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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Riflessione su una proposta di legge presentata in Australia
dicembre 1990


Ho letto attentamente il “Discussion paper - Proposed Legislation to give legal effect to directions against artificial prolongation of the dying process” e ho lungamente meditato su questo testo. Vorrei ora esprimere le principali conclusioni alle quali sono arrivato.

 

1. Vi è una verità etica che deve essere richiamata fin dall’inizio di tutta la nostra riflessione. È una verità estremamente semplice: nessuno può disporre della propria vita o della vita di un altro. Cioè: la vita è un bene indisponibile. È opportuno che riflettiamo un poco sul concetto di “bene indisponibile”, dapprima in generale e poi in particolare sul bene indisponibile della vita.

 

1, 1. Generalmente, ma già precisamente parlando, bene indisponibile è bene sottratto alla libertà dell’uomo, nel senso che l’uomo non può mai, in nessuna circostanza, per nessuna ragione rinunciare a quel bene. L’uomo deve semplicemente “amministrare” quel bene; non può mai diventarne proprietario, col potere anche di trasferirne la proprietà ad altri. Ma un esempio desunto dalla Sacra Scrittura ci aiuterà a capire meglio questo concetto: la storia di Susanna. È ben noto questo racconto. Susanna è minacciata di essere accusata di adulterio da due vecchi (e quindi di essere condannata a morte), se non acconsentirà ad avere rapporti sessuali con loro. A prima vista, sembrerebbe molto chiaro che cosa Susanna deve scegliere: accettare di essere violata nel suo corpo, essendo questa violazione male minore della morte conseguente al suo eventuale rifiuto. Tuttavia, la coscienza morale di Susanna (e di ogni uomo/donna retti) intravede in questa situazione tragica qualcosa di molto più profondo che la necessità di fare un bilanciamento dei vari beni in pericolo. Intravede che non è semplicemente in questione la fisica violazione del suo corpo, ma della sua coscienza, della sua personalità morale: è la sua umanità come tale che è in pericolo. Accettando, anche se a causa della previsione della pena capitale, di essere violata, Susanna acconsentirebbe all’umiliazione della sua umanità. Acconsentendo, ella diventerebbe complice del carnefice.

In questa stupenda pagina biblica, si ha una sublime descrizione di ciò che è un “bene indisponibile” e di ciò che esso significa nella esistenza di una persona. Esistono beni così intimi all’umanità di ogni persona che la rinuncia ad essi equivale alla rinuncia alla propria umanità stessa. Essi sono sottratti alla libertà, poiché, alla fine, non è concesso alla libertà di disporre della propria umanità. Certamente, la libertà può rinunciare a questi beni (Susanna poteva accettare un rapporto sessuale coi due vecchi), poiché ciascuno è capace anche di umiliare se stesso e la sua dignità umana. Ma questa rinuncia equivale alla rinuncia della propria personalità morale: come un suicidio spirituale.

 

1, 2. Tutta la nostra tradizione cristiana e umanista ha sempre affermato che la vita fisica di una persona appartiene a quei beni indisponibili di cui ho parlato poc’anzi. Quale è la ragione di questa affermazione?

Ammettiamo, per ipotesi, la tesi contraria: la vita fisica è un bene disponibile. Quali sono le conseguenze logiche, che ogni persona ragionevole dovrebbe accettare come vere?

La prima conseguenza sarebbe che non essendo in linea di principio sottratta alla disposizione di alcuno, sarebbero sempre ipotizzabili/pensabili situazioni e circostanze, verificandosi le quali è lecito stabilire che quell’uomo non ha più il diritto di vivere.

Ma poiché, come è ovvio, la vita fisica è la base fondamentale di ogni diritto della persona umana, la seconda conseguenza sarebbe che colui che ha l’autorità e il diritto di stabilire se si è ancora in possesso del diritto di vivere, ha per ciò stesso il diritto di stabilire chi ha il diritto di esercitare i fondamentali diritti della persona umana: cioè il diritto di stabilire chi deve o non deve essere riconosciuto come membro della umanità.

In una parola: la persona umana non è più — come già dicevano i giuristi romani — “sui juris”, ma diventa “alieni juris”, cioè non-persona. Sono perfettamente consapevole che si può obiettare: tutto il ragionamento ignora il fatto che si attribuisce la disponibilità della vita fisica solo ed esclusivamente a ciascuno; non si dice, anzi si nega che uno possa disporre della vita di un altro, senza il consenso. Quindi tutto il ragionamento è falso, perché falso il suo presupposto.

Nonostante l’apparenza, l’obiezione e molto debole e inconsistente, soprattutto per una ragione. L’affermazione che ciascuno ha, in determinate circostanze, il diritto di rinunciare alla propria vita fisica equivale all’affermazione che esistono situazioni nelle quali obiettivamente la vita non è più degna (in senso etico) di essere vissuta. Se una vita è obiettivamente indegna di essere vissuta, non è più degna di essere difesa e, pertanto, non si esclude più in linea di principio che essa possa essere legittimamente soppressa, anche quando quel consenso non potesse essere dato.

In una parola: riconoscere il “diritto al suicidio” porta logicamente a riconoscere il “diritto all’omicidio”. I due riconoscimenti sono correlativi.

È questa la ragione profonda per cui un ordinamento giuridico deve affermare l’indisponibilità (del bene) della vita fisica della persona. Semplicemente, perché deve affermare che la persona umana come tale è “indisponibile”, cioè ha un valore assoluto.

 

2. Alla luce di queste riflessioni semplicemente razionali, che prescindono da ogni fede religiosa, mi sembra che la “Proposed Legislation...” sia completamente inaccettabile. Per una serie di ragioni che, spero, risulteranno chiare, dopo la nostra precedente riflessione.

La prima e fondamentale ragione è che essa intende riconoscere al cittadino un diritto che non esiste, perché semplicemente non esiste nell’uomo: il diritto di decidere quando porre fine alla sua vita. Non insisto ulteriormente: dovrei ripetere quanto ho già detto nel n° 1. Tuttavia, qualcuno mi potrebbe accusare di “disonestà intellettuale”, poiché la “Proposed Legislation” non intende riconoscere semplicemente il diritto di porre fine alla propria vita, ma di rifiutare l’artificial prolongation of the dying process. E, dunque, questa prima e fondamentale ragione non è pertinente al nostro problema. Proprio per onestà intellettuale, quindi, vorrei richiamare l’attenzione sulle seguenti altre ragioni, le quali dimostreranno precisamente che contro le intenzioni e i propositi del testo proposto, esso (il testo) in realtà riconosce il “diritto al suicidio”.

In primo luogo non è mai lecito to withold/to withdraw life saving treatment con l’intenzione precisa di porre termine alla propria/altrui vita. Anche quando il trattamento è certamente sproporzionato, e pertanto può essere rifiutato, non può mai esserlo coll’intenzione di porre termine alla propria/altrui vita. Non si ha mai il diritto di intendere la fine della propria/altrui vita. Questa intenzione vizia dal punto di vista morale tutto il comportamento.

Ma c’è di più: è il comportamento stesso che è inaccettabile e dal punto di vista morale e dal punto di vista giuridico. L’uomo cioè non può decidere ciò che la Proposed Legislation gli consentirebbe di decidere: not to be subjected to artificial life support measures if person is suffering from a terminal illness. Per la seguente ragione.

Nessuno è certamente obbligato ad assoggettarsi a qualsiasi misura medica e/o chirurgica, per prolungare a qualunque costo la propria vita: la Chiesa cattolica non ha mai insegnato questo. Il suo Magistero ha, infatti, distinto trattamenti proporzionati e trattamenti sproporzionati. Tuttavia, questa dottrina è essenzialmente diversa da quella implicata nella proposed Legislation.

Quando nei proposals 1. (iii) si definiscono gli “artificial life support measures”, la definizione è talmente generica che la persona potrebbe rifiutare qualsiasi trattamento. Ora, negare l’obbligo di ricorrere a qualsiasi (proporzionato e sproporzionato) trattamento non equivale ad affermare il diritto di rifiutare qualsiasi trattamento. È questa equivalenza l’errore fondamentale di questa legislazione: errore che la rende assolutamente inaccettabile.

Inoltre, secondo gli stessi proposals 1. (iii) sembra che nutrizione/idratazione, se artificialmente dati, possano essere rifiutati o sospesi. Ma nutrizione e idratazione non sono trattamenti terapeutici. Quindi devono sempre essere dati.

Infine, il titolo della proposed Legislation è singolare: “...against artificial prolongation of the dying process”. Esistono malattie che sono mortali. Cioè: malattie che mettono l’ammalato in dying process. Tuttavia, oggi, almeno nei paesi più sviluppati come l’Australia, sono curabili con mezzi assolutamente normali: si ha un prolungamento artificiale of the dying process. E l’uomo avrebbe il diritto di rifiutare questi trattamenti clinici, semplicemente perché prolungano il dying process? Qui si rivela la vera, nascosta filosofia di questa legge: riconoscere ad ogni uomo il diritto di vita e di morte su se stesso.

È questa filosofia che va rifiutata: in nome semplicemente dell’uomo. È la legge che va rifiutata: è un vero cavallo di Troia per introdurre nella città umana il principio che la distrugge come umana.