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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Celebrazione in Memoria del Card. Mindszenty nel 120° anniversario della nascita
Esztergom (Ungheria), 5 maggio 2012


Cari fratelli e sorelle, sono profondamente grato al vostro Eminentissimo Primate il Card. Péter Erdő di avermi invitato a questa celebrazione per me profondamente commovente.

Saluto con venerazione e vero affetto fraterno gli Eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi. E voi, carissimi fedeli: la vostra presenza numerosa manifesta ancora una volta la profonda nobiltà del vostro popolo, che non vuole dimenticare chi fu testimone della verità dentro ad un regime violento, fondato sulla menzogna. Poniamoci dunque tutti all’ascolto della Parola di Dio.

1. "Gli disse Filippo: Signore, mostraci il Padre e ci basta". La domanda dell’apostolo nasce dal desiderio più profondo che abita nel cuore dell’uomo: vedere Dio è il bene sommo che l’uomo possa desiderare, l’estremo compimento della persona. E’ questo che chiede Filippo.

La risposta di Gesù è sconcertante. E’ come se alla domanda di Filippo Gesù rispondesse: "Dio lo vedi già; è già visibile in me; ciò che io vi dico è Dio stesso a dirlo; ciò che io faccio è Dio stesso a farlo". "Chi ha visto me ha visto il Padre". Non viene indicata ai discepoli nessun’altra via per vedere Dio: la via è Gesù; in Lui l’uomo finalmente può vedere Dio. Gesù quindi, rivolgendosi ora a tutti i discepoli, aggiunge: "Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me".

Cari fratelli e sorelle, è la fede che ci fa vedere in Gesù – nelle sue parole e nelle sue opere – la presenza stessa di Dio, Dio medesimo. La fede è un tale potenziamento della nostra facoltà intellettiva, che rende il credente capace d’incontrare, di "vedere" in Gesù Dio stesso.

Ma come possiamo noi oggi vedere Gesù cogli occhi della fede? Dove possiamo incontrarlo? Gesù è nostro contemporaneo, oppure colla fede devo in un qualche modo superare i venti secoli di storia che mi separano da Lui? Gesù per noi è solo un ricordo o è una presenza?

Troviamo la risposta a queste gravi domande nella prima lettura. Come abbiamo sentito Paolo e Barnaba decidono di "annunciare la Parola di Dio " ai pagani. La risposta è stata commovente: "i pagani si rallegrarono e glorificavano la Parola di Dio e abbracciarono la fede tutti quelli che erano destinati alla vita eterna".

Mediante la predicazione apostolica, l’uomo viene in contatto con l’avvenimento stesso della salvezza. Accogliendo nella fede la predicazione apostolica, la persona non apprende solo un insegnamento, ma può incontrare Gesù stesso. Si apre nella fede alla grazia e, in piena semplicità ed abbandono, vive la gioia di una salvezza offerta da Dio gratuitamente.

L’apostolo Paolo scrive: "Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore, cioè la parola della fede che noi predichiamo. Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo" [Rm 10,8-9].

Il racconto della prima lettura si conclude infatti nel modo seguente: "i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo". Cari fratelli e sorelle: nella Chiesa, mediante la predicazione apostolica e i santi Sacramenti, l’evento della salvezza accade sempre, poiché mediante essi – la predicazione apostolica e i Sacramenti – il Signore Risorto è sempre presente ed operante nella sua Chiesa. E ciascuno di noi Lo può incontrare nella fede per opera dello Spirito Santo.

2. La prima lettura ci rende consapevoli che l’annuncio della Parola di Dio, la predicazione apostolica, suscita rifiuto e persecuzione di chi la compie; rifiuto che giunge fino all’esilio di chi predica: "suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li scacciarono dal loro territorio".

La ragione di questa opposizione è misteriosamente indicata colle seguenti parole: "non vi giudicate degni della vita eterna". E’ lo scontro fra una visione della persona umana, un’antropologia che rinchiude l’uomo dentro l’orizzonte della vita terrena e non lo giudica degno della vita eterna ed un’antropologia che apre l’uomo al destino di una vita eterna in Dio.

Cari fratelli e sorelle, la pagina degli Atti degli Apostoli appena ascoltata ci fa comprendere la vera grandezza cristiana del Servo di Dio Jozsef Mindszenty: ci offre la chiave di lettura della sua immensa testimonianza.

Nel libro dell’Apocalisse [12,17] si dice che le potenze del male perseguitano "coloro che sono in possesso della testimonianza di Gesù". Gesù di fronte al potere politico che non avrà scrupoli a condannarlo pur riconoscendone l’innocenza, ha reso la sua testimonianza, la testimonianza alla verità. "Per questo io sono nato", ha detto a Pilato "e per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità" [Gv 18,37].

Il Servo di Dio Card. Midszenty lasciò che questa testimonianza di Gesù penetrasse nella sua persona, dimorasse in essa e fosse la sorgente ultima del suo pensiero, delle sue opere e della sua predicazione. Egli fu tra "coloro che sono in possesso della testimonianza di Gesù".

E fu scontro; fu persecuzione; fu prigionia. "Il mondo infatti teme quello sforzo che un uomo sacrifichi la vita per la verità; ha paura di averlo tra i piedi" [S. Kierkegaard, Diario V, 109].

"Non si giudicano degni della vita eterna". Il Servo di Dio che aveva in sé la testimonianza di Gesù, dovette far fronte ad un potere che aveva preso corpo in un sistema, il materialismo dialettico e storico, che negava ogni destinazione ultraterrena dell’uomo; che escludeva radicalmente la presenza e l’azione di Dio nel mondo e soprattutto nell’uomo. A questo potere il Servo di Dio non oppose altro che la testimonianza di Gesù di cui era in possesso: la testimonianza al primato di Dio e alla verità dell’uomo. E’ stato la "spia" della verità. "Anche se avevo sperimentato l’orrore dell’odio" ha scritto nelle sue memorie "anche se avevo imparato a conoscere la faccia del diavolo, proprio il carcere mi insegnò a fare dell’amore il principio direttivo della vita".

Cari fratelli e sorelle, nella Lettera agli Ebrei è scritto: "Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede" [13,7].

La testimonianza del Card. Mindszenty è ormai piantata nella coscienza del vostro grande popolo: come permanente richiamo e come grande incoraggiamento.

E’ un richiamo permanente a non tradire l’identità cristiana della vostra nazione generata da Stefano; a trasmettere di generazione in generazione mediante l’educazione i grandi eventi fondatori della vostra storia, fra cui il martirio del Card. Mindszenty. Egli vi ha testimoniato l’intangibilità della dignità personale di ogni uomo. Perseguitato e imprigionato, egli ha testimoniato che non si deve preferire la vita alle ragioni per cui vale la pena vivere.

E’ un forte incoraggiamento. Se il regime del comunismo ateo è morto, l’ethos che l’Europa occidentale sta costruendo ed imponendo in vari modi non è meno devastante per l’uomo. Il martire ci richiama alla voce della coscienza. Essa ci dice che ci sono verità e beni morali per i quali si deve essere disposti a dare anche la vita, poiché se la persona e se una nazione li tradiscono, tradiscono se stessi: perdono se stessi.

Terminando la sua opera Gli ariani del IV secolo, il Beato J. H. Newman ha scritto: "Il predominio dell’errore, per quanto prolungato, ha carattere solo episodico; esso velocemente si esaurisce facendo trionfare la Verità: "ho visto l’empio in gran potere – dice il Salmista – fiorire come un verde lauro; io gli sono passato accanto ed ecco, egli era sparito"" [ed. Jaca Book, Milano 1981, 298]. Restano coloro che possiedono la testimonianza di Gesù.

Cari amici, consentitemi di concludere con un ricordo personale. Venni a conoscenza del Card. Mindszenty che ero ancora un bambino. Ricordo ancora perfettamente che mio padre ne parlava continuamente in casa, e lo considerava un esempio di fedeltà a Cristo che ci proponeva. Non posso ora non essere profondamente commosso. Il vostro Eminentissimo Primate mi ha fatto un dono grande: posso pregare sulla tomba di questo martire e testimone della fede della Chiesa del XX secolo, che fu guida ai miei primi passi verso il sacerdozio.