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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Seconda Veglia di Avvento
Cattedrale, 9 dicembre 2006


1. L’attesa del Signore, che dà contenuto allo scorrere dei nostri giorni, esige da parte nostra un atteggiamento spirituale che questa sera ci viene insegnato sia dal profeta Isaia sia dalla seconda lettura.

Iniziamo dal profeta. Egli condanna la sicurezza in cui vivono gli abitanti di Gerusalemme dopo la liberazione dal primo assedio assiro, attribuendola in primo luogo alle opere umane realizzate in previsione del conflitto: "voi guardavate in quel giorno alle armi del palazzo della Foresta … avete raccolto le acque della piscina inferiore…"

Noi non possiamo più attendere il Signore, non abbiamo più bisogno della sua presenza, quando riteniamo consapevolmente o inconsapevolmente di poter vivere senza di lui. La pagina profetica ci invita a porci una domanda: è la fiducia nel Signore o la fiducia in noi stessi che custodisce nel nostro cuore la speranza? L’apostolo Paolo ci chiederebbe: in che cosa e di che cosa ti glori, del Signore e della sua grazia o di te stesso e delle tue capacità realizzative? A seconda di come rispondiamo a queste domande, noi siamo o non siamo in attesa del Signore; avvertiamo o non avvertiamo il bisogno della sua presenza; diciamo col cuore e non solo colle labbra: "Vieni, Signore Gesù".

Miei cari fedeli, il tempo di Avvento ci educa a vivere nella consapevolezza che se il Signore non ci visita, la nostra vita è priva di consolazione vera, di speranza autentica. Al massimo si riesce a vivere come gli abitanti di Gerusalemme di cui parla il profeta: "si gode e si sta allegri, si sgozzano buoi e si scannano greggi, si mangia carne e si beve vino: mangiamo e beviamo, perché domani moriremo". Domenica scorsa Gesù nel Vangelo ci invitava a vigilare perché non si appesantiscano i nostri cuori. C’è un peso nel cuore quando non c’è più nessuno da attendere; quando non si crede più possibile nessuna sorpresa.

2. La seconda lettura ci fa incontrare con il santo dell’Avvento, S. Giovanni Battista.

La Chiesa, miei cari, e nella Chiesa ciascuno di noi, ha bisogno di ascoltare sempre la predicazione del Battista, una predicazione che grida di "preparare la via al Signore".

Perché la predicazione del Battista ha un significato permanente? La seconda lettura, come avete sentito, ci mette sulla strada per trovare la risposta alla domanda.

Esiste come una profonda analogia fra la storia di Giovanni Battista e la condizione spirituale dell’uomo, di ciascuno di noi. Egli indica l’imminente venuta del Signore, trovandosi nel deserto; la nostra vita priva della presenza del Signore è – dice il Salmo – come terra deserta, arida e senz’acqua.

Lasciamo risuonare nel deserto della nostra vita la voce del Battista: "prepara la via al Signore; preparagli la via nella tua intelligenza disponendoti ad ascoltare la sua parola che è luce per i tuoi passi; preparagli la via nella tua volontà disponendoti docilmente ad esercitare la tua libertà secondo i suoi comandamenti, preparagli la via nel tuo cuore perché abitandovi, il Signore lo renda capace di donarsi".

Se ascoltiamo la voce del Battista, questo Avvento ci farà vivere la stessa esperienza dei due discepoli di Emmaus: Gesù si renderà presente nella nostra vita; diventerà nostro compagno di viaggio; ci consolerà col dono dell’intelligenza delle Sacre Scritture; siederà con noi a tavola.