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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


La Familiaris consortio trent'anni dopo
Bologna, Associazione AMBER, 22 gennaio 2012
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Due sono le domande che possono sorgere in noi ogni volta che ricordiamo un documento del passato: in che cosa oggi la situazione in cui fu scritto è mutata? Il documento in questione è ancora in grado di orientarci oggi? Nella riflessione che segue cercherò di rispondere a queste due domande. Essa pertanto sarà divisa in due parti: la condizione attuale del matrimonio e della famiglia e la Familiaris Consortio [da ora in poi FC]; la FC documento-base del nostro impegno per il matrimonio e la famiglia.

1. FC e condizione attuale.

Penso che nei tre decenni che ci separano dalla pubblicazione di FC sia accaduto un cambiamento radicale nel modo occidentale di considerare il matrimonio e quindi la famiglia; sia accaduta nella cultura occidentale una vera svolta epocale. Cercherò di descriverla per sommi capi.

La proposta cristiana circa il matrimonio e la famiglia, l’Occidente ha sempre avuto difficoltà ad accettarla sul piano pratico. È stato un atteggiamento che potrei riassumere nel modo seguente: "questo modo di concepire e di proporre il matrimonio è vero, è bello, ma non è praticabile nella sua interezza". In breve: non è la sua verità in questione, ma la sua praticabilità. Soprattutto era giudicata tale la dottrina cristiana circa l’indissolubilità e, soprattutto dal secolo scorso, la dottrina circa la procreazione responsabile.

Questa, diciamo, contestazione ha anche indubbiamente favorito un approfondimento, una sempre maggiore precisazione da parte della Chiesa della sua dottrina. E da Leone XIII in poi gli interventi magistrali sono andati via via crescendo, fino all’imponente magistero del beato Giovanni Paolo II.

In questi ultimi decenni tuttavia è avvenuta, ed è ancora in atto, una vera svolta epocale. Non è la praticabilità della proposta cristiana che è messa in questione; è la sua verità. Anzi è andata messa in discussione progressivamente la verità dell’istituto matrimoniale come tale. Mi spiego, partendo proprio da questo punto.

Da sempre, l’Occidente aveva pensato che l’istituto matrimoniale, pur nella varietà delle forme in cui era giuridicamente regolamentato e quotidianamente vissuto, avesse una sua propria natura. Non tutto nel matrimonio è convenzionale, e quindi negoziabile. Esiste uno "zoccolo duro", cioè una verità del matrimonio indipendente dalle vicissitudini storiche.

Che cosa è accaduto, e sta accadendo? Viene negato che nel matrimonio esista "qualcosa" che le convenzioni non possono cambiare. Più precisamente. Il matrimonio non è per sua natura stessa un’unione legittima etero-sessuale in ordine alla procreazione-educazione dei figli; può anche essere un’unione legittima omo-sessuale, e la procreazione può essere legittimamente perseguita separatamente dalla sessualità coniugale. Chi stabilisce se il matrimonio è fra persone di sesso diverso o uguale? L’autonoma decisione del singolo, che gli ordinamenti giuridici devono semplicemente riconoscere senza discriminazioni di sorta.

Spero sia chiaro ora in che cosa consiste la svolta epocale di cui parlavo. Non viene detto: la proposta cristiana è impraticabile; viene detto: è falsa.

Devo a questo punto chiarire un poco questa descrizione della svolta epocale. Il matrimonio è qualcosa di singolare nella dottrina cristiana. Esso è uno dei sette sacramenti, ma non è stato "inventato" da Gesù Cristo. La sacramentalità presuppone sempre ciò che possiamo chiamare il matrimonio naturale, e sopra ho chiamato "ciò che definisce l’istituto matrimoniale come tale". Poiché è questo che la dottrina cristiana afferma, l’attacco alla verità del matrimonio coinvolge anche la proposta cristiana; e alla sua radice.

Ho detto "anche", poiché questa materia di contesa non coinvolge solo la Chiesa ma anche – oserei dire, soprattutto – la società civile e la sua sovrana organizzazione giuridica, cioè lo Stato.

Riprendo ora il tema della svolta epocale, per completare. La mutazione sostanziale nei confronti del matrimonio ha comportato la mutazione sostanziale delle fondamentali relazioni che costituiscono la famiglia: paternità/maternità – figliazione – fraternità.

Non considerando l’etero-sessualità elemento costitutivo dell’istituto matrimoniale, eo ispo devo mutare la definizione di paternità-maternità. La generazione della persona e la sua genealogia sono al contempo radicate nella biologia e la trascendono senza negarla. È nella biologia della persona che è inscritta la genealogia della persona [Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie (2 febbraio 1994) 9,1]. La relazione fondamentale paternità/maternità – figliazione, se viene sradicata dalla biologia, deve essere anche ridefinita ex novo. Chi è il padre/la madre? Chi ha dato il seme oppure chi si attribuisce il bambino? Chi ha dato l’ovulo oppure chi accoglie il bambino? La relazione diventa definibile secondo le convenzioni accettate e legalmente trascritte. Il convenzionalismo che ha investito l’istituto matrimoniale ha inevitabilmente coinvolto l’istituto famigliare.

Alla fine, in che condizione si trova l’Occidente a riguardo del matrimonio e della famiglia? Posso rispondere servendomi di un esempio.

Si può distruggere un edificio in due modi. Con una bomba, e lo rado al suolo; oppure lo de-costruisco pezzo per pezzo. Nel primo caso, alla fine ho solo polvere e macerie; nel secondo caso ho ancora tutti i pezzi ma non ho più l’edificio. È accaduta al matrimonio e alla famiglia la seconda cosa. Abbiamo ancora tutti i pezzi. Continuiamo a parlare di coniugi, di paternità/maternità; gli ordinamenti giuridici continuano ad avere i loro istituti. Ma sono pezzi, cioè termini che non veicolano più significati univoci, essendo stati estratti dall’insieme che li definiva.

Vorrei ora riflettere sulle cause che hanno portato a questa situazione.

Fenomeni culturali come questo sono processi storici assai complessi. L’individuazione delle loro cause rischia una semplificazione eccessiva. Comunque, abbiamo il bisogno di capire, e si capisce un fenomeno quando se ne conoscono le cause.

A me sembra che le cause principali siano soprattutto le tre seguenti, strettamente connesse: progressiva declinazione individualista delle fondamentali esperienze umane [il mito dell’auto-realizzazione e del sovrano diritto soggettivo]; oscurarsi della verità e del senso della diversità sessuale; la libertà pensata e vissuta come pura auto-determinazione. Dirò ora qualcosa brevemente su ciascuna di queste cause.

A) La vita coniugale è espressione e realizzazione della condizione della persona umana, che si realizza nella relazione con l’altro.

La relazione coll’altro può essere pensata – più concretamente, la socialità – in due modi differenti, e vissuta di conseguenza. Declinata secondo due possibili paradigmi.

Se si concepisce la relazione con l’altro come una dimensione congenita della persona, un bene umano naturale, la società sarà vissuta come la realizzazione integrale della propria umanità. La perfezione di se stessi è un bene relazionale; è cioè un bene che consiste in una relazione.

Se si concepisce la relazione con l’altro non una dimensione congenita, ma il frutto di una convenzione o contrattazione reciproca, l’associarsi verrà pensato e vissuto come una necessità dovuta alla ricerca del proprio bene, della propria felicità individuale. Non esistono beni relazionali, avendo la relazione carattere di mera utilità per il proprio benessere. Parlavo del mito del proprio benessere e della sovranità dei diritti soggettivi.

Se chiamiamo il primo paradigma "paradigma personalista", ed il secondo "paradigma individualista", si può dimostrare che il secondo ha avuto nettamente vittoria nella coscienza che l’uomo ha di sé in Occidente. Questa vittoria impediva di accettare la visione che fino ad allora l’Occidente aveva avuto del matrimonio, trasformandolo da "communio totius vitae" a contrattazione fra due diritti sovrani alla propria felicità individuale e alla soggettiva autorealizzazione. E ogni contrattazione è sempre istituita sulla base del dare ed avere, ponendo da parte di ciascun contraente la condizione che fra dare ed avere ci sia almeno parità. Altrimenti c’è la clausola tacita del recesso.

Qui troviamo forse una delle ragioni più profonde della progressiva equiparazione, anche giuridica, del matrimonio alla libera convivenza, e la progressiva legittimazione di questa.

B) La declinazione individualista dell’humanum è causata anche dal progressivo oscurarsi della verità e bontà della diversità sessuale. "Siamo in difficoltà culturale, noi post-moderni, nel vedere l’altro come differente (quale differenza è più invalicabile di quella dell’essere maschi e dell’essere femmine?) ma non estraneo. Siamo tentati di risolvere il problema in una omologazione che tutto appiattisce" [Comitato per il progetto culturale della CEI (a cura del), Il cambiamento demografico, Laterza, Bari-Roma 2011, 9].

La diversificazione sessuale è sempre stata vista dai pensatori essenziali come uno dei simboli fondamentali della verità della persona umana, di ciò che è la persona umana. Il secondo capitolo della Genesi lo dice in maniera assai suggestiva.

Simbolo della persona umana, perché la diversificazione sessuale dice che l’humanum non coincide interamente né colla mascolinità né colla femminilità; non coincide con la riduzione omologante dei due. Ma consiste nell’affermazione di ciò che è proprio di ciascuno dei due, all’interno di una relazione che, su un piano di uguale dignità, orienta e l’uomo e la donna alla pienezza della loro umanità.

L’istituzione matrimoniale nasceva in fondo da questa visione, anche se dobbiamo dire non in modo del tutto chiaro a causa anche del fatto che l’esercizio della sessualità era pensato esclusivamente in funzione della procreazione, e il non pieno riconoscimento dell’uguale dignità della donna.

Se mi colloco dentro a quella che ho chiamato declinazione individualista dell’humanum; se perdo di vista il fatto che la persona umana è uomo e donna; se - aggiungo – la procreazione è sradicata dall’esercizio della sessualità, non si capisce più la definizione eterosessuale dell’istituzione coniugale, o comunque cessa di essere impensabile la definizione omosessuale del medesimo. Cosa che sta puntualmente accadendo.

Mi fermo ora brevemente – il tema meriterebbe ben più ampio sviluppo – per indicare come questi due primi processi culturali hanno influito sulle relazioni famigliari.

Il primo ha cambiato la considerazione del figlio come dono, come persona che è attesa in se stessa e per se stessa, nel figlio come diritto, come ciò di cui ho bisogno per la mia auto-realizzazione.

Il secondo processo ha … combinato un guaio ancora più grave: ha reso sempre più difficile la generazione dei figli [= cambiamento demografico]. Per custodire infatti "il generare all’altezza del suo compito non vi è altra strada che quella della condivisione, del riconoscimento o della reciprocità nella quale non si realizza uno scambio do ut des, ma la crescita e la realizzazione in toto delle persone" [l. c.].

C) Il terzo processo riguarda la concezione e il vissuto della libertà. Con questo tocchiamo, penso, il fondo del dramma dell’uomo di oggi.

È una libertà che viene sradicata dalla verità circa il bene ed il male; che viene vissuta come una realtà prima; che viene sempre più vissuta come spontaneità.

In questo modo di vivere la propria libertà, la proposta cristiana circa il matrimonio diventa non impraticabile, ma impensabile. Per quale ragione? perché libertà e definitività sono pensate come grandezze inversamente proporzionali; perché la libertà non è più pensata come capacità di auto-donazione, ma come capacità di affermazione di se stessi a prescindere dall’altro.

La nostra storia occidentale di libertà era stata scandita da tre grandi eventi: la liberazione del popolo ebreo dall’Egitto e dono conseguente della Legge; l’esperienza della polis greca; la scoperta di una res publica compiuta da Roma, di cui ciascuno è responsabile.

In fondo, tutte e tre avevano una idea di fondo: la libertà è un bene da condividere, perché è un bene per natura sua relazionale. Il cristianesimo, con Paolo, porterà all’estrema conseguenza questa grammatica comune della libertà: essa è servizio; è dono; è oblativa, non possessiva. L’istituto matrimoniale si nutriva di questo terreno. Sradicato da esso, è divenuto privo di vita. È sempre più impensabile come progetto di vita.

2. La F.C. base permanente del nostro impegno.

Tutto quanto detto sopra stava già accadendo quando la F.C. venne scritta e promulgata, anche se quei processi non avevano mostrato ancora tutti i loro effetti sul matrimonio e la famiglia. La F.C. dunque ha accolto la sfida, e ha indicato le linee di risposta alla provocazione.

Per chiarezza indicherò sinteticamente questa risposta sottolineandone due punti: la risposta di metodo e la risposta di contenuto.

2.1. È stata una risposta metodologica. La F.C. ha indicato un metodo, cioè una via per "annunciare il Vangelo, cioè la buona novella a tutti indistintamente, in particolare a tutti coloro che sono chiamati al matrimonio e vi si preparano" [F.C. 3]. Il metodo è esposto nella Parte prima dell’Esortazione apostolica.

Esso è la coniugazione simultanea, l’insieme di tre percezioni, o, se volete, di tre attitudini spirituali: la conoscenza delle "situazioni entro le quali il matrimonio e la famiglia oggi si realizzano" [F.C. 4]; la profonda conoscenza della dottrina cristiana circa il matrimonio e la famiglia; l’interpretazione della situazione alla luce della dottrina della fede mediante un vero discernimento evangelico, operato dal soprannaturale senso della fede [al discernimento evangelico è dedicato tutto il n° 5 della F.C.].

Più semplicemente, spero. Se accosto i due poli della corrente elettrica, scocca la scintilla. Se accosto conoscenza della situazione e conoscenza della fede, scocca la scintilla del discernimento.

Se mi limitassi a misurare, a pensare l’annuncio del Vangelo del matrimonio e della famiglia sullo spirito del tempo, senz’altro ridurrei il Vangelo a misura dell’uomo e della donna che si sposano. Se mi limitassi a trasmettere la dottrina della fede senza una profonda conoscenza del quotidiano vissuto degli sposi, la dottrina della fede potrebbe, nel migliore dei casi, essere imparata, ma non sentita come risposta alle vere domande dell’uomo e della donna che si sposano.

Il "senso della fede", organo del discernimento, "è un dono che lo Spirito partecipa a tutti i fedeli, ed è pertanto, opera di tutta la Chiesa… I laici, anzi, in ragione della loro particolare vocazione, hanno il compito specifico di interpretare alla luce di Cristo la storia di questo mondo, in quanto sono chiamati ad illuminare e ordinare le realtà temporali secondo il disegno di Dio Creatore e Redentore" [F.C. 5].

È questa la via, il metodo appunto, che la Chiesa è chiamata a percorrere per la Nuova Evangelizzazione.

2.2. Vorrei ora richiamare nei suoi punti fondamentali la visione teologica ed antropologica che la F.C. ha del matrimonio e della famiglia [cfr. Parte seconda, 11-16], per farvi vedere come essa possa e debba costituire la base su cui edificare la nostra pastorale, anche oggi. La FC resta il Documento base.

Leggendo attentamente la parte teologico-antropologica di FC [cfr. parte seconda, 11-16], possiamo individuare nel testo pontificio alcune certezze di fondo. E’ dal loro insieme armonico che si evince la visione teologico-antropologica di FC.

La prima. Il matrimonio e la famiglia sono realtà "naturali". Essi si radicano profondamente nella natura stessa della persona umana. Togliamo subito però un equivoco che può insidiare questa formulazione. Essa non va intesa nel senso che la persona umana debba sposarsi per realizzarsi. Quale è allora il senso preciso di quella affermazione? Esso dipende dal concetto di "natura della persona umana" che ha la FC.

Ascoltiamo l’incipit della parte seconda di FC: "Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza: chiamandolo all’esistenza per amore, l’ha chiamato nello stesso tempo all’amore". La natura della persona umana è costituita dal suo essere "ad immagine e somiglianza" di Dio. Quando Tommaso scrive: "praepositio … "ad" accessum quemdam significat, qui competit rei distanti" [1, q.92, a.1c], esprime un’idea comune ai Padri greci. La natura della persona umana è "tendenziale in riferimento a …". Ciò che fa di essa un "unicum" nell’universo creato visibile è che il termine di questo essere-tendenza è Dio stesso.

Ma la FC non dice questo solamente. Essa afferma che l’intera natura della persona umana è definita dalla sua "vocazione all’amore". Dice il testo: "Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione personale di amore. Creandola a sua immagine … Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione. L’amore è, pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano"[11,2]. L’uomo è costituito in ordine all’amore: la sua natura è orientata all’amore. Ne deriva che, come ha scritto Giovanni Paolo II nell’Enc. Redemptor hominis, "L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente" [10,1; EE 8/28].

E’ necessaria a questo punto una rigorizzazione concettuale. La definizione di uomo che stiamo elaborando non deve essere intesa nella luce di un’affermazione del primato dell’etica sull’ontologia. L’uomo non è definito da una esigenza; da un dovere; da una vocazione neppure: è definito dall’essere egli fatto in modo tale che l’amore ne indica la perfezione, il bene ultimo. E’ dentro a questa rigorizzazione concettuale che si comprende l’affermazione forse più profonda fatta dal Concilio Vaticano II sull’uomo: "Questa similitudine [= una certa similitudine tra l’unione delle persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nell’amore] manifesta che l’uomo … non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé" [Cost. Past. Gaudium et Spes 24,4]. L’uomo può perdere il proprio "se stesso": può cioè dilapidare la sua umanità e quindi compiere una pseudo-autorealizzazione. Questo sperpero accade quando non realizza se stesso nel dono di sé.

Siamo ora in grado di cogliere il significato preciso e pieno del primo insegnamento fondamentale di FC. Matrimonio e famiglia sono radicati nella natura della persona umana perché sono in grado di esprimere l’intimo orientamento al dono di sé che la definisce. Matrimonio e famiglia non sono "estranei" alla natura della persona umana, ma consentanei alla sua struttura intima.

La seconda certezza di fondo di FC è che matrimonio e famiglia entrano nella storia della salvezza, sono una realtà dell’economia della salvezza. Questa collocazione è decisiva per capire la visione teologico-antropologica di FC. Essa viene descritta nel mondo seguente: "La comunione d’amore tra Dio e gli uomini, contenuto fondamentale della Rivelazione e dell’esperienza di fede di Israele, trova una sua significativa espressione nell’alleanza sponsale, che si instaura fra l’uomo e la donna. E’ per questo che la parola centrale della Rivelazione, "Dio ama il suo popolo" viene pronunciata anche attraverso le parole vive e concrete con cui l’uomo e la donna si dicono il loro amore coniugale. Il loro vincolo diventa l’immagine e il simbolo dell’Alleanza che unisce Dio e il suo popolo" [12,1-2].

Ma per comprendere esattamente la collocazione del matrimonio e della famiglia dentro all’economia della salvezza sono necessarie alcune precisazioni.

Trattasi di una collocazione che sembra fondarsi sopra la "similitudine": l’esperienza coniugale entra nell’economia della salvezza in quanto mezzo espressivo della stessa, come linguaggio umanamente comprensivo del mistero dell’Alleanza. In realtà non si tratta solo di questo. Ma di una vera e propria partecipazione di cui la coniugalità è dotata nei confronti del mistero dell’Alleanza. E’ questa l’essenza della sacramentalità propria del matrimonio di due battezzati. Dalla partecipazione deriva la similitudine, non viceversa: la partecipazione definisce l’ontologia del sacramento, la similitudine l’etica. Questo ordine va accuratamente custodito.

Ogni partecipazione consiste nel possedere in parte una perfezione che in se stessa è più ampia. La perfezione cui si riferisce il testo di FC è di volta in volta indicata con l’amore di Dio verso il suo popolo [12,2]. Alleanza che unisce Dio e il suo popolo [ib.], lo Sposo (Cristo) che ama e si dona (13,1) sulla Croce. La perfezione è quella insita nel dono che di sé ha fatto Cristo sulla Croce: "li amò eis télos" [Gv 13,1]. Dono "de quo magis cogitari nequit". La limitazione di questa perfezione negli sposi che pure ne partecipano realmente, è dovuta al fatto ovvio della loro creaturalità ed imperfezione morale, oppure alla forma della coniugalità che la perfezione dell’Amore quale si ha in Cristo assume negli sposi? La domanda verte sulla coniugalità come limitazione della partecipazione all’amore che ha mosso Cristo a donare Se stesso sulla Croce. La questione, come si capirà subito, non è di dettaglio.

La mia idea è che la coniugalità è limitativa, ma non nel senso che essa sia estranea, estrinseca all’amore di Cristo, ma nel senso che è in grado di esprimerne solo una dimensione [cfr. 16,1]. Tutti i colori dell’iride sono presenti nella luce, ma è necessario lo spettro per vederli. Tutte le forme dell’amore, del dono di Sé, sono presenti nell’auto-donazione di Cristo sulla Croce. Ma la ricchezza del tutto ha bisogno del frammento per farsi conoscere. Nello stesso tempo però il frammento rimanda sempre al tutto: l’amore coniugale rimanda per sua natura oltre se stesso, verso una pienezza d’essere che esso non è capace né di promettere né di realizzare [cfr. 1Cor 7,29].

Ci eravamo proposti di vedere come la FC pensa la presenza, la collocazione del matrimonio dentro all’economia della salvezza. Questa è vista nelle tre dimensioni che sono proprie del sacramento. E’ collocato nella storia della salvezza perché il matrimonio è memoriale dell’avvenimento centrale dell’economia salvifica, la morte-risurrezione del Signore; perché è attualizzazione dello stesso nel senso che l’effetto primo ed immediato della celebrazione sacramentale è il vincolo coniugale, partecipazione reale all’appartenenza reciproca di amore di Cristo colla Chiesa; perché è prolessi del compimento definitivo, quando Cristo sarà tutto in tutti (cfr. 13,7-8).

La terza convinzione di fondo riguarda la relazione esistente fra la natura della persona umana e del matrimonio [prima convinzione] e il matrimonio-sacramento [seconda convinzione].

Parto da due testi di FC: "In questo sacrificio [= quello di Cristo sulla Croce] si svela interamente quel disegno che Dio ha impresso nell’umanità dell’uomo e della donna, fin dalla loro creazione" [13,2: in nota si cita Ef 5,32]. E poco più sotto: "L’amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui gli sposi partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si dona sulla Croce" [ib.].

Le due affermazioni si articolano e si connettono in quanto la prima è ontologica: parla dell’essere dell’uomo e della donna definito come "disegno del Creatore"; la seconda è etica: parla della pienezza, della perfezione della coniugalità definita come amore. Teoreticamente la più importante è la prima.

Il fine verso cui guardava Dio creatore nel momento in cui creava la persona umana, era "il sacrificio che Gesù Cristo fa di se stesso sulla Croce per la sua Sposa". E’ questo avvenimento il "punto gravitazionale" della persona umana.

Si noti bene che il testo non parla di persona umana in generale, ma di "umanità dell’uomo e della donna". Viene qui aperta una pista di riflessione tesa a mostrare come mascolinità-femminilità trovano nel mistero di Cristo la loro unità che salvaguarda la diversità, oltre una visione sia di contrapposizione insuperabile sia di insignificanza ed irrilevanza ultima della divaricazione sessuale, di cui ho già parlato. Il mistero nuziale di Cristo-Chiesa esprime la verità della persona umana, e la partecipazione a questo mistero nuziale realizza l’umanità in quanto maschile-femminile.

La trascrizione sul registro etico di quest’affermazione ontologica significa che l’amore coniugale, nel senso della sua naturalità di cui ho parlato al § 1,1, è orientato a realizzarsi come carità coniugale. Ciò non significa un più grande obbligo: il matrimonio sacramento è più indissolubile che il matrimonio non sacramento. Significa che l’amore, inteso come dono di sé a cui la persona è finalizzata, quando assume la forma della coniugalità, non è perfetto fino a quando non è elevato a carità coniugale. Il tempo affidatomi non mi consente di procedere oltre.

La quarta convinzione di fondo riguarda il rapporto coniugalità-dono della vita [cfr. n° 32]. In sostanza, FC ed il successivo sviluppo della riflessione ha mostrato la connessione inscindibile fra coniugalità e dono della vita: la coniugalità implica nella sua stessa essenza di communio personarum l’orientamento al dono della vita, e reciprocamente il dare origine ad una nuova persona umana deve accadere solo attraverso quell’atto nel quale i due coniugi diventano una caro, ed è quindi espressione eminente della communio personarum.

Questa visione dimostra la falsità di due tesi opposte. Quella che configura la coniugalità come "mezzo" per la procreazione, e quella che pone un rapporto estrinseco o solo di fatto fra coniugalità e dono della vita.

 

Conclusione: profezia di una visione

Concludendo la mia riflessione vorrei finalmente spiegare in che senso la FC è il Documento base di ogni pastorale matrimoniale.

Ancora nel 1974 K. Wojtyla scriveva: "Una onesta comprensione della realtà del matrimonio e della famiglia sulla base della fede richiede un approfondimento dell’antropologia della persona e del dono ed anche un approfondimento del criterio della comunità delle persone ("communio personarum")".

FC ha introdotto una forte ed ampia riflessione antropologica come esigenza imprescindibile per comprendere e far comprendere la dottrina cristiana del matrimonio.

Questi tre decenni che ci separano dalla promulgazione di FC hanno mostrato come questa visione fosse profetica.

L’esigenza della riflessione antropologica, come dimensione essenziale della proposta cristiana del matrimonio, è andata assumendo carattere di crescente urgenza, anche e prima di tutto dal punto di vista teoretico. Ci è chiesta la ricostruzione di una visione dell’uomo, che generata dalla fede, possa rispondere veramente alle domande dell’uomo su se stesso e sul suo destino.

Ma perché questa ricostruzione possa avvenire, il pensiero cristiano deve affrontare e vincere le tre sfide fondamentali che la contemporaneità gli sta lanciando: la sfida del nichilismo metafisico, la sfida del cinismo morale, la sfida dell’individualismo asociale.

La sfida del nichilismo: essa consiste nella negazione di un originario rapporto della nostra ragione colla realtà. Negazione che comporta una considerazione della realtà medesima alla stregua di un’illusione o di un gioco le cui regole sono frutto di pura convenzione. E’ la sfida al realismo della fede, perché nasce dalla negazione della capacità della ragione di andare oltre il verificabile. Se il pensiero cristiano non vincerà questa sfida, non usciremo dal costruttivismo convenzionalista in cui è caduta la dottrina civile del matrimonio.

La sfida del cinismo: negata ogni consistenza alla realtà, scompare il senso della divaricazione essenziale fra bene/male, e con ciò il gusto della scelta libera. Ogni scelta ha lo stesso significato, e pertanto nessuna scelta ha significato. L’etica, intesa come passione per la custodia dell’uomo, è estinta. E’ la sfida al realismo della speranza, perché nasce dalla negazione di un fine ultimo della vita. Se il pensiero cristiano non vincerà questa sfida, non usciremo dall’incapacità di mostrare l’incomparabilità di quel bene che è l’amore coniugale con quel vago e asettico senso di amore che non sa più definirsi, ed equipara ogni forma di convivenza.

La sfida dell’individualismo: è il risultato delle due sfide precedenti. La convivenza umana è pensata come coesistenza regolamentata di egoismi opposti. E’ la sfida al realismo della carità cristiana, perché nasce dalla negazione pura e semplice della categoria antropologico-etica della prossimità. Se il pensiero cristiano non vincerà questa sfida, verrà meno la possibilità stessa di parlare in modo sensato e comprensibile del matrimonio cristiano.

Il matrimonio e la famiglia sono uno dei percorsi privilegiati per avere un’intelligenza teologica e filosofica della verità dell’uomo, e lungo questo percorso è inevitabile oggi non essere provocati da questa triplice sfida.

Mi piace terminare con una riflessione. È da più di trent’anni che conosco la vostra attività. Essa è assai preziosa, poiché si è da sempre collocata dentro ad una profonda cura dell’humanum, dentro ad una profonda preoccupazione di sapere la verità circa la sessualità umana. Avete seguito la via di FC.