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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


IL SACERDOTE SERVO DEL DIO VIVENTE
Ritiro dei sacerdoti 23 gennaio 2003

Durante questo ritiro mediteremo e pregheremo la lettera alla Chiesa di Tiatira [Ap 2,18-29].

1. Il Signore presenta Se stesso con due caratterizzazioni: "Colui che ha gli occhi fiammeggianti come fuoco" e "[Colui che ha] i piedi simili a bronzo splendente".

Gli occhi fiammeggianti del Signore. "I suoi occhi hanno la forza di incendiare quel che guardano; non hanno questa forza di per sé, ma per il fatto che egli è il Figlio di Dio. L’onnipotenza del Padre si manifesta in questo sguardo infuocato" [A. von Speyr, L’Apocalisse. Meditazione sulla rivelazione nascosta, vol. I, Jaca Book ed., Milano 1983, pag. 129]. Le parole evangeliche nelle loro narrazioni ci hanno lasciato tracce suggestive della potenza di questo sguardo.

E’ questo sguardo che è all’origine della vocazione di Pietro: "e lo condusse da Gesù. Gesù fissando lo sguardo su di lui, disse: tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)" [Gv 1,42]. Commenta S. Tommaso: "statim cum vidit eum virtute divinitatis, consideravit, et dixit ei nomen suum" [super ev. S. Joannis lectura, 303]. E’ la penetrazione che giunge fino alle radici della persona e ne determina l’identità e la missione: in quello sguardo Simone ha scoperto se stesso. Quando Pietro rinnegherà la sua identità e tradirà la sua missione, rinnegando il Signore, sarà ancora lo sguardo fiammeggiante di Cristo a convertirlo: "Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto … E, uscito fuori, pianse amaramente" [Lc 22,61-62]. Commenta S. Ambrogio: "Negavit primo et secundo, et non flevit, quia adhuc non respexerat Dominus; negavit tertio, respexit eum Jesus, et amarissime flevit" [BA 12; pag. 458]. E’ la fiamma che dimora in quello sguardo che fa ritrovare all’uomo se stesso: sentirsi guardati da "Colui che ha gli occhi fiammeggianti come fuoco" genera lo sguardo vero di noi stessi su noi stessi.

Ed è ancora uno sguardo di Cristo, il sapere di essere stato guardato da Lui che rompe in Natanaele ogni indugio a seguire Cristo: "io ti ho visto sotto il fico" [Gv 2,48]. "chi è colpito dallo sguardo di fuoco deve rispondere incendiandosi. In questo non è solo passivo; quanto più si dona senza riserve, tanto più brucia sino a diventare tutto una fiaccola… Il fuoco proviene certo sempre dal Signore, ma quando l’uomo ha preso fuoco, anche il suo io è nella fiamma" [A. von Speyr, ibid.]. E Natanaele è incendiato: "Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele".

Vogliamo porci sotto lo sguardo di "Colui che ha gli occhi fiammeggianti come il fuoco": che ci guarda con tutta la forza umana-divina del suo amore.

I piedi del Signore simili a bronzo splendente. Se uno avesse piedi di bronzo, ovunque passasse lascerebbe il segno sul terremo soprattutto se fosse molle. E’ l’altra grande modalità con cui il Signore si pone in rapporto colla sua Chiesa, colla persona umana; l’altra forma che assume la sua presenza. Essa denota una presenza di forza tale da lasciare un segno da cui chi è visitato deve prendere avvio. E’ stato per esempio S. Paolo ad essere visitato dal Signore in questo modo: "ti è duro ricalcitrare…". Paolo è stato un marchiato. Certamente, anche questa presenza lascia liberi, ma qui la scelta libera di Cristo passa attraverso l’umiliazione: Paolo è gettato a terra.

Vogliamo porci sotto "il peso" di Colui che ha piedi simili a bronzo splendente: passa sopra di noi per elevarci fino a Lui.

2. Ed ora ascoltiamo ciò che dice alla Chiesa "Colui che ha gli occhi fiammeggianti come fuoco e i piedi simili a bronzo splendente".

E’ utile una breve ambientazione storica. La città di Tiatira, la più piccola delle sette, non aveva templi dedicati all’imperatore. Essa era una città industriale conosciuta per le molte associazioni o corporazioni commerciali presenti in essa. L’artigiano di allora era obbligato ad appartenervi [oggi ai sindacati!] se non altro per evitare forme di ostracismo dannose ai suoi commerci. Il problema per il cristiano sorgeva perché facendo parte della corporazione, doveva partecipare periodicamente ai banchetti della corporazione stessa durante i quali si mangiava carne immolata al dio protettore del proprio .. .sindacato. Forse vi erano cristiani che vi partecipavano, ed anche non si sottraevano agli eccessi in sui spesso quei banchetti finivano. Se poi si aggiunge che c’era chi nella Chiesa giustificava tutto questo, si comprenderà come questa comunità rischiasse veramente di abbandonare il Dio vivente, esposta come era all’insidia di chi pensa "gli affari sono affari". Dunque, il Signore rimprovera la presenza di comportamenti idolatrici.

Il Signore individua nella Chiesa due figure di discepoli. Il primo è colui di cui Cristo conosce le "opere di carità, la fede, il servizio e la costanza" ed, a diversità che a Efeso, non solo non ha abbandonato l’amore di prima, ma le sue "ultime opere sono migliori delle prime". E’ molto sottolineata l’importanza delle opere, ma esse, per così dire, incorniciano un’esistenza che è impastata di carità, di fede, di servizio e di costanza. Se l’albero non è nutrito da una linfa che è costituita da queste quattro attitudini, i suoi frutti cioè le sue opere non sono buone. E’ utile che ci fermiamo un momento su questo punto: più precisamente sul rapporto carità-opere [come nel ritiro scorso ci siamo fermati sul tema della fede].

S. Giovanni scrive: "Da questo abbiamo conosciuto l’amore [agapen]: Egli ha dato la sua vita per noi …" [1Gv 3,16]. Per sapere che cosa significa "amore-carità" non basta che ci affidiamo alla naturale simpatia o solidarietà che ogni uomo sente per ogni uomo; dobbiamo "sapere Gesù Cristo", perché è da Lui che noi abbiamo conosciuto l’amore, poiché è in Lui che l’amore si è svelato. "Carità" quindi nel vocabolario cristiano indica l’avvenimento centrale di tutto il cristianesimo: il dono che il Padre fa al mondo del suo Unigenito [cfr. Gv 3,16]; il dono che l’Unigenito consente di essere per il mondo, nello Spirito Santo. Ogni comprensione dell’amore che non nasca dall’intelligenza della morte di Cristo sulla Croce, frutto della fede, è – nei migliori dei casi – povera, astratta. Normalmente è errata. E’ per questo che esiste un solo Maestro che può insegnarci la carità: lo Spirito Santo perché è Lui che ci fa essere e vivere in Cristo come Cristo [cfr. Rom 5,5]. Camminare nella carità, camminare nello Spirito Santo, dimorare in Cristo, sono espressioni che denotano la stessa realtà. La carità, quindi, prima e più che essere una virtù, è il modo di essere che definisce il cristiano perché è il modo di essere che definisce Cristo stesso. Essendo un modo di essere, stavo per dire come una natura, è frutto di una generazione. E’ l’atto generativo che mi fa esistere in una data natura. Chi può generare un uomo se non un uomo? chi può generare un "amante", se non chi è l’Agape? "chiunque ama è generato da Dio" [1Gv 4,7]. La Scrittura parla quindi della carità come "pienezza", cioè come la perfezione del nostro essere. Comprendiamo quindi che per amare noi dobbiamo essere come Cristo, dobbiamo amare come Cristo: la sorgente della carità non può che essere l’Eucarestia. Senza la comunione con Cristo, forse potremmo anche fare opere che hanno l’apparenza della carità, ma non sono "opere di carità". Opere di carità sono quelle attraverso le quali transita lo stesso amore del Padre per l’uomo: amore che si "incarna" in noi.

La seconda figura è costituita dai cristiani che "si danno alla fornicazione e a mangiare carni immolate agli idoli". Sono coloro che per ragioni contingenti non hanno compiuto il passaggio dagli idoli al Dio vivente completamente. E’ questo un tema molto profondo: l’ebreo deve passare dal Vecchio al Nuovo Testamento, dalla Legge di Mosè alla grazia e verità di Cristo; noi pagani dobbiamo allontanarci dagli idoli per servire il Dio vivo e vero [cfr. 1Tess 1,9]. I cristiani di Tiatira rischiavano di abbandonare Cristo per ragioni economiche, ingannati da dottrine false. E noi oggi? Dentro a questo giudizio pronunciato dal Cristo risuona coerentemente il richiamo alla conversione, anzi più precisamente viene fatto dono ancora del tempo, perché tutti possano ravvedersi. Esiste un’opera della grazia dentro al tempo della nostra vita, opera che può anche assumere un volto di drammatico rigore: "io getterò lei in un letto di dolore e coloro che commettono adulterio con lei in una grande tribolazione". "Egli è come il chirurgo che taglia e mette a nudo l’ulcera; sarebbe assurdo negare quest’ultima e meravigliarsi ch’egli abbia praticato l’incisione proprio in questo punto … Quel che però Egli non riesce a impiantare è il pentimento, la volontà del paziente di guarire. Non pentirsi significherebbe andarsene con la ferita aperta, con l’ulcera esposta, senza attendere che sia stata asportata … Mettendo a nudo la colpa il Signore crea questa situazione di crisi, cui può seguire solo o la guarigione o la morte" [A. von Speyr, L’apocalisse … cit. pag. 121]: "colpirò a morte i suoi figli".

3. Dentro a questa Chiesa che è anche la nostra Chiesa è collocato il nostro ministero sacerdotale. La parola di Cristo questa mattina ci richiama ad una dimensione essenziale della nostra missione: il discernimento. Dice il Signore: "ho da rimproverarti che lasci fare a Iezabele, la donna che si spaccia per profetessa e insegna e seduce i miei servi". C’è un insegnamento che viene dato ai fedeli; esso è spacciato come frutto di profezia, un insegnamento profetico, ma in realtà è una seduzione. Esso si ammanta di grande "apparenza culturale" [conosce la profondità di Satana], ma in realtà non è che l’insegnamento di errori cui segue il disordine morale. "Ho da rimproverarti che lasci fare": è un rimprovero che dobbiamo prendere molto sul serio. Esso ci richiama al fondamentale compito che abbiamo di evangelizzare Gesù Cristo. L’apostolo Paolo chiedeva preghiere perché potesse annunciare il mistero di Cristo, potesse davvero manifestarlo parlandone come si deve [cfr. Col 4,3]. E’ per questo che la prima cosa che il Signore ci chiede è di tenere saldo quello che possediamo fino al ritorno del Signore. E’ il nostro radicarci della fede della Chiesa quale ci viene trasmessa dalla grande Tradizione della Chiesa; è la fede il criterio fondamentale del nostro discernimento.

Ma voglio essere più preciso. Questo criterio di discernimento è oggi particolarmente attuale poiché non c’è dubbio che anche nella Chiesa si rischia di oscurare l’unicità, la centralità della persona e dell’opera di Cristo. Il primo e più elementare criterio per discernere ciò che viene insegnato e detto è il riconoscimento di Gesù di Nazareth, Dio venuto nella carne, Signore assoluto di tutto ed unico Salvatore di ogni uomo. Qualsiasi discorso sia pure ammantato di grande splendore culturale che non aiuta noi e i nostri fedeli a "tenere saldo quello che possediamo", non va accolto. Perché in fondo noi possediamo solo un tesoro nel quale poi troviamo ogni pienezza: Gesù Cristo. Se una iniziativa sia pure di grande solidarietà, anche se lodata da tutti, non aiuta ad avere una fede più profonda in Cristo, non ne mette in risalto la sua centralità, non proviene dallo Spirito e seduce i cristiani. Se una programmazione pastorale rischia a lungo termine di dare più importanza al nostro agire che alla grazia redentiva di Cristo, essa non proviene dallo Spirito e seduce i cristiani.

Quale è la seduzione oggi più frequente? in che modo le varie Gezabele si spacciano per profetesse e seducono i servi del Signore? Attraverso il mito o l’idolo della multietnicità. Mi spiego. Che esista oggi un problema di convivenza fra persone di fedi diverse e fra credenti ed atei è innegabile. Ma che la soluzione di questo problema debba comportare il prezzo "di mettere fra parentesi" quello che possediamo mediante la fede della Chiesa; di estinguere in noi l’urgenza missionaria di annunciare a tutti il Vangelo, ebrei e mussulmani compresi; di anteporre a Cristo il valore di una (pseudo-)tolleranza fondata ultimamente su un codice morale: questa è la seduzione con cui Gazabele seduce i servi del Signore. Chiediamoci se il rimprovero del Signore riguardi anche noi.

La "seduzione" può trovare una "quinta colonna" dentro al nostro cuore quando, come vi dissi nell’omelia della Messa crismale dell’anno appena trascorso, perdiamo di vista il primato del soprannaturale. Quale è per noi il bene sommo dell’uomo: di quell’uomo in carne ed ossa con cui ho a che fare? quale è il male più grande dell’uomo? Siamo veramente convinti che il bene sommo è l’unione con Cristo mediante la dimora in noi dello Spirito Santo? E che quindi il male più grande per l’uomo è il male morale, cioè il peccato? "quod mors est animae" come dice il Tridentino.

E’ una grande parola quella che oggi ci rivolge "colui che ha gli occhi fiammeggianti come fuoco e i piedi simili a bronzo splendente".

4. Voglio terminare con alcuni brevi suggerimenti di meditazione sulle promesse fatte al vincitore: a chi tiene saldo quello che possiede.

La prima promessa è che il Signore ci rende partecipi dello stesso potere che Egli ha sulle nazioni. Che promessa immensa! Lo stesso potere, perché attraverso il nostro ministero Cristo scaccia fuori il principe di questo mondo: lo stesso potere, perché lo Spirito Santo produce nel nostro cuore l’intima convinzione del peccato del mondo e della giustizia di Cristo [cfr. Gv 16,8-11], e pertanto non ci farà mai sentire degli sconfitti. L’importante è di perseverare fino alla fine.

La seconda promessa è il dono della stella del mattino. E’ la Stella che assicura "che la notte è avanzata e che il giorno si avvicina" [Rom 13,12]. Il Signore dunque ci promette una luce interiore che è fonte di consolazione nelle nostre tribolazioni, che è nostra guida. Non serviremo più il Signore e la sua Sposa con obbedienza triste, ma gioiosamente: la stella del mattino ci è donata.