E’ VERO AMORE? UN PO’ DI CHIAREZZA
Catechesi dei Giovani
Cattedrale di Ferrara 31 ottobre 1998
Il cammino di catechesi che iniziamo questa sera, riguarda l’esperienza
fondamentale della nostra vita: l’esperienza dell’amore. S. Agostino ci
insegna che il fine ultimo di tutta la rivelazione cristiana è di
farci conoscere la verità sull’amore, e darci la libertà
di viverla (cfr. De catechizandis rudibus 4,8). Questo è tutto!
Durante la catechesi di quest’anno vogliamo conoscere la verità
sull’amore.
1. Una parola inflazionata ed abusata
Le parole sono come le cose: se le usi troppo si consumano e
non dicono più nulla. E’ ciò che è successo con la
parola «amore».
“La parola amore entra ormai in ogni nostro discorso e proprio per
questo a volte sembra che abbia perduto un po’ del suo valore, come succede
per una moneta che è sottoposta al potere erosivo dell’inflazione.
Si ha l’impressione che più si parla di amore, più risulta
inutile parlarne; più si moltiplica il dolce suono di questa parola,
più essa si svuota di significato e di forza. Sembra che con la
parola “amore” si possa dire tutto e il contrario di tutto.”
(P.M. Emonet – M. Lorenzini, Conoscere l’anima umana, ed. ESD, Bologna
1997, pag. 148).
Infatti si dice: “amo il mare più della montagna” ed anche
“amo il Signore più di me stesso”. Ed ancora: non amo lo sport,
preferisco guardare la TV”. E così via. Una parola che serve ad
indicare rapporti così diversi fra loro, rischia veramente di non
dire più nulla. Notate bene che non stiamo preoccupandoci del …
vocabolario italiano: cosa per altro che sarebbe assai meritevole. Si tratta
di sapere se questa parola significa una precisa esperienza umana e non
altre, e se sì, quale esperienza umana corrisponde alla parola amore.
Vogliamo insomma iniziare le nostre catechesi, facendo un po’ di chiarezza.
Può essere che questa prima catechesi sia un po’ noiosa e pesante.
Ma se avrete la pazienza di ascoltarmi e seguirmi, sono sicuro che alla
fine uscirete da questa Cattedrale con una grande gioia nel cuore: la gioia
di aver visto anche per un solo istante che cosa è l’amore vero.
1,1. [L’amore come risposta al bene]. Proviamo a partire dalla più
elementare e in un certo senso originaria esperienza che una persona vive.
Immaginiamoci di avere una grande sete durante una giornata molto calda,
e di imbatterci, camminando in una fontana di acqua fresca: che cosa avviene
in noi? Un grande desiderio di avvicinarci e bere, e così spegnere
la nostra sete.
Proviamo ora a rivivere in noi un’esperienza di ben altro genere,
più elevata. Esiste una bellissima novella di L. Pirandello intitolata
“Ciaula e la luna” (cfr. L. Pirandello, Novelle per un anno, ed. Mondadori,
Milano 1956-57, vol. I, pag. 1272). Ciaula è il soprannome di un
povero diavolo costretto tutta la vita a lavorare in miniera: era
trattato e si considerava come una bestia da soma, si sente però
tranquillo nel buio delle gallerie. Egli non ha mai visto la luna, dato
che la notte piomba sempre nel sonno più profondo. Succede una notte
qualcosa di incredibile. Ciaula esce dalla miniera ed alza la testa e vede
risplendere una bellissima luna: “grande, placida, come un fresco, luminoso
oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna”. Egli rimase conquistato
dalla bellezza di quella notte, dal suo misterioso e profondo silenzio.
Il suo cuore provò per la prima volta in vita sua ciò che
non aveva mai sperimentato: stupore, gioia, riposo semplicemente contemplando
quello spettacolo, la bellezza di una notte di luna piena. Lui che era
stato degradato a bestia, ridiventa uomo: ritorna alla sua dignità
perduta.
La terza esperienza è quella vissuta da Dante quando incontrò
per la prima volta Beatrice: è stato l’incontro che cambiò
la sua vita. Vide in essa il “segno”, la “presenza” di un Mistero di bellezza,
di bontà, di pienezza di vita tale che lo coinvolse pienamente.
Proviamo ora a chiederci: queste tre esperienze hanno qualcosa in comune?
Certamente. In ciascuna di esse noi possiamo constatare che quando qualcosa/qualcuno
si mostra alla nostra persona, essa/egli suscita in noi un’attrazione,
esercita un fascino che ci coinvolge. Non solo. E’ capace di suscitare
attrazione, di esercitare un fascino perché ha in se stesso una
bontà, una bellezza che riesce ad affascinarci, quasi a catturarci,
attirandoci a sé. L’acqua fresca ha in sé “qualcosa” che
attira l’assetato; la bellezza che risplende nel paesaggio è tale
che affascina persino Ciaula; la bellezza che si mostra nella persona di
Beatrice è tale che cattura Dante. Chiamiamo questo «qualcosa»
che ci muove “bontà-bellezza-valore” di un essere: cosa o persona.
Abbiamo già raggiunto un primo ed importante risultato
in questo sforzo che stiamo facendo di chiarificazione. La persona umana
«risponde» o meglio «corrisponde» alla bontà-bellezza
delle cose/delle persone. Questa «risposta» è ciò
che noi chiamiamo AMORE. Esso è la particolare relazione che viene
suscitata nella persona umana dalla bontà-bellezza-valore presente
in qualcosa/qualcuno.
Guardate che cosa grande, che avvenimento stupendo è il
sorgere in noi di questa «risposta-corrispondenza» suscitata
da qualcosa/qualcuno! E’ quest’esperienza che sta all’origine di tutta
la nostra drammatica avventura umana, come vedremo (Ex amore suo quisque
vivit, vel bene vel male: per il bene e per il male ciascuno vive del suo
amore, dice Agostino in Contra Faustum 5,10; PL 42,228).
All’interno di questo primo, ampio campo significativo della
parola amore, posso dire: «amo la cioccolata» e «amo
Dio».
1,2. [Due tipi di risposta al bene]. Ora dobbiamo fare un passo avanti.
Se continuiamo a prestare attenzione alle nostre esperienze quotidiane,
noi vediamo che in realtà ci sono due modi di rispondere-corrispondere
alla bontà-bellezza-valore che suscita in noi attrazione, verso
qualcosa/qualcuno buono-bello-prezioso.
Ci sentiamo attratti verso le cose normalmente per “prendere”
il bene che è in esse, per poterne “usare” al fine di soddisfare
il nostro bisogno. Perché l’assetato si sente attratto? Che cosa
vuol dire in questo caso sentirsi attratto? Vuol dire prendere dell’acqua
e berla, al fine di estinguere la propria sete. Voglio l’acqua semplicemente
a causa del fatto che essa è capace di estinguere la mia sete.
Ma non sempre noi rispondiamo-corrispondiamo in questo modo:
pensate a Ciaula del racconto di Pirandello; pensate a che cosa provava
il suo cuore il salmista, quando pregava: “O Signore nostro Dio, quanto
è grande il tuo nome su tutta la terra!”. Queste due persone non
vogliono prendere per se stesse nulla. Esse sono solamente estasiate
dalla bellezza della notte, dalla grandezza di Dio: ne sono affascinate.
Siamo arrivati ad un punto centrale della nostra catechesi: capire
profondamente la differenza fra queste due modalità. Chi vede questa
differenza, è entrato nella verità dell’amore; o per lo meno
comincia ad entrarvi.
Cominciamo col dire che amando nella prima modalità, io
amo qualcosa per ciò che ha; amando nella seconda modalità,
io amo qualcosa per ciò che è. Nel primo caso, chi ama dice
nel suo cuore: «come mi piace, come mi è utile che tu esista!»;
nel secondo caso, chi ama dice nel suo cuore: «come è bello,
come è bene che tu esista!». Nel primo caso infatti, io voglio
l’altro (cosa o persona) per il vantaggio, il beneficio che può
procurarmi; nel secondo caso, io voglio l’altro (cosa o persona) in se
stesso e per se stesso. Provate a chiedervi: era proprio necessario, per
evitare che piovesse dentro alla Basilica di S. Pietro, costruire la cupola
o non bastava forse e non era più semplice coprirla con un tetto
normale? Ma la cupola ha in sé un «qualcosa» che la
rende degna di essere voluta non solo per l’utilità che procura,
ma per la sua pura bellezza.
Dunque: posso volere-amare qualcosa/qualcuno a causa del bene
che può procurarmi; posso volere-amare qualcosa/qualcuno in se stesso
e per se stesso. Se riflettiamo ancora con più attenzione, noi vediamo
che in realtà nel primo caso io amo solo me stesso: voglio-amo l’altro
in funzione di me stesso. Direttamente voglio-amo me stesso: l’altro in
quanto mi gratifica, mi fa compagnia, mi consola, mi può aiutare
… L’oggetto ultimo del mio amore sono io stesso.
Nel secondo caso, la mia persona è completamente presa
dall’altro: esce per così dire da se stessa e vuole l’altro. Ascoltate
quanto scrive un Padre della Chiesa:
“A chi ama Dio gli basta di piacere a chi ama; non si deve ricercare
una vantaggio maggiore che lo stesso amore”. (S. Leone Magno, Ser. 79,3;
SC 200, pag. 133).
Chiamiamo da ora in poi il primo modo di amare, AMORE di APPROPRIAZIONE
(di concupiscenza, lo chiamavano i grandi maestri dell’etica cristiana);
chiamiamo il secondo modo di amare AMORE di AMICIZIA (di benevolenza, lo
chiamavano gli stessi maestri). Nell’amore di amicizia un essere è
amato come un «soggetto» che è buono, bello, prezioso;
nell’amore di appropriazione un essere è amato come un «oggetto»,
come un bene da conquistare e godere.
1,3. [L’amore fra le persone]. Vedete che abbiamo già raggiunto
una chiarificazione assai importante: la parola «AMORE» ha
fondamentalmente due significati. Può significare, diciamolo ancora
una volta, “desiderio di appropriarsi o di servirsi o di usare qualcosa/qualcuno
per il proprio bene” oppure può significare “affermazione, accettazione,
lode, celebrazione di qualcosa/qualcuno in se stesso e per se stesso”.
Provate a considerare anche superficialmente la vostra vita, e vedrete
che essa tutta intera di svolge attorno a queste due possibili forme di
amore.
Ma ora dobbiamo fare un’altra e ultima chiarificazione, ponendoci una
domanda: limitando la nostra considerazione alle persone solamente, quale
è il modo giusto di amare le persone?
Prima di rispondere cerchiamo di capire bene la domanda. Si tratta
di sapere questo: quando ti poni di fronte a una persona umana, quale è
– diciamo – la «re-azione» adeguata, corrispondente adeguatamente
alla sua realtà?
Vorrei che guardaste spesso, con occhio limpido, alla persona
(vostra ed altrui) per coglierne l’originalità nell’universo dell’essere.
La persona è una realtà unica nel mondo: essa è un
soggetto di natura razionale. Questa sua costituzione fa sì che
essa non possa mai essere “parte di un tutto”: essa è un tutto in
se stessa. Questa sua costituzione fa sì che essa non possa mai
essere “mezzo per un fine”: essa è fine in se stessa e per se stessa.
La persona quindi è ciò che esiste di più grande:
è al vertice di tutto. Non si può essere più che persone.
Chi ha capito che questa è la persona, sa subito come
rispondere alla domanda che ci siamo fatti prima. L’unico modo giusto di
«amare una persona» è di volere il suo bene perché
semplicemente è il suo bene. E’ di amarla per se stessa, come un
soggetto di cui si vuole il bene in quanto è suo; non per appropriarselo.
Ma questo non basta. Questo modo di amare comporta sempre il desiderio
di essere presso l’altra persona, di legarsi a, di identificarsi in un
qualche modo con lei. Diciamo: l’amore ad una persona è …impasto
di bene-volenza e identificazione affettiva. E’ inscindibilmente benevolenza
e identificazione affettiva. Nota bene che qui bene-volenza significa:
volere il bene dell’altro perché è il suo bene.
Vedete che grande cosa è l’amore fra le persone! E’ veramente
l’avvenimento più grande che possa accadere in questo mondo.
Ho terminato la prima parte della mia catechesi. In essa abbiamo
raggiunto due risultati assai importanti. Il primo: AMORE è un termine
che può avere due significati assai diversi fra loro. Il secondo:
AMORE INTER-PERSONALE (cioè fra le persone) adeguato alla dignità
delle persone coinvolte nel rapporto è solo l’amore che abbiamo
chiamato di benevolenza e di unione affettiva.
2. Le «forme» fondamentali dell’amore inter-personale.
Il discorso fatto finora, me ne rendo perfettamente conto, rischia
di apparire un po’ astratto. Era inevitabile. Dovendo raggiungere una chiarezza
concettuale, bisognava fare un discorso che mirasse a cogliere il «nucleo
essenziale» di quell’esperienza umana che noi denotiamo quando diciamo
“amore”. Ma ora, assai brevemente … ritorniamo alla vita quotidiana (!).
Ci domandiamo: concretamente quali forme può assumere l’amore interpersonale?
La prima forma è stata descritta da S. Agostino stupendamente
con queste parole: “L’amore … è più gradito quando non arde
per l’aridità del bisogno, ma sgorga per l’abbondanza del donare:
perché nel primo caso, nasce dalla miseria; nel secondo, dalla misericordia”
(op. cit. 4,7). E’ l’amore che uno nutre verso una persona, sia che essa
corrisponde o non, sia che ne sia degna o indegna (cfr. Rom. 5,8). E’ l’amore
di misericordia.
Quando l’amore con cui una persona ama l’altra è corrisposto,
e quindi quando è reciproco, si ha l’AMICIZIA. L’amicizia è
l’amore interpersonale reciproco. E’ la forma più perfetta dell’amore,
poiché essa mette particolarmente in risalto non solo ciò
che abbiamo chiamato «bene-volenza» (che può essere
anche a senso unico, non corrisposta), ma soprattutto l’identificazione
affettiva: identificazione che tende a realizzare una profonda comunione
tanto che l’amico diventa un altro me stesso. Esiste una “logica” profonda
in queste tre dimensioni essenziali dell’amicizia: benevolenza, reciprocità,
identificazione affettiva. Amando con amore di benevolenza,
“l’amico offre se stesso, come persona, non come una cosa da possedere
egoisticamente per un giorno. Un tale dono non può essere ricevuto
in altro modo che riamando colui che si offre così e dandosi a lui
come lui si è dato. L’identificazione affettiva di due persone non
può compiersi che per mutuo consenso e se l’uno si rifiuta, l’altro
non può, anche volendo, entrare in lui e diventare uno con lui.
Se si può amare qualcuno fino a sacrificare tutto per lui, senza
averne il minimo contraccambio, non si può farne un amico, se non
vuole”.
(J.H. Nicolas, Contemplazione e vita contemplativa nel cristianesimo,
LEV, Città del Vaticano 1990, pag. 97-98).
L’amicizia, o amore reciproco, raggiunge la sua forma più
alta nell’AMORE CONIUGALE. E’ la forma più alta perché implica
una benevolenza-unitiva totale e definitiva. Ma giungere a questa
forma di amicizia è un cammino difficile e lungo, sul quale rifletteremo
in altre occasioni.
In sostanza, la ragione umana aveva scoperto questo sull’amore:
tutto ciò che ho detto finora.
La fede cristiana ha portato una luce straordinaria dentro a
quest’esperienza umana: tutto il cammino catechetico di quest’anno lo dimostrerà.
Per ora sia sufficiente dire che il cristianesimo ha donato alla persona
umana la possibilità di realizzare il suo potenziale di amore in
due nuove forme di amore inter-personale oltre l’amore coniugale che già
l’uomo conosceva: l’AMORE VERGINALE e l’AMORE PASTORALE.
Conclusione
Mi rendo perfettamente conto che questa catechesi è stata
un po’ noiosa. Però è importante, è necessario che
quando affrontiamo i grandi misteri della nostra vita, cominciamo sempre
col fare chiarezza. Per fare chiarezza bisogna incominciare, per così
dire, a riscoprire il significato vero delle parole di ogni giorno: le
grandi parole sono quelle che usiamo abitualmente. Ma proprio per questo,
sono insidiate dall’usura.
Terminando, vorrei per così dire, riportarvi al vissuto
quotidiano di quelle sublimi esperienze che questa sera abbiamo voluto
«vedere» più chiaramente: esperienze che stanno dentro
la parola «amore». Pensate alla meraviglia della gratuità!
L’amore di benevolenza è la gratuità: essa non possiede,
e quindi libera la persona. Quando noi guardiamo la realtà, le persone
in questo modo: la bellezza, la bontà, tutto ciò che è
grande perché semplicemente sono degne di essere volute, il tuo
cuore si apre all’intero universo dell’essere.
Ma ora basta: abbiamo un intero anno davanti a noi. Grazie della
vostra attenzione.
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