AMORE E FAMIGLIA: UN SOGNO O UNA REALTÀ?
PARROCCHIA S. PIO X BARCO
7 giugno 1996
La formulazione del tema della nostra riflessione vuole subito
introdurci in quel “dramma” che oggi è l’amore umano, in quanto
prende corpo nel matrimonio e da quindi origine alla famiglia. In che senso
ho parlato di “dramma dell’amore umano”? Non parlo di quell’alea di rischio
che ogni incontro fra un uomo ed una donna, che vogliono mettere insieme
il loro destino, comporta sempre. Un rischio che diventa realtà:
la realtà del fallimento. Oggi ci troviamo in una situazione nuova
e molto più grave. Vorrei prima di tutto aiutarvi a capire questa
situazione in cui versa oggi l’amore umano (e la famiglia) e così
darvi un aiuto per viverla in modo migliore. In fondo, questa missione
a che cosa mira, se non a farvi incontrare la salvezza?
1. LA SITUAZIONE
Nel descrivere la situazione, vorrei aiutarvi a prendere subito
coscienza di una “elemento di disturbo” che impedisce oggi all’uomo e alla
donna di “ascoltare il loro cuore”, quando si parla di amore (e di famiglia).
Mi spiego, con un esempio.
Se voi vi mettete all’ascolto della radio, è necessario
che non vi siano “inter-ferenze”; esse sono elementi di disturbo ed impediscono
un buon ascolto. Questa sera, vi chiedo di porvi in ascolto del vostro
cuore. Ma questo ascolto vi è reso oggi difficile a causa di una
interferenza: essa vi impedisce di “sentire” che cosa veramente desidera
il vostro cuore, quando desidera amare. Quale è questa interferenza?
Quello di pensare che la felicità sia un diritto, che la felicità
sia qualcosa che mi è dovuta. E che quando si parla di amore fra
un uomo ed una donna, non si parla d’altro che di un aspetto di quel diritto.
So che sto facendo un discorso che va molto controcorrente: vi chiedo solo
la bontà e pazienza di ascoltarmi fino alla fine. E vediamo subito
che cosa significa, concretamente, questo diritto quando è messo
in atto.
Se io ho il diritto di essere felice, gli altri mi devono rendere
felice: ed allora perché non cambiare il/la compagno/a della mia
vita, se questo/a non è più attraente ai miei occhi? Se io
ho il diritto di essere felice, perché non costruire la convivenza
tra l’uomo e la donna sempre e solo sulla base della implicita o esplicita
condizione “fino a quando staremo bene insieme”? Ma sforziamoci di riflettere
più profondamente su questo supposto diritto.
Quando si dice “diritto” si intende sempre una facoltà,
un potere di esigere qualcosa da qualcuno: altrimenti non ha senso parlare
di diritto. Se ho il diritto alla salute, ciò ha senso solo se esistono
delle persone che hanno il dovere di assicurarmi determinate prestazioni.
Dunque, non esistono solo diritti, poiché ad ogni diritto corrisponde
un dovere. Se esiste un “diritto alla felicità”, dovrebbero esserci
delle persone che mi devono tutto ciò che è necessario alla
mia felicità. Ma lo stesso vale per queste stesse persone: esse
hanno il diritto che io compia le prestazioni che sono necessarie per la
loro felicità.
Ora vediamo che cosa succede quando questa “logica del diritto
alla felicità” va a dimorare dentro il rapporto fra un uomo e una
donna. In primo luogo, succede che i due entrano in quel rapporto, dominati
dall’esigenza di ricevere e non dalla preoccupazione del donare.
Ora se un rapporto fra due persone è dominato dal principio del
ricevere più che da quello del donare, si è già configurato
un rapporto sul modello dello scambio. Nello scambio ciascuno cerca sempre
di ricevere più che di quello che dà. Ora se un rapporto
fra un uomo e una donna è configurato sul modello dello scambio,
in realtà quel rapporto può essere solo il fragile miracolo
del compromesso fra due opposti interessi. Perché “fragile”? Perché
sarà sufficiente che l’uno dei due non senta di “averci guadagnato”
(di essere felice), e subito sarà tentato di lasciare quel rapporto.
Perché “miracolo”? Perché è molto raro che i miei
interessi si identifichino con i tuoi: è appunto una sorta di miracolo
quando questo accade. Perché “compromesso”? Perché essendo
di solito due opposti interessi, si è costretti ad avere un rapporto
in cui si cede, per ricevere. Appunto, un compromesso.
Può essere che qualcuno abbia l’impressione che non abbiamo
i piedi appoggiati per terra, presi dai nostri ragionamenti. Mettiamo pure
i piedi per terra. Come succede che nei primi tre anni di matrimonio, nella
nostra regione un terzo dei matrimoni ricorre alla separazione? La ragione
è (dicono coloro che vivono questo fatto) che non “si sentono più
realizzati” che non “si amano più”, che “non stanno più bene
insieme”. Che cosa significa tutto questo, se non che nella esperienza
dell’amore fra l’uomo e la donna ha “interferito” l’idea che si ha un diritto
alla felicità, la cui realizzazione è prevista in quel rapporto
stesso.
Fermiamoci un momento. Che cosa abbiamo detto finora? Che il
sapere che cosa desidera il nostro cuore, quando desidera amare,
è oggi pressoché impossibile per molti uomini e donne, perché
questo messaggio del cuore, questa “voce del cuore” è disturbata
dall’idea-forza di possedere un “diritto alla felicità”. Questa
è la prima dimensione del dramma dell’amore umano oggi: questo profondo
disturbo.
Vorrei ora fare un altro passo, e richiamare la vostra attenzione su
un altro aspetto della situazione attuale. E così concludere questo
primo punto.
Dove in realtà queste due logiche si scontrano, intendo
la logica del “diritto alla felicità” e la logica dell’amore? Non
vi dico ancora che una è falsa e disumanizzante, l’altra è
vera ed umanizzante. La mia riflessione in questo momento, è più
semplice.
Nel rapporto fra due persone che sia di amore, ciascuno è
dominato dall’esigenza di donare più che di ricevere. E’ esattamente
il contrario di ciò che avviene nello scambio: chi ci guadagna è
colui che ha dato di più e riceve di meno; chi ci perde è
colui che ha dato di meno e riceve di più. Per cui, il dono è
incondizionato: non è cioè condizionato dal ricevere almeno
altrettanto. Si costituisce cioè un rapporto di “comunione” che
come tale non ha limiti di tempo.
Ora, spero che vi sarà facile capire una cosa di straordinaria
importanza per tutta la riflessione che stiamo facendo. Alla fine, al fondo
della questione, perché è possibile impastare il rapporto
uomo-donna secondo la logica del diritto alla felicità oppure secondo
la logica della gratuità del dono? Perché sono possibili
due modi di capire la propria persona, di interpretare la propria vicenda
quotidiana. Insomma, esistono due concezioni dell’uomo. La prima afferma
che l’uomo è un individuo non naturalmente, originariamente orientato
all’altro: il rapporto con l’altro è qualcosa di aggiunto alla mia
originaria costituzione. Esso (rapporto) è quindi qualcosa di completamente
“negoziabile”: è un contratto in cui si incontrano due volontà
sovrane ad autonome.
La seconda afferma che l’uomo è una persona originariamente
orientata alla reciprocità: il rapporto uomo-donna è la “figura”
originaria di questa “costituzione” della persona. Mi sembra che questa
sia la seconda fondamentale dimensione della situazione attuale in cui
versa oggi l’amore umano (e la famiglia): il cuore dell’uomo e della donna
è divenuto il crocevia in cui si scontrano due opposte concezioni
della persona umana.
Può essere che qualcuno ora si aspetti che io inizi una
sorta di “dimostrazione” della verità della concezione personalistica
e dell’errore della concezione individualistica. Lo si potrebbe fare. Ma
non è questo ciò che mi propongo di fare. La cosa è
più profonda.
E’ certo che il “dramma” dell’amore umano oggi è costituito
da quello scontro di opposte visioni dell’uomo: ciascun uomo e ciascuna
donna se lo porta dentro, ogni giorno della storia del loro amore. Ed allora?
Allora il dramma dell’amore umano è una sfida, forse la suprema
sfida rivolta alla libertà perché decida se “c’è più
felicità nel donare che nel ricevere”. Ma la nostra libertà
deve pur radicarsi in una verità: è vero o è falso
che “c’è più felicità nel donare che nel ricevere”?
Questa è la domanda suprema, perché è la domanda
sul senso stesso della vita.
2. LA PROPOSTA DELLA “MISSIONE”
E’ in questo contesto, è dentro questo dramma che si colloca
la “missione” che questa comunità intende fare: dire all’uomo e
alla donna che hanno voluto unire il loro destino che “c’è più
felicità nel donare che nel ricevere”. Aiutarli ad ascoltare il
loro cuore. Come? Come è possibile verificare quale delle due concezioni
della vita è vera e quindi funziona, in termini di felicità?
È possibile solo attraverso l’esperienza di un incontro con chi
ha vissuto nella logica della donazione, totalmente (“Io sono fra voi come
chi serve, non come chi è servito”): in questo incontro potrai verificare
se i ... conti tornano o non tornano.
Ma vorrei togliere da voi subito un sospetto: non è una
proposta “moralistica”. E’ una proposta di vivere semplicemente l’esperienza
di una grazia che ti viene fatta: quella del dono della libertà
di amare.
CONCLUSIONE
«Proprio questo mi costringe a riflettere sull’amore umano. Non
esiste nulla che più dell’amore occupi sulla superficie della vita
umana più spazio, e non esiste nulla che più dell’amore sia
sconosciuto e misterioso. Divergenza tra quello che si trova sulla superficie
e quello che è il mistero dell’amore - ecco la fonte del dramma.
Questo è uno dei più grandi drammi dell’esistenza umana.
La superficie dell’amore ha una sua corrente, corrente rapida, sfavillante,
facile al mutamento. Caleidoscopio di onde e di situazioni così
piene di fascino. Questa corrente diventa spesso tanto vorticosa da travolgere
la gente, donne e uomini. Convinti che hanno toccato il settimo cielo dell’amore
- non lo hanno sfiorato nemmeno. Sono felici un istante, quando credono
di aver raggiunto i confini dell’esistenza, e di aver strappato tutti i
veli, senza residui. Sì, infatti: sull’altra sponda non è
rimasto niente, dopo il rapimento non rimane nulla, non c’è più
nulla. Non può, non può finire così. Ascoltare, non
può. L’uomo è un continuum, una integrità e continuità
- dunque non può rimanere un niente.»
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