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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


IL "PRIMO ANNUNCIO" nella nostra pastorale
Quattro giorni sacerdoti
11 settembre 2003

La riflessione che abbiamo compiuto in questi giorni e che si conclude oggi, si pone in piena continuità con quanto siamo venuti dicendo e facendo in questo anni: la priorità dell’evangelizzazione. O, il che equivale, la privilegiata attenzione alla iniziazione cristiana.

All’interno del processo di iniziazione cristiana, è oggi assolutamente necessario che fermiamo la nostra attenzione sul momento originario, sorgivo, che inizia il cammino: questo momento lo chiamiamo il "primo annuncio". Di questo momento ho parlato lungamente sia nella Lettera past. Niente sia anteposto a Cristo [nn. 2-3], sia nella Lettera pastorale Con Cristo nel terzo millennio [nn. 8-9]. Rimando alla lettura di quelle pagine.

Possiamo dunque iniziare la nostra riflessione da un testo dell’Esortazione apostolica Ecclesia in Europa: nn 46-47.

Dal testo pontificio, dalla riflessione che durante questi anni abbiamo compiuto, dal grande impegno catechistico che in questi decenni la nostra Chiesa ha compiuto, emergono evidenti alcuni punti definitivamente acquisiti, di non ritorno. Essi sono fondamentalmente tre.

a/ È un’urgenza inderogabile il primo annuncio che si propone l’incontro della persona col Cristo vivente nella sua Chiesa: la "prima evangelizzazione" di cui parla il Papa. È inderogabile urgenza per la compresenza di altre religioni nel nostro vissuto quotidiano: per la frequente rinuncia fatta dalla famiglia [tradizionale soggetto del primo annuncio] al suo compito di primo testimone della fede; per una crescente deriva moralistica – umanistica della trasmissione della fede; per una diffusa tendenza ad una religiosità vaga, "notte in cui tutte le vacche sono grigie" [Hegel].

b/ Si ha la consapevolezza sempre più chiara che la catechesi stia presupponendo l’esistenza di "qualcosa" che in realtà non esiste: la fede in Cristo; l’incontro reale e personale con Lui. Detto in altre parole: si ha sempre più la "impressione" che si faccia catechesi a bambini, adolescenti, giovani rimasti pagani non in senso morale: nel loro "cuore" rimasto incredulo.

È questo uno dei nodi più difficili da sciogliere e su cui vi prego di riflettere molto seriamente nei lavori di gruppo: la nuova evangelizzazione deve dire ordine più alla prima evangelizzazione che alla catechesi. È pleonastico dire che non si tratta di alternative, ma di gerarchia di scelte.

c/ Ciò che definisce o configura la prima evangelizzazione o il primo annuncio è la centralità della persona di Gesù Cristo e del suo atto redentivo. "Sì, dopo venti secoli, la Chiesa si presenta all’inizio del terzo millennio con il medesimo annuncio di sempre, che costituisce il suo unico tesoro: Gesù Cristo è il Signore; in Lui, e in nessun altro, c’è salvezza" [Es. ap. Ecclesia in Europa 18,1].

Ho ritenuto opportuno fare questa lunga premessa per continuare in modo corretto e consapevole sul piano pastorale la riflessione dei giorni scorsi.

Dobbiamo in sostanza rispondere alla seguente domanda: in che modo declinare la vita quotidiana della parrocchia in modo tale da corrispondere all’urgenza prioritaria del primo annuncio?

Cercherò nelle pagine seguenti di orientare in modo semplice il vostro lavoro nei gruppi, scandendo la mia riflessine in tre punti.

1. Definizione di "primo annuncio".

È indispensabile partire da una totale chiarezza terminologica, cercando di definire rigorosamente il termine di "primo annuncio". Anche perché dietro ogni termine di fatto si pone sempre un determinato modo di agire.

Questo lavoro di chiarificazione è già stato fatto nel doc. pastorale Il rinnovamento della catechesi del 02-02-\970, emanato dalla CEI, al n. 25. Primo annuncio è "l’annuncio delle verità e dei fatti fondamentali della salvezza" al fine di conoscerne il senso radicale, che è la "lieta novella" dell’amore di Dio" [cfr. E CEI 1/ 2442-2445].

Tutti gli studi biblici concordano nel dire che "il contenuto del primo annuncio è Gesù Cristo, morto e risorto, compimento delle promesse di Dio e risposta alle vere e profonde attese umane di salvezza" [R. Fabris]. Sarebbe già un buon risultato di queste mattine di riflessione, impegnarci tutti per creare questa benefica unità di linguaggio.

Non voglio ora fermarmi ad analizzare questa definizione; potete farlo con molta attenzione nei lavori di gruppo. I referenti fondamentali di quella definizione sono fondamentalmente tre: (a) la persona ed il mistero pasquale di Cristo; (b) il destinatario del primo annuncio connotato come "uno che attende salvezza"; (c) il ministro o servo del Vangelo, che compie il primo annuncio. Durante questi anni ho parlato spesso di questi tre referenti nella loro concatenazione. Non mi dilungo oltre, per passare subito al punto seguente.

2. Condizioni di una pastorale di primo annuncio.

È questo il punto centrale di tutta la nostra riflessione: individuare le condizioni indispensabili perché la comunità parrocchiale svolga effettivamente una pastorale di primo annuncio. Esse attengono a ciascuno dei tre referenti che definiscono il primo annuncio. Dunque, per chiarezza, procederò secondo il loro ordine.

2. 1. La prima condizione è che venga recuperata la capacità di narrare l’avvenimento pasquale in modo significativo per l’ascoltatore così che senta l’esigenza della conversione. Ci fermiamo brevemente a riflettere su questa prima condizione.

Essa in primo luogo denota le tre dimensioni essenziali del primo annuncio: la dimensione narrativa [i fatti evangelici della morte-resurrezione di Gesù non possono più essere presupposti]; la dimensione riflessiva [l’evento pasquale ha un senso: "pro nobis"; questo senso deve essere spiegato]; la dimensione esortativa [ciò che è narrato e interpretato, lo è in vista di un reale cambiamento di chi ascolta]. Tutte e tre le dimensioni sono essenziali, e quindi devono essere presenti nel primo annuncio.

Perché ho parlato di "recupero di capacità"? perché l’evangelizzazione sembra trovarsi in seria difficoltà oggi nell’articolare in modo corretto il contenuto del primo annuncio: sembra ne abbia smarrito sia la grammatica sia la sintassi.

2. 2. La seconda condizione è la condivisione critica dell’attesa dell’uomo di oggi, della sua condizione esistenziale. Molte volte, spesso anche a lungo, mi sono soffermato su questa condizione. Essa poteva anche essere espressa col termine di discernimento. In ogni caso l’incontro è, e deve essere come percorso da due correnti che si incrociano: la condivisione ed il giudizio. La condivisione senza il giudizio è cieca; il giudizio senza la condivisione è spietato. Giudizio qui significa che l’attesa umana di salvezza è sempre ambigua.

È il grande tema della "praeparatio evangelica" su cui la Chiesa dei Padri ha così lungamente meditato.

2. 3. La terza condizione riguarda il ministro del Vangelo. Essa può essere descritta semplicemente nel modo seguente: solo chi è stato salvato può narrare significativamente la salvezza cristiana, muovendo chi ascolta alla stessa esperienza; solo chi è stato incontrato può narrare significativamente che cosa accade nell’incontro così che anche chi ascolta sia attratto.

In questo senso, la Chiesa non è il tema del primo annuncio, ma è l’unico contesto vitale in cui il primo annuncio può accadere.

Da questa condizione derivano conseguenze molto profonde per la nostra vita, che individueremo rispondendo ad una sola domanda: quale posto occupa Gesù Cristo nella mia vita? Essa è veramente "in Cristo"?

3. I responsabili e i destinatari del "primo annuncio".

Da quanto detto deriva che ogni cristiano, ogni credente è ministro del Vangelo: è chiamato a fare il primo annuncio. Ogni credente, in quanto semplicemente tale, senza bisogno di possedere particolari carismi o deleghe speciali è responsabile della prima evangelizzazione. Da questo punto di vista, il primo annuncio ha un carattere non istituzionalizzato. Anche il C.J.C. [can. 781], dichiara l’"opus evangelizationis" come "fundamentale officium populi Dei" e quindi dice: "christifideles omnes … partem suam in opere missionali assumant".

Ma poiché siamo sacerdoti, possiamo e dobbiamo riflettere sulla specifica natura ed originalità della nostra partecipazione al "fundamentale officium populi Dei".

Dobbiamo in primo luogo fare chiarezza nella nostra coscienza di pastori che il nostro servizio redentivo ha/deve avere ben due ambiti che sono distinti: generare i cristiani; nutrire i cristiani generati. Al primo corrisponde quel processo di iniziazione cristiana che ha la sua sorgente ed il suo inizio, il suo principio e fondamento nel primo annuncio della fede. Al secondo corrisponde la pastorale ordinaria di cui è momento fondamentale la catechesi.

Se è vero sul piano della vita soprannaturale quanto è vero per la vita naturale, e cioè il carattere di sviluppo nella continuità [l’adulto è lo stesso concepito] e quindi che i due momenti non vanno separati, bisogna però anche guardarsi dal cadere in un errore pastoralmente disastroso. L’errore di ritenere che si possa essere cristiani senza aver mai deciso di diventare cristiani. Le critiche spietate di Kierkegaard alla cristianità hanno in questo individuato un problema centrale nella vita della Chiesa. Quando non si ha più chiara quella distinzione, o prima o poi si cade in quell’errore, con risultati pastorali disastrosi.

E siamo così giunti ad un nodo centrale dal punto di vista pastorale: il rapporto fra [usiamo pure queste formulazioni: non ne trovo di meglio] "pastorale del primo annuncio" e "pastorale ordinaria".

La parrocchia è un’istituzione carica di secoli e di tradizioni, chiamata ad una molteplicità di compiti, alcuni dei quali assolutamente necessari alla salvezza dell’uomo. Dobbiamo quindi evitare fin dall’inizio due posizioni ugualmente false e dannose: la posizione palingenesiaca e la posizione fissista. La prima è di chi possa pensare che finalmente abbiamo … capito tutto, e che tutto comincia oggi e quindi tutto quanto fatto finora debba essere ritenuto sbagliato. La seconda è di chi possa pensare che non c’è alcuna novità, alcuna conversione pastorale da compiere in primo luogo nel cuore del pastore, ma che tutti i problemi dipendano dalla nequizia dei tempi in cui viviamo.

Sgombrato l’animo da queste due attitudini, affrontiamo serenamente il problema. Esso, mi sembra, si pone da due punti di vista nella pastorale ordinaria. O se volete, il problema di cui stiamo parlando sussiste nella pastorale ordinaria in due domande: quali sono le persone colle quali la nostra pastorale ordinaria entra in rapporto e alle quali va soprattutto fatto il primo annuncio? Che rapporto esiste fra pastorale del primo annuncio e l’iniziazione cristiana sacramentale? Ora mi fermerò brevemente su ciascuna delle due domande.

3. 1. A me sembra che siano le seguenti: il bambino che incontra per la prima volta la parrocchia [in corrispondenza, grossomodo, alle prime due classi di catechismo]; gli adolescenti che sono guidati ad appropriarsi della fede proposta o ricevuta; i giovani che sono chiamati a compiere la scelta del loro stato di vita [normalmente oggi nelle nostre parrocchie, quando chiedono di sposarsi in Chiesa]; giovani o adulti che intendono riallacciarsi colla fede abbandonata o da sempre trascurata. Una parola almeno per ciascuna di queste categorie di persone.

Per quanto riguarda la prima, vi rimando semplicemente a quanto ho detto nella Tre giorni dell’anno scorso. Sarebbe utile che nei lavori di gruppi vi scambiaste le vostre esperienze al riguardo.

La seconda categoria di persone, comunemente indicata con l’espressione "i ragazzi del post-cresima", è oggi, e giustamente, al centro della nostra preoccupazione pastorale. Anni orsono ho deciso di proporre in maniera privilegiata, non certo escludente, la proposta educativa dell’ACR: la scelta rimane confermata. Ma bisognerebbe essere ciechi per non vedere che questa non può essere la scelta che da sola risolve questo grave problema pastorale. Né si può lasciare tutto all’inventiva del singolo pastore. Mi limito per il momento ad un’osservazione di decisiva importanza. Il "post-cresima" non è il momento, il tempo dell’impegno, chiesto ad un ragazzo che si reputa già in possesso di una sufficiente appropriazione della propria fede. È il tempo dell’appropriazione della propria fede, al contrario: ripresa in senso teologico-esistenziale dei primi due anni di catechismo. In questo momento mi limito a sottoporre alla vostra attenzione il fatto che questo deve essere la proposta che la nostra Chiesa fa a questi ragazzi.

Riguardo la terza categoria di persone, faccio tre riflessioni e relative proposte.

Nelle catechesi che farò in Cattedrale quest’anno il tema sarà fondamentalmente quello del primo annuncio, secondo anche lo schema proposto dal Santo Padre nel cammino verso la GMG di Colonia.

Vorrei però richiamare la nostra attenzione su una particolare categoria di persone giovani: coloro che in occasione del matrimonio chiedono di ricevere la Cresima. Abbiamo riflettuto su questa situazione nell’ultima sessione del Consiglio Presbiterale. Premesso che l’aver ricevuto il sacramento della Cresima non è condizione necessaria per celebrare il sacramento del Matrimonio; premesso che questa è una occasione propizia per il primo annuncio della fede e conseguente ripresa del cammino di iniziazione cristiana: dispongo al riguardo quanto segue.

Al giovane che chiede la Cresima in occasione del Matrimonio, si faccia la proposta di un cammino di fede prolungato e che continua anche dopo il Matrimonio. In ogni Vicariato si stabilisca un percorso di iniziazione cristiana per questi giovani disponibili da proporre o in sede vicariale o inter-parrocchiale o parrocchiale. Questo percorso tenga conto della situazione della singola persona, della legge della gradualità, del rapporto avuto colla Chiesa .

Alla fine il Vescovo stesso conferirà in Cattedrale a questi giovani la Cresima, ai Primi Vespri della Pentecoste, e nella Solennità di Cristo Re.

Al giovane che non sia disposto a compiere questo cammino, ovviamente si da il nulla-osta per celebrare il matrimonio, ma non lo si ammette al Sacramento della Cresima.

Queste disposizioni andranno in vigore col prossimo primo gennaio 2004, ed entro tale data ogni Vicariato dovrà far pervenire al Vescovo la proposta del percorso catechistico.

Sempre riguardo a questa terza categoria di persone, una riflessione riguardante i corsi di preparazione al matrimonio. Mentre ringrazio quanti di voi svolgono questo ministero pastorale tanto importante, non posso non invitare anche altri ad assumerselo. Ma la cosa che mi premeva dirvi è un’altra.

L’amore fra l’uomo e la donna è una delle vie privilegiate percorrendo la quale l’uomo e la donna entrano nel "cuore" del dramma umano, del dramma della loro salvezza. È dunque un "tempo propizio" in grado eminente per il primo annuncio. Cioè: non è una forzatura, ma un modo privilegiato di introdurre il giovane dentro questo mistero è quello di declinare la catechesi pre-matrimoniale secondo il paradigma del primo annuncio.

Riguardo la quarta categoria di persone sarò molto breve. L’esperienza di questi anni mi induce a pensare che anziché organizzare il catecumenato in modo pubblico, è meglio che per ogni non-battezzato che chieda il Battesimo se ne parli col Vescovo, determinando con lui il cammino da percorrere.

Le persone poi che hanno abbandonato la fede e ritornano alla Chiesa, meritano un particolare cura. È bene anche in questo caso parlarne col Vescovo, anche per la possibile rilevanza canonica della loro posizione.

3. 2. La seconda domanda è più complessa e difficile. Riguarda la connessione fra primo annuncio – iniziazione cristiana e sacramenti. Vorrei premettere alcune osservazioni generali.

Come finemente già sottolineava S. Tommaso esiste una omologia fra la logica dei sacramenti dell’iniziazione cristiana è la logica dello sviluppo bio-psicologico dell’uomo.

I sacramenti non esprimono solamente, ma costruiscono il cammino della persona dentro al mistero di Cristo, e la pienezza di questa introduzione è costituita dall’Eucarestia [non dalla Cresima!].

Possiamo esprimere l’avvenimento dell’iniziazione cristiana con tre verbi che la manifestano interamente: intro-ducere [è la dimensione propriamente sacramentale]; e-ducere [è l’iniziazione cristiana come attività educativa della Chiesa]; tra-ducere [è la trasmissione della fides quae, dei contenuti della fede]. Teologicamente, il primo annuncio è la Parola che suscita la fede ed il pentimento, e spinge l’uomo ad iniziare quel "cammino" che è l’iniziazione cristiana [cfr. At 2,36-38: testo assai importante]. Senza questo primo annuncio si costruisce un edifico senza fondamento. Si può dire che si costruisce un acquedotto senza collegarlo con una sorgente.

Queste osservazioni generali ci dicono quali sono i principali aspetti del problema che stiamo affrontando.

È necessario mantenere un giusto equilibrio fra "logica sacramentale", e "logica dello sviluppo bio-psicologico". L’avere dato un’indebita importanza alla seconda ha portato alla discutibile scelta di posticipare la Cresima all’Eucarestia: scelta che comunque resta obbligatoria.

Il fatto che il sacramento costituisce il cammino della persona in Cristo, fa sì che la nostra catechesi debba essere "mistagogica". Ma anche è necessario che si educhi ad un’esistenza vissuta in Cristo. È il problema del c.d. "post-cresima". Esso è creato in larga misura dalla … catechesi pre-cresima; la soluzione dipende in larga misura dalla nostra capacità di offrire una catechesi ed un cammino sistematici a questi ragazzi. Una proposta in questo senso è ormai improrogabile, a livello diocesano, ed è in preparazione.

Conclusione

Terminando queste riflessioni, penso che molti di voi diranno in cuore loro: "ed adesso, che cosa facciamo?". Può sorgere cioè un senso di smarrimento. È questa un’attitudine dalla quale il pastore deve soprattutto guardarsi. Un pastore smarrito infatti può dare origine ad una "pastorale da panico" che mira o a scelte radicali ma discutibili di solito per il loro rigorismo o a "scelte di contenimento" che non hanno una visione d’insieme.

Non c’è dubbio che nel campo della pastorale siamo in una fase di ricerca e di sperimentazione, la quale esige coraggio ed umiltà, intraprendenza ed unità.

Penso che la riflessione fatta in questi giorni sia stata importante perché avrebbe dovuto farci raggiungere un obiettivo: l’essere noi oggi inviati in primo luogo a compiere il primo annuncio della fede ed ad iniziare l’uomo al Mistero di Cristo. Avessimo raggiunto tutti questa intima certezza! Avremmo già fatto il primo passo nella direzione giusta.