Relazione «Amore coniugale e fecondità»
Firenze, 14 marzo 1986
La riflessione etica sul rapporto fra amore coniugale e fecondità è stata costretta a sottoporsi ad un processo di progressiva rigorizzazione concettuale soprattutto suscitata dalla Enciclica Humanae Vitae e dal fatto che l’umanità ha oggi la possibilità di avere concepimenti in vitro. E che fra i due fatti ci sia un legame era già stato profondamente e chiaramente visto da Pio XII ed è anche indicato da una boutade ricorrente nelle discussioni dei paesi anglo-sassoni: “from sex without babies to babies without sex”. In discussioni tanto numerose, è necessario che precisiamo rigorosamente l’argomento, che formuliamo con la maggior precisione possibile la domanda: è il primo insostituibile passo per trovare una risposta vera.
1. Alcune premesse
Cominciamo col dire che non parliamo in genere dell’amore coniugale, dell’amore coniugale nella sua generica totalità, interrogandoci sul rapporto vigente fra l’amore coniugale così inteso e la fecondità: il problema, così posto, vuole sapere troppo, e, dunque, ci immette in una ricerca non fruttuosa.
Noi parliamo dell’amore coniugale in quanto esso si esprime nell’atto della congiunzione sessuale fra i coniugi compiuto nel periodo della loro fertilità. Dunque, più brevemente: dell’atto coniugale fertile. Noi supponiamo che questo atto sia di amore coniugale, durante tutto il corso della seguente riflessione. È, tuttavia, di grande importanza chiarire il concetto di “fertilità” nel senso in cui è inteso dall’etica.
E lo faremo partendo da una constatazione assai semplice. Il processo che porta al concepimento di una nuova persona umana comporta sempre due momenti fondamentali, distinti in ragione di chi è causa di essi. Si ha, infatti, un atto di persone che pongono le condizioni perché possa iniziare quello che precisamente potremmo chiamare un processo naturale, il quale — se si avverano determinate condizioni — porterà al concepimento. Orbene, fra il primo momento (atto di persone) ed il secondo (processo naturale) vige una differenza che all’occhio dell’etico è di somma importanza: il primo è precisamente un agire personale nel senso pieno del termine; il secondo è un processo al quale la libertà della persona è estranea (“generatio est opus naturae non personarum”). La cosa è così vera che tutto il secondo momento può svolgersi fuori della persona, anche fisicamente, appunto in vitro. La “fertilità” dal punto di vista etico, pertanto, è una proprietà che inerisce all’atto coniugale in quanto esso atto pone le condizioni perché possa iniziare quel processo naturale che, indipendentemente dalla persona, porta al concepimento. Che questo — e questo solo — sia il punto di vista dell’etica dipende dal fatto che essa ha come suo proprio ambito non semplicemente l’attività che accade nella persona, ma solo l’attività della persona.
Da ciò deriva che due sono le domande che possiamo porci quando vogliamo conoscere il rapporto fra amore coniugale e fecondità.
La prima: la fertilità inerente all’atto coniugale deve sempre e comunque essere salvaguardata oppure si possono ipotizzare situazioni nelle quali questa salvaguardia non sia eticamente richiesta? È il problema della liceità-illiceità della contraccezione.
La seconda: solo l’atto coniugale è eticamente abilitato a porre le condizioni perché si inizi il processo naturale oppure, quando si sa per certo che questo processo, per ragioni indipendenti dalla volontà degli sposi, non potrà concludersi col concepimento, è eticamente lecito sostituire l’atto coniugale con un altro atto? È il problema della liceità-illiceità della fecondazione in vitro (FIV).
Prima di tentare una risposta ad ambedue le domande, consentitemi pazientemente di fare ancora alcune precisazioni circa le stesse. E quanto alla prima è subito da precisare che essa non è affatto identica ad un’altra domanda, dalla quale anzi deve essere accuratamente tenuta distinta e cioè: è lecito solo l’atto coniugale fertile? Se alla domanda se la fertilità inerente all’atto coniugale debba sempre essere salvaguardata noi dovessimo rispondere affermativamente, non ne seguirebbe che solo l’atto fertile è moralmente lecito, ma solo che, se gli sposi decidono di compiere un atto coniugale fertile, questo atto non deve essere privato della sua fertilità. Altra questione è se possa essere lecito moralmente compiere un atto coniugale quando si sa, per certo, che, per ragioni indipendenti dalla volontà degli sposi, esso non può porre le condizioni perché possa iniziare il processo naturale.
Ed ora, concludendo le premesse, una precisazione riguardante la seconda domanda. Si faccia bene attenzione che la domanda verte per sé sull’atto che pone le condizioni perché si inizi quel processo: essa chiede se dal punto di vista etico deve essere esclusivamente l’atto coniugale. Non si può sfuggire alla domanda dicendo: all’atto (tecnico) precede un atto coniugale e così il problema è risolto. Infatti l’eventuale atto coniugale precedente non pone le condizioni perché si inizi quel processo, ma per sé consente di avere “quella materia” (= i gameti) che è necessario perché un altro atto possa porre quelle condizioni. Esso (l’atto coniugale) è ciò da cui ho quel che serve perché una persona possa compiere quell’atto che pone quelle condizioni.
2. La prima domanda
Alla prima domanda la mia risposta è che la fertilità inerente all’atto coniugale deve sempre essere salvaguardata e che pertanto la contraccezione è sempre e comunque illecita. Prima, tuttavia, di presentarvi le ragioni di questa risposta devo fare alcune riflessioni di carattere generale.
È un’osservazione comune presso tutti i grandi maestri del pensiero che se, da una parte, la conoscenza del vero è un atto della ragione, dall’altra a questa conoscenza l’uomo è sempre guidato dalla sua volontà. San Tommaso giunge a dire “Error manifeste habet rationem peccati” (Qq. disp. de Malo q. 3, a. 7). Per cogliere le argomentazioni nella loro forza probante occorrono alcune disposizioni spirituali che ora vorrei richiamare, prima di passare all’esposizione degli argomenti.
La prima è che non è sufficiente constatare i fatti, occorre vedere in essi l’eventuale valore presente in essi, percepire la loro preziosità etica. Se facciamo l’analisi chimica di un pezzo di marmo giungiamo allo stesso risultato che se sottoponessimo ad analisi chimica la Pietà di Michelangelo. Se allora uno concludesse: sono due pezzi di marmo del tutto identici, diremmo che questi mancherebbe di qualsiasi senso estetico. Non saprebbe, cioè, vedere, percepire la preziosità propria, il valore inerente ad uno dei due blocchi di marmo. Avviene in maniera analoga nel campo dell’etica. Esistono “fatti” che sono dotati di una propria preziosità etica. Ed il Card. Newman parlava giustamente di un “moral sense”: di una capacità intellettiva che può vedere il “moral good”. Ed allora, viene subito da chiederci: la fertilità dell’atto coniugale è dotata di una preziosità etica oppure è un mero dato di fatto? Le argomentazioni che fra poco presenterò tendono precisamente a mostrare questa singolare preziosità.
Ma è necessario ancora essere liberati da un altro pregiudizio ed acquisire un secondo atteggiamento spirituale. Il pregiudizio è quello proprio dello spiritualismo esasperato che non consente di vedere nessun valore, nessuna preziosità etica nei dati materiali, biologici, giudicando quel valore e quella preziosità troppo alta per potersi insediare ed abitare nel biologico. Antonio Rosmini ha scritto nella Logica pagine assai penetranti e parla, al riguardo, di una “attività personale riguardante gli assensi e le persuasioni... per la quale l’uomo altera a se stesso le concezioni naturali degli enti” (Opere, vol. 8, Roma - Stresa 1984, pag. 492). Il valore morale, in realtà, è umile e non disdegna di abitare nel biologico. Le manifestazioni di questa umiltà sono molteplici. Le argomentazioni che ora presenterò tendono precisamente a far vedere come una somma preziosità etica sia presente nella fertilità dell’atto coniugale.
2, 1. Compiendo l’atto coniugale durante il loro periodo fertile, gli sposi pongono le condizioni perché abbia inizio quel processo che per sua intima natura conduce al concepimento di una nuova persona umana. Questa, ponendosi quell’atto coniugale, cessa di essere una mera possibilità remota. Essa diviene una reale possibilità: realmente può venire all’esistenza una nuova persona umana. La preziosità, dunque, della fertilità dell’atto coniugale è denotata dalla preziosità stessa della persona umana.
2, 2. Che l’atto coniugale sia l’espressione-realizzazione del dono interpersonale dei coniugi è una verità che dobbiamo supporre come conosciuta ed ammessa. Nella luce di questa verità deve essere pensata la verità profonda della fertilità umana.
La capacità procreativa, in quanto capacità inerente alla sessualità maschile-femminile, può divenire effettiva solo mediante l’atto sessuale coniugale (prescindiamo per il momento dal caso della FIV): è solo in e mediante questo atto che quella capacità diviene effettiva. È l’uomo che dona alla donna la possibilità reale di divenire madre; è la donna che dona all’uomo la possibilità reale di divenire padre. La maternità-paternità è un dono che gli sposi si scambiano reciprocamente.
La contraccezione è l’esclusione, il rifiuto di questo scambio, voluto proprio nel momento stesso in cui esso può essere fatto ed in cui dicono un dono completo e totale. E, pertanto, la contraccezione costituisce una obiettiva menzogna.
2, 3. La verità della creazione immediata di ogni spirito umano, verità che dobbiamo considerare già ben nota e dimostrata, ci conduce ad individuare una terza e più profonda ragione.
La fertilità inerente all’atto coniugale pone i coniugi in un oggettivo rapporto con Dio creatore. Oggettivo: fondato, cioè, non sulla volontà deliberata degli sposi di porre quel rapporto medesimo, ma sul solo e semplice dato di fatto che stanno compiendo un atto coniugale fertile. Per quale ragione? Compiere un atto coniugale fertile equivale — per definizione — a porre le condizioni necessarie e sufficienti perché inizi quel processo che per sua intima natura può portare al concepimento di una nuova persona umana. Ma, ancora, porre le condizioni...(ecc.) equivale a porre quelle condizioni necessarie e sufficienti perché Dio compia — se lo vuole — il suo atto creativo. In questo senso preciso, il compimento di un atto coniugale fertile colloca gli sposi in un rapporto con Dio creatore.
La contraccezione è la rottura obiettiva di questo rapporto. Obiettiva, cioè prescindente dal fatto che gli sposi lo sappiano o non, lo vogliano o non. Infatti, nello stesso momento in cui offrono a Dio la possibilità di creare (= decidono di compiere un atto coniugale nel periodo fertile), essi vogliono che questa possibilità non esista e la distruggono. Con questa decisione, essi si arrogano un diritto che non appartiene a nessuna creatura.
3. La seconda domanda
Dobbiamo ora chiederci se solo l’atto coniugale è eticamente degno di porre le condizioni perché si inizi quel processo che per sua natura può portare al concepimento di una nuova persona umana oppure se, quando si sapesse con certezza che questo processo, per ragioni naturali, non potrebbe mai concludersi col concepimento, sia lecito che altri — con un atto diverso dall’atto coniugale — pongano quelle condizioni che...(ecc.). È questo, nella sua essenza, il problema della FIV (in the simple case).
A me sembra che il problema morale della FIV implichi tre domande fondamentali. La prima e più importante riguarda il rapporto fra quelli che nelle premesse abbiamo chiamato i due principi del concepimento umano, il principio personale — il concepimento in quanto dipende dalla volontà degli sposi — ed il principio naturale — il concepimento in quando dipende da leggi naturali —: il rapporto fra l’atto coniugale in quanto atto di donazione interpersonale e l’atto coniugale in quanto causa del processo naturale di fecondazione. Si tratta di un rapporto di tale natura da non ammettere separazione, in nessun caso? È questa la prima domanda. La seconda è profondamente connessa colla prima. Essa riguarda la natura intima dell’atto che, al di fuori del l’atto coniugale, pone le condizioni del concepimento. La terza è una conseguenza delle due precedenti: la conseguenza prima della FIV è che il concepimento avviene fuori del corpo. La circostanza del luogo è dal punto di vista etico indifferente?
3, 1. La prima domanda è la più difficile. Cominciamo col constatare i fatti in sé. L’atto coniugale proprio per la sua stessa struttura di “congiunzione personale” può essere atto che dà origine al processo che porta al concepimento. Ora, può accadere che questo processo non possa concludersi col concepimento, non a causa dell’impossibilità da parte degli sposi di porre l’atto coniugale necessario e sufficiente per quanto dalla loro volontà dipende. Ma per ragioni intrinseche al processo naturale stesso (= caso di sterilità). In questa situazione, benché i coniugi siano in grado di compiere un normale atto coniugale, al fine di ottenere per loro un figlio, si pone in essere il processo di fecondazione fuori dal loro corpo e, dunque, per necessità, con un atto che per sé è separato dall’atto coniugale. Altro è l’atto coniugale dall’atto che pone in essere il processo di fecondazione. La domanda etica è la seguente: l’atto che pone in essere il processo di fecondazione deve essere un atto coniugale? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo vedere di che natura è il rapporto di questa proprietà dell’atto coniugale (= la proprietà di essere la causa che dà inizio al processo di fecondazione= con l’atto coniugale come tale. Ora, come ci insegnano i logici, questo rapporto può essere o essenziale o accidentale. Essenziale: la proprietà appartiene per sé all’atto; accidentale: la proprietà appartiene all’atto accidentalmente. Se vi appartiene nel primo modo, si deve concludere che la FIV è sempre illecita; se nel secondo, la FIV può essere lecita. Ed ora tento una risposta a questa domanda.
Ho già detto, fino alla noia, che il processo di fecondazione è un processo che appartiene al mondo della natura. L’uomo abita il mondo della natura attraverso il suo corpo: i dinamismi somatici sono dinamismi naturali.
Ma ciò che specifica il corpo umano è di essere un corpo personale: elevato al modo di essere della persona. (E qui si inserisce tutta la riflessione sul corpo come “linguaggio della persona”).
Quindi, i dinamismi somatici umani esigono di essere dinamizzati, posti in attività dall’atto della persona: dalla sua ragione e libertà.
Questo in generale. In particolare: i dinamismi procreativi in quanto dinamismi corporali devono essere, appartengono per sé e non accidentalmente, attualizzati dall’atto sessuale personale, cioè dall’atto coniugale d’amore.
3, 2. Si potrebbe obiettare che il processo di fecondazione nella FIV è messo in atto da una persona con decisioni razionali. È la seconda domanda sulla FIV: ma questo atto è degno di porre in essere il processo di fecondazione? La risposta qui è più semplice.
L’attività che dà origine alla FIV è un’attività di carattere tecnico: la sua essenza, il suo “logos” è la tecnicità.
Ma il processo che dà origine ad una persona non può essere causato da un’attività tecnica. Quindi la FIV è illecita.
3, 3. Benché il “luogo” sia per sé una circostanza, osserviamo che quanto più si sale nella scala degli esseri, più la circostanza del luogo diviene importante. Se il concepito umano esige di essere il termine di un processo che deve essere causato da un atto di amore, sembra, quanto meno, che il suo “luogo proprio” non possa essere che un’altra persona umana.
4. Conclusione
Esiste una verità dell’amore coniugale che non l’uomo e la donna inventano, ma scoprono, quando il loro intelletto è illuminato. È primo e fondamentale compito della Chiesa annunciare questa verità.
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