplice senso. Egli è il principio che conferisce l’adozione
e la nostra figliazione è dovuta alla sua azione vivificante.
Lo Spirito è anche il testimone della nostra condizione
di figli (v.16): esiste un’attività dello Spirito nel cuore dei
credenti, in forza della quale noi abbiamo una consapevolezza della nostra
condizione di figli, di essere amati come figli dal Padre.
Questa presenza in noi dello Spirito ci fa pregare come, con
e nell’Unigenito, dicendo: «ABBA’-PADRE». Ecco il mistero della
preghiera cristiana (v.15c). Fermiamoci un momento a riflettere su questo
mistero.
I fedeli (ciascuno di noi) se attraverso alla purificazione del
loro cuore sono liberati dalla «carne» e dalla «legge»,
sono guidati dallo stesso Spirito Santo che abita in essi. Questa guida,
quest’azione che si svolge nell’intimo della nostra persona, ci porta gradualmente
ad avere una conoscenza sempre più profonda del Mistero di Cristo:
delle sue parole, delle sue azioni, della sua Persona. Ci conduce ad un’identificazione
mistica, ma reale, con Cristo: viviamo sempre più nello Spirito
di Cristo, del suo essere «Figlio del Padre». La profondità
di questa identificazione mistica si rivela a noi in primo luogo nella
preghiera: uniti a Cristo, lo siamo anche alla sua preghiera, quella che
Egli «recita in noi» mediante lo Spirito Santo. Lo Spirito
ci rende simili al Figlio e quindi ci spinge a pregare Dio come lo pregava
Lui, Gesù: ABBA’-PADRE. Lo Spirito Santo fa rivivere oggi in ogni
battezzato la preghiera di Gesù, poiché è lo stesso
Spirito Santo che pregava in Gesù e prega in noi: entriamo nel dialogo
del Figlio col Padre. La nostra preghiera è questo dialogo reso
presente in noi dallo Spirito Santo. E’ per questo che l’apostolo Paolo
dice ugualmente sia che essa è fatta dallo Spirito Santo in noi
(cfr. Gal 4,6) sia che la preghiera cristiana è fatta da noi in
unione collo Spirito.
Grande mistero la preghiera cristiana! Essa trova il suo fondamento
e la sua sorgente nella nostra adozione a figli. Figli nel Fi-glio, noi
partecipiamo anche alla sua preghiera: la preghiera che Egli continua a
pronunciare in noi. Partecipare alla sua grande preghiera nella quale Egli
dice «ABBA’-PADRE» significa partecipare alla rela-zione del
Verbo al Padre: nello Spirito Santo. “Per Cristo, con Cristo, in Cristo,
a te, Dio Padre onnipotente …”: questa è la preghiera cristiana,
la preghiera dell’uomo divinizzato. Noi siamo nella preghiera di Cristo,
per opera dello Spirito Santo: siamo come degli invitati alla festa della
Trinità. L’icona di A. Ruble’v ci spiega meglio di ogni altra cosa
cos’è la preghiera cristiana.
4. In questo ultimo punto, vorrei richiamare la vostra attenzione su
alcune conseguenze assai importanti non solo dal punto di vista teologico,
ma anche pedagogico.
La preghiera cristiana in senso eminente è la celebrazione
dell’Eucarestia, ed ogni preghiera cristiana ha da essa il suo inizio e
trova in essa il suo compimento. E’ nella celebrazione dell’Eucarestia
che veniamo ammessi alla Presenza del Padre (cfr. Can Euc. 2°). Non
siamo noi che possiamo entrare alla Presenza del Padre, di nostra iniziativa.
Pensarlo costituisce l’essenza del peccato di empietà. E’ il Padre
che ci ammette alla sua Presenza. In che modo? Attraverso quale via possiamo
entrarvi? La via è Cristo, poiché “col proprio sangue entrò
una volta per sempre nel santuario, procurandoci una redenzione eterna”
(Eb 9,12). Celebrando l’Eucarestia, entriamo anche noi – attraverso il
suo sangue – nel Santuario (cfr. Eb 12,22-23). “Accogliamo come suoi invitati
il dono del dialogo trinitario … L’Eucarestia che non fosse partecipazione
al dialogo tra Padre e Figlio e Spirito Santo non sarebbe nulla. Poiché
in questo corpo (eucaristico) del Signore è contenuto quel
che era il senso del suo corpo sulla terra: lo stare davanti al Padre,
il dialogo col Padre, la coscienza attraverso lo Spirito Santo”. (A. von
Speyr, op. cit. pag. 14).
Seconda conseguenza: se la preghiera cristiana è la stessa
preghiera di Cristo che rivive in noi; se ogni preghiera cristiana è
sempre connessa coll’Eucarestia, allora noi non possiamo e non dobbiamo
pregare se non come ci è stato insegnato da Lui, se non chiedendo
ciò che Lui chiede.
2759-2776 Cioè: la preghiera cristiana è una sola, il
«Padre nostro». Non nel senso che devi sempre e solo ripetere
il «Padre nostro» ma nel senso che se chiedi qualcosa che non
sia in esso, non preghi!
La terza conseguenza non è meno importante. Ho già
detto qualcosa sui Salmi. Gesù ha pregato i Salmi; ha pregato coi
Salmi. La preghiera cristiana sono i Salmi, nel senso che noi li dobbiamo
pregare in Cristo e con Cristo: è Cristo che prega il Salmo in noi
e con noi. E quindi il Salmo va sempre interpretato in rapporto a Cristo,
e quindi alla Chiesa, e quindi al singolo io che lo sta pregando.
2664 2665-2669 Ed ora per concludere alcune
precisazioni. La riflessione precedente presenta la preghiera cristiana
nella sua forma più alta: è la preghiera di Cristo nella
e colla sua Chiesa rivolta al Padre (cfr. la dossologia finale della Preghiera
eucaristica). Ma noi possiamo rivolgere la nostra preghiera anche a ciascuna
delle altre due Persone divine: a Gesù e allo Spirito Santo. Il
battesimo infatti ci pone in una particolare relazione con ciascuna. E
la stessa preghiera liturgica ci insegna a farlo, anche se normalmente
essa è rivolta al Padre.
2673-2675 Non solo. La nostra unione in Cristo ci pone
in relazione unica, singolare colla sua Ss. Madre Maria. Ella pertanto
deve avere un posto singolare nella preghiera cristiana. La preghiera a
Maria respira come a due polmoni: essa è lode per le «grandi
cose» chi in Lei ha fatto il Signore [prima parte dell’Ave Maria];
essa è affidamento delle proprie invocazioni a lei perché
le presenti al Figlio [seconda parte dell’Ave Maria].
La stessa unione in Cristo ci pone in relazione cogli Angeli
e coi Santi, che possiamo pregare: Giovanni Battista, Giuseppe, gli Apostoli,
i Martiri, i Pastori della Chiesa, gli altri tutti. Ciascuno si lasci guidare
dallo Spirito.
La riflessione precedente non ha detto nulla sull’educazione
alla preghiera: è necessario essere «ammaestrati-educati»
alla preghiera. Non tanto sui libri, quanto alla scuola di un Padre spirituale
che «esperto in questa scienza» sappia insegnarcela.
“Il punto di Archimede fuori del mondo è una cella di orazione
dove un orante prega con tutta la sincerità del cuore: costui muoverà
la terra. Se esiste al mondo un simile orante, è incredibile quel
che potrebbe fare quando si ritira nella sua cella”.
[S. Kierkegaard, Diario 1848, IX A 115, n° 1482; cit. in Cornelio
Fabro, op. cit. pag. 380].
SCHEDA DI LAVORO
Sono ipotizzabili molte piste di riflessione su un tema così
impor-tante nella catechesi.
1. Per i catechisti stessi: vedere quali difficoltà, non solo
pratiche, vengono mosse oggi alla preghiera (cfr. § 1° della Relazione).
2. Sono percorribili diverse piste bibliche:
- Cercare tutti i passi neo-testamentari in cui si parla della preghiera
di Gesù e vedere di individuarne le caratteristiche; oppure tutti
i passi in cui Gesù dà un insegnamento sulla preghiera (cfr.
CChC 2599-2615)
- Alcune figure di oranti nel Vecchio Testamento, Abramo, Mosè,
Davide, Elia (cfr. CChC 2570-2584).
3. E’ necessaria una lettura molto attenta delle pagine dedicate dal
CChC al «Padre nostro»: 2779-2856.
4. Scambio di esperienze sulla catechesi fatta ai bambini sulla pre-ghiera:
è necessario «cristianizzare» la preghiera. Non a Dio,
ma al Padre o al Figlio o allo Spirito Santo. Al Padre, è facile:
c’è il Padre Nostro; a Gesù: non esiste una preghiera [si
può far impa-rare la preghiera del Nome o del cuore; oppure qualche
altra]; allo Spirito Santo: si può far imparare una delle due formule
riportare nel CChC 2671.
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