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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


LA MISURA ALTA DELLA VITA
Ritiro dei Sacerdoti: Pomposa
8 maggio 2003

Leggeremo, mediteremo e pregheremo durante questo ritiro la settima ed ultima lettera, quella alla Chiesa di Laodicea. È una lettera che unisce una durezza di giudizio unica nella S. Scrittura ["sto per vomitarti dalla mia bocca"] ad una promessa di incomparabile dolcezza ["cenerò con lui e lui con me"]. È il messaggio conclusivo con cui Cristo si rivolge alla Chiesa, ed in essa a ciascuno di noi.

1 [Auto-presentazione di Cristo]. Poniamoci in primo luogo ai piedi di Cristo per ascoltare semplicemente ciò che dice di se stesso. Siamo aiutati a farlo dallo stupendo affresco dell’abside di questa Chiesa. Egli dice di se stesso di essere "l’Amen, il testimone fedele, il Principio della creazione di Dio".

1,1: è l’AMEN. Dobbiamo prestare molta attenzione, perché è l’unico caso nel N.T. in cui Cristo è qualificato con questo attributo, ispirato probabilmente da Is 65,16.

Egli è Colui nel quale la fedeltà, la verità di Dio alle sue promesse si realizza pienamente: in Cristo ogni promessa è adempiuta fedelmente, veracemente. È l’Amen del Padre [cfr. 1Cor 1,20], ed è partecipe della stessa qualità del Padre: assolutamente, incondizionatamente affidabile. Gesù il Signore Risorto è il Dio-Amen della nuova Alleanza nella quale tutte le promesse si compiono, le prefigurazioni diventano realtà. E siamo così al secondo titolo cristologico.

1,2: è il TESTIMONE fedele e verace. È la premessa al fatto che Gesù sia l’Amen del Padre. La testimonianza fedele e veritiera è in rapporto al Padre: Gesù è colui che fedelmente e con verità dice la Rivelazione di Dio all’uomo. Anzi è Egli stesso la Rivelazione: in Lui missione e vita si identificano pienamente. È la verità di Dio [cfr. 1Tim 6,3; 2,6-7]. Egli ha dato la testimonianza decisiva al Padre e alla sua volontà salvifica.

1,3: è il PRINCIPIO della creazione di Dio. È questo un attributo cristologico di singolare profondità. Confrontando questo testo con gli altri due in cui ricorre [21,6, ma riferito a Dio; 22,13. Ambedue uniscono "principio" a "fine"] possiamo arrivare alle seguenti conclusioni. È Dio "l’Alpha e l’Omega, il Primo e l’Ultimo. È Lui che ha creato il mondo e tiene nelle mani il suo destino finale. Fra questi due poli [passato e futuro] però, Dio non resta inattivo. Egli continua a conservare e a fare nuove tutte le cose (21,5). Questa "novità"(già annunciata in Is 65,16-19 che esalta l’opera di Dio-Amen), l’autore dell’Apocalisse la vede realizzata in Cristo-Amen. Tutto ciò che è chainós partecipa della sua potenza di risuscitato. È in Lui e per mezzo di Lui che Dio crea un cielo nuovo ed una terra nuova (21,1). È Lu che è al contempo la sorgente ispiratrice e realizzatrice di questo rinnovamento nel suo divenire storico e non ci si stupisce che Giovanni quando contempla questo rinnovamento in atto, possa attribuire a Cristo gli attributi di Dio: "Alfa e Omega, Primo e Ultimo"" [I Donegani, "A cause de la parole de Dieu et du temaignage de Jesus", Gabalda, Paris 1997, pag. 333-334; trad. mia].

La Chiesa dunque, e ciascuno di noi in essa, è chiamata a porsi in ascolto ["così parla"] di Cristo che nella potenza della sua Risurrezione è Colui che rinnova la creazione intera; portando a realtà le promesse del Padre; dimostrandosi così testimone fedele. È di fronte non ad un morto che ci poniamo o ad un ricordo di qualcosa di passato. È un Vivente, principio di tutto.

2 [Giudizio e conversione]. Che cosa dice alla Chiesa, alla nostra Chiesa, ed in essa a ciascuno di noi?

Egli pronuncia un giudizio terribile: "… tu non sei né freddo né caldo…". È una Chiesa priva di ogni slancio ed entusiasmo: fiacca, debole, apatica ed indifferente. Certamente essa non ha rinnegato Cristo: non è fredda. Ma pur conservando la fede in Lui, vive in uno stato di sconcertante indifferenza: non è né calda né fredda. Ed il Signore esce in un’incredibile desiderio: "magari tu fossi fredda o calda". Si augura che diventi anche fredda, cioè che piuttosto lo rinneghi: basta che esca da questa apatia! Tutto questo si capisce solo entrando nella logica dell’amore. L’essere "tiepido" è certamente trovarsi ad un livello migliore che l’essere "freddo", ma quando uno è travolto dall’amore stravolge il discorso logico: "preferisco che tu mi rinneghi piuttosto che resti così apatico nei miei confronti". Meglio una mancanza totale di amore che questa condizione: o tutto o niente. È la logica dell’amore.

E la repulsione è espressa colla metafora più sconvolgente: il vomito. È come se il Signore dicesse: "mi fai venire il vomito!". Cioè: è tutto il suo essere che si rivolta contro un tale discepolo.

La situazione è peggiorata da una circostanza che ritroviamo abitualmente in chi vive in questo stato di tiepidezza: la certezza di essere "a posto". "Sono ricco; mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla". Ed è su e dentro questa coscienza che si scaglia il giudizio di Cristo rivelando la condizione reale. Condizione reale caratterizzata dalla povertà, dalla cecità, dalla nudità.

La povertà. Non è la povertà della Chiesa di Smirne che in realtà è spiritualmente ricca. Di quale povertà si tratta? per capirlo dobbiamo tenere presente che per uscirne, è necessario comperare da Cristo oro purissimo purificato dal fuoco. È l’oro che consiste nel fare spazio alla presenza di Cristo. "il fatto che la Chiesa dovrà acquistare oro purificato dal fuoco significa che attingerà la forza dalla presenza di Cristo, quella forza che le permetterà di non essere più tiepida, povera, ma ardente e veramente ricca per la presenza del suo Signore" [M. Mazzeo, Lo Spirito parla alla Chiesa, Paoline, Milano 1998, pag. 211].

La cecità. Il simbolo della cecità/visione ha un significato costante nella S. Scrittura. È cieco l’uomo che si chiude alla luce della Parola di Dio che è Cristo: "io sono la luce del mondo. Chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" [Gv 8,12]. È lui la luce che fa vedere l’uomo; la celeste Gerusalemme non ha più bisogno della luce creata, perché è l’Agnello la sua luce. Ed allora è facile capire di quale "collirio" parla il Signore: è la capacità di vedere che viene da Lui in chi lo incontra e lo ascolta nella fede.

La nudità. Essa connota l’assenza nella Chiesa di quelle opere che sono il frutto della carità: dell’ardore della carità. In chi è tiepido, non si vedono i frutti dell’amore. È la "veste bianca" di Cristo Risorto a coprire questa nudità: è da Lui ed in Lui che la Chiesa ritroverà il suo vigore, il suo fervore, e non sarà più nuda di buone opere .

In sintesi, la via per uscire da quella condizione che fa "vomitare" Cristo tanto la disapprova, è una sola: la presenza di Cristo accolta, vissuta, sentita come vera e reale .

3 [L’intimità col Signore]. In una lettera tanto sconvolgente viene fatta la promessa più grande e più suggestiva: l’intimità più profonda col Signore. Ogni parola richiama esperienze dal significato immenso.

Cristo sta alla porta e bussa. "Sorgi, apri", commenta S. Ambrogio, "alla porta c’è Cristo; bussa al vestibolo della tua casa. Se aprirai, entrerà, ed entrerà con il Padre … Se ti sembra che tardi, alzati. Sembra che tardi quando dormi a lungo, sembra che tardi quando non preghi, sembra che tardi quando non ridesti la voce coi salmi" [De Virginitate 11 60,12,69; NBA 14/II, pag. 53 e 59]. Lo "stare alla porta" richiama in primo luogo il primato dell’iniziativa divina: la presenza di Cristo è dovuta alla sua grazia. Ma questo stare alla porta sembra anche essere un tema che richiama l’entrata del Risorto in mezzo ai suoi discepoli. E notate bene: il bussare, l’entrare e lo stare a cena non connota un esperienza che dovrà accadere nella vita eterna. Nella vita attuale è donato al discepolo che ascolta ed apre, di vivere in questa intimità col Signore. Notate anche la sequela delle azioni del discepolo: ascoltare-aprire-cenare. È esattamente lo "schema" della celebrazione eucaristica.

Dunque "il "cenare" riguarda il presente della Chiesa, è l’intimità conviviale che essa vive nel celebrare l’Eucarestia, una volta che la Chiesa ha aperto la "porta" rendendosi così disponibile, recettiva a quanto Cristo le chiede e le dona, ha luogo la "cena", alla quale prendono parte il Cristo e la Chiesa" [M. Mazzeo, Lo Spirito… op. cit. pag. 227].

Conclusione

Abbiamo terminato la nostra lettura e meditazione delle sette lettere "dentro" al mistero eucaristico. Non è stato per caso. Per almeno due ragioni strettamente connesse.

La lettera della Chiesa di Laodicea è una delle più potenti esortazioni profetiche contro la mediocrità nella chiesa, contro l’insidia sempre presente di abbassare la misura della proposta cristiana. Quale è il rimedio? È la celebrazione degna dell’Eucarestia. Infatti "in forza di questo sacramento si compie una certa trasformazione dell’uomo in Cristo per mezzo dell’amore… ed è questo l’effetto proprio del sacramento" [S. Tommaso d’A. in IV Serm. D.XIII, q.2, a.2]. Esso realizza una unione familiare di Cristo con noi [cfr. 3,q.75, a.1]. Non dimentichiamo mai che secondo l’apostolo Paolo la ragione per cui nella comunità di Corinto vi erano molti ammalati ed infermi, e un buon numero di morti, era perché celebravano indegnamente l’Eucarestia [cfr. 11,30] .

L’altra ragione. La meditazione delle sette lettere nel suo insieme, ci ha condotto a porci di fronte a Cristo vivente oggi nella sua Chiesa. Cristo ci ha rimproverati; ci ha consolati; ci ha promesso grandi doni; ci ha infuso coraggio.

Dove possiamo vivere questo incontro in tutta la sua intensità, se non nella quotidiana celebrazione degna dell’Eucarestia; se non nella

fedeltà alla quotidiana adorazione eucaristica? È l’Eucarestia il fuoco ardente accostandoci al quale vinceremo sempre l’insidia della tiepidezza. Essa infatti "est sacramentum passionis Christi prout homo perficitur in unione ad Christum passum" [3,q.73,a.3,ad 3um] e il roveto ardente è il Christus passus.

Penso che possiamo concludere con una stupenda preghiera di S. Caterina: "O alta ed eterna Trinità, amore inestimabile! Se tu mi dici: Figliuola!, io dico a te: Sommo ed eterno Padre! E come tu mi dai te medesimo comunicandomi del corpo e del sangue dell’unigenito tuo Figliuolo, dandomi tutto Dio e tutto uomo, così, amore inestimabile, ti chiedo che mi comunichi del corpo mistico della santa Chiesa e del corpo universale della religione cristiana; perché nel fuoco della tua carità ho conosciuto che di questo cibo vuoi che l’anima mia si diletti" [in Le preghiere di S. Caterina da Siena, CLV – Ed. Vincenziane, Roma 1992, pag. 103] .