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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


"Il catechista testimone"
Relazione al Congresso Diocesano dei Catechisti
Teatro Manzoni, 2 ottobre 2005


Nel cammino che stiamo facendo per prendere coscienza della nostra identità di catechisti, dopo aver riflettuto sul fatto che il catechista è educatore e la catechesi un’attività educativa, quest’anno vogliamo riscoprire una seconda dimensione essenziale dell’identità del catechista. Il catechista è un testimone e la catechesi una testimonianza.

Prima di iniziare la mia riflessione ritengo necessario sgombrare la vostra mente da un possibile equivoco o pre-comprensione che potrebbe impedirvi di entrare profondamente nella tematica.

Sentendo parlare di testimonianza potreste essere immediatamente portati a pensarla come identica alla coerenza della vita colla dottrina insegnata: testimoni perché ed in quanto viviamo ciò che trasmettiamo. Definiamo la testimonianza come una categoria morale. Questa definizione non è falsa del tutto, ma se si pensa che essa esaurisca il contenuto della testimonianza che è l’atto catechetico, rischiamo di non cogliere il nucleo centrale della cosa. Vi chiedo, quindi, di liberarvi per il momento da questa concezione.

1 [La testimonianza di Gesù e dello Spirito Santo]. L’identità del catechista come testimone e della catechesi come testimonianza va compresa alla luce della testimonianza di Cristo e dello Spirito Santo. Cristo è "il Testimone fedele e verace" [Ap 3,14]; ed è lo Spirito Santo che renderà testimonianza a Cristo, così che anche i discepoli possano testimoniare [cfr. Gv 15,26]. È necessario dunque che guardiamo con occhi semplici e penetranti alla testimonianza di Cristo e dello Spirito Santo.

1,1 [La testimonianza di Cristo]. Il testo chiave per avere una qualche comprensione è Gv 18,37. Gesù rispondendo alla domanda di Pilato circa la sua regalità, afferma: "Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". Non è il caso di fare un’esegesi accurata del testo, basta coglierne il significato fondamentale.

La verità di cui parla Gesù è la rivelazione salvifica che Egli ci dona dall’alto, in favore della quale egli testimonia poiché questa testimonianza è la ragione stessa della sua presenza fra gli uomini. Gesù pertanto dirà di se stesso. "Io sono la verità" [Gv 14,6]. La verità dunque è la rivelazione che Egli ci dona, la quale è Lui stesso. Una grande esegeta del secolo scorso ha scritto: "È essenziale … se non vogliamo fraintendere la vera portata di questa parola di Gesù, mantenere formalmente i due punti di vista, e unirli sinteticamente: da una parte – e bisogna partire da qui – la parola "verità" designa sicuramente la rivelazione come tale…; dall’altra, questa rivelazione non si riduce semplicemente a delle parole e a una dottrina, neppure alle opere di Gesù: le sue opere e la sua dottrina conducono alla rivelazione di ciò che è Egli stesso; pertanto la verità designa di fatto la rivelazione del mistero di Gesù" [I. de La Potterie, La verité dans les ecrits joanniques, I, pag. 1004-1005]. La verità di cui parla Gesù è la rivelazione di se stesso all’uomo, che costituisce la salvezza offerta a chi crede in Lui.

Egli testimonia la Verità nel senso che è in questo mondo per far conoscere Se stesso come salvatore ed attirare a sé ogni uomo. Ed in questo consiste la sua regalità: l’attrazione che Egli, in quanto Verità ed in quanto "testimone" di questa verità, esercita sull’uomo. Il quale può accogliere o rifiutare.

La testimonianza di Gesù, anzi che è Gesù, è lo splendore che rifulge nella sua parola, nella sua vita, nella sua morte e risurrezione, e che affascina ogni uomo.

1,2 [La testimonianza dello Spirito Santo]. Partiamo dal testo biblico: "Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio" [Gv 15,26]. Non facciamo nessuna esegesi, ma presupponendola cerchiamo di cogliere il significato globale del testo.

La testimonianza dello Spirito Santo avviene nel contesto di quel "processo" che è in corso da parte del mondo contro Gesù [e i suoi discepoli]. Essa consiste nel fatto che rende i discepoli intimamente convinti della Verità che è Gesù. Non è cosa facile essere convinti nel proprio cuore che "Gesù ha ragione": il Figlio di Dio, che dona se stesso sulla Croce; che si fa servo fino a lavare i piedi ai suoi discepoli. Ogni volta che una persona umana crede in Cristo, la testimonianza dello Spirito Santo a favore di Cristo è stata ritenuta vera [cfr. 1Gv 5,6b-8].

Ma il testo evangelico fa un’aggiunta di straordinaria importanza: "e anche voi…". La testimonianza dello Spirito Santo attende, per essere efficace, la cooperazione attiva e l’adesione convinta del discepolo. E reciprocamente la testimonianza del discepolo si radica e si fonda nella testimonianza dello Spirito Santo al suo cuore. La testimonianza dello Spirito Santo e la testimonianza della Chiesa e dei discepoli sono una stessa testimonianza senza soluzione di continuità [cfr. Lc 24,48; At 1,8.22; 5,32].

La testimonianza dello Spirito Santo è legata a quella dei discepoli dopo la Pasqua del Signore. La sua [dello Spirito Santo] testimonianza convince il cuore dei discepoli che Gesù è la Verità; è un’opera di convinzione che avviene in un contesto di "processi" intentati contro Cristo, di persecuzioni contro i discepoli. Questi, intimamente convinti, rendono all’esterno quella testimonianza a favore di Gesù, che lo Spirito Santo ha fatto risuonare nel loro cuore. Il discepolo rende testimonianza a Gesù nello Spirito Santo.

2. [La testimonianza del catechista]. Già le ultime riflessioni parlavano di noi. In questa seconda parte della mia riflessione voglio entrare nel tema specifico del nostro incontro odierno.

Partiamo da un’esperienza umana molto semplice. Esistono due tipi di conoscenze e quindi di verità conosciute. Ci sono conoscenze tese a verità che conosciute non hanno nessuna rilevanza in ordine all’esercizio della nostra libertà e quindi al senso di orientamento ultimo della vita. Un solo esempio: sul pianeta Marte esiste/non esiste qualche forma di vita? Sia la risposta affermativa che negativa non ha nessuna rilevanza sull’esercizio della mia libertà, sull’assetto fondamentale della mia vita. Le chiameremo "verità puramente formali".

Ci sono però conoscenze tese a verità che conosciute hanno una grande, perfino decisiva rilevanza circa l’esercizio della nostra libertà. Un solo esempio: esiste/non esiste una vita dopo la morte? L’assetto che uno dà alla vita cambia a seconda che risponde negativamente o affermativamente a questa domanda. Chiameremo queste verità "verità formali-esistenziali".

Chiediamoci ora se la trasmissione della conoscenza delle verità formali a chi le ignora ha la stessa natura e logica della trasmissione delle verità formali-esistenziali.

Se facciamo un po’ di attenzione alla nostra vita spirituale, vediamo che si tratta di due eventi diversi. Partiamo da un esempio.

Se comperate una lavatrice vi danno il libretto delle istruzioni di uso. Di fronte a queste istruzioni, una persona normale non nuove obiezioni. Le ritiene vere: dona cioè il proprio assenso. Ma queste istruzioni diventano guida per l’uso che faccio della lavatrice, solo se effettivamente metto in movimento la macchina in quanto devo lavare. Questo atto della volontà che trasforma le istruzioni in guida effettiva del mio agire è il consenso. Provate e riflettere con attenzione su questo esempio.

È molto più "facile" dare l’assenso che il consenso: assentire che consentire. Infatti il consenso presuppone certo l’assenso, ma anche che io abbia un "interesse". Il consenso pertanto è molto più esposto alle influenze extra-razionali a causa del coinvolgimento pratico della persona.

Le verità "formali-esistenziali" sono precisamente quelle verità che chiedono di diventare principi normativi della libertà della persona: chiedono non solo il nostro assenso, ma anche il nostro consenso. Che cosa rende possibile il consenso a queste verità? Quando la persona dà ad esse il suo consenso? Che cosa lo impedisce? Tutti i grandi maestri di spirito hanno cercato di rispondere a queste domande, costruendo una dottrina molto profonda dell’assenso e del consenso: penso a Platone, ad Agostino, a Newmann, a Rosmini per fare solo alcuni esempi. Devo però essere breve, e mi limito a dirvi la cosa che reputo centrale.

La persona è facilitata a dare il suo consenso quando "vede" che la verità formale-esistenziale è una possibilità reale di vita: di una vita bella, buona. La verità formale-esistenziale diventa motivante il consenso della persona quando non solo è colta come prospettiva, possibilità di vita avente un valore in sé e per sé: di vita che è buona per la persona umana come tale [= quando è assentita]. Ma quando vedo questa prospettiva, questa possibilità di vita incarnata "testimoniata", in una persona in carne ed ossa. Tommaso d’Aquino fa un’affermazione, come sempre profonda [cfr. in III Sent., d.23,2,2, ad 1]. As-senso e con-senso, dice, contengono la radice del verbo "sentire", che indica il loro carattere di adesione alla realtà. Ma nel caso dell’assenso si ha un’adesione che si riduce alla ragione; nel consenso si ha una adesione alla realtà in cui è coinvolta tutta la persona. È per questo che "vedere" realizzata la verità formale-esistenziale motiva fortemente il consenso.

Ed ora ritorniamo alla dottrina biblica della testimonianza, ma con un approccio più esistenziale.

Che cosa significano esistenzialmente le parole di Gesù "… per rendere testimonianza alla verità"? Lo vediamo confrontando due episodi evangelici: il dialogo fra Gesù e gli apostoli dopo la moltiplicazione dei pani [cfr. Gv 6,67-70] e l’incontro di Gesù col giovane ricco [cfr. cfr. Mc 10,17-22]. Pietro ha visto in Cristo l’unica possibilità concreta di esistenza vera, eterna; il giovane ha confrontato la possibilità prospettata ed incarnata in Cristo e la possibilità reale offertagli alle ricchezze. Il primo ha consentito a Cristo; il secondo ha consentito alle ricchezze.

L’evento narrato nel Vangelo accade oggi nella Chiesa; accade anche mediante e dentro il vostro atto di catechizzare. In che senso e in che modo?

Non dimentichiamo mai che la catechesi è ordinata ad introdurre sempre più profondamente il bambino, il ragazzo, il giovane nel mistero di Cristo. Che cosa questo significhi, lo abbiamo lungamente meditato lo scorso anno riflettendo sul catechista educatore. Come si può aiutare chi è catechizzato a "consentire" ad essere introdotto nel Mistero di Cristo e non solo ad "acconsentire" alla dottrina proposta? Rispondendo a questa domanda, capiremo che cosa significa che il catechista è un testimone e la catechesi una testimonianza.

Come abbiamo già detto, la Verità che è Cristo è Via che porta alla Vita: è proposta di vita che implica un cambiamento nel modo di pensare, di esercitare la propria libertà, di convivere con gli altri. È proposta di vita che cambia l’assetto fondamentale dell’esistenza, il senso ultimo dell’orientamento, i contenuti fondamentali della coscienza di se stessi.

Vale la pena consentirvi oppure è meglio lasciar perdere ed accontentarsi di un semplice assenso al suo, si dice, "alto insegnamento morale"? Ciò che motiva, che può muovere la persona a consentirvi è il vedere una persona in carne ed ossa che ti mostra che "vale la pena" consentire a questa proposta. Newmann ha scritto pagine notevoli circa il fatto che la forza attrattiva della verità – noi diciamo nel nostro contesto: della testimonianza di Gesù – si realizza pienamente grazie al fascino che emana da coloro che vivono conformemente ad essa e ne fanno vedere la bellezza [cfr. Personal influence, the Means of propaganting Truth in Fifteen Sermons preached before the University of Oxford, Notre Dame Un. Press, Notre Dame 1997, pag. 79].

La persona è intimamente convinta che Gesù ha ragione; che è bene e bello seguirlo; che lo posso incontrare vivo nella Chiesa. E tutto questo traspare nella sua persona, nella modalità con cui invita altri a consentire a questa proposta. In una parola: è un testimone.

Qui avviene qualcosa di molto grande. Ciò che accadeva nell’incontro fra (la testimonianza di) Gesù e chi lo incontrava, in una qualche misura accade nel rapporto catechetico. Anche in esso traspare nel catechista la testimonianza di Gesù che invita a seguirlo. Ciò che rende possibile la presenza della testimonianza di Gesù nel catechista è la grazia dello Spirito Santo che lo ha convinto che Gesù ha ragione, sempre e comunque.

Questo non comporta necessariamente una perfetta coerenza fra la fede e la vita, nel catechista. Riprendiamo una riflessione iniziale. Certamente una incoerenza grave, estesa, continua rende impossibile la testimonianza. Ma il punto centrale non è questo. È l’intima convinzione che solo Gesù ha parole di vita eterna, e la gioia di vivere che genera questa convinzione. Può essere, anzi è sempre anche la gioia di un perdono mai negato. Pietro può dire in tutta verità che ama Cristo, anche se pochi giorni prima lo aveva tradito.

Ora sarebbe necessario vedere la cosa dal punto di vista della persona provocata a consentire. Non ne abbiamo più il tempo. Mi limito a qualche osservazione.

Anche di fronte al testimone si può rifiutare il consenso. J. Finnis ha studiato la cosa per quanto riguarda il consenso alle verità morali. Ma vale anche anzi maggiormente per il consenso di fede. Quattro sono le cause principali che possono impedire, bloccare la testimonianza di Gesù. La prima è costituita dal fatto che la "forma mentis" di chi ascolta, il "paradigma interpretativo" di cui fa uso nel suo approccio alla realtà, è contrario, non solo diverso, alla testimonianza di Gesù. Si pensi alla reazione di Pietro di fronte alla predicazione della passione di Gesù. La seconda è costituita dalla "tentazione di alleggerire il carico": troppo duro è questo discorso, dicono i giudei. Ciò accade spesso quando si presenta il cristianesimo come un fardello di norme da portare. La terza è costituita dall’orgoglio che impedisce di ammettere che la vita finora vissuta è sbagliata. La quarta è dovuta a quella sorta di torpore intellettuale che può giungere fino alla cecità interiore che impedisce di andare oltre al piacere e all’utile (Tommaso dice che questo è normalmente conseguenza del disordine in ambito sessuale) [cfr. J. Finnis, Gli assoluti morali, ARES ed., Milano 1999, tutto il cap. primo].

Conclusione

La nostra riflessione ci ha fatto scoprire l’identità del catechista in una dimensione di grande splendore ed attrattiva. In sostanza tutto quanto ho detto potrebbe essere riassunto nel modo seguente: chi ha incontrato Gesù può testimoniarlo ed indurre altri a seguirlo. La Verità che è Gesù è ora affidata alla testimonianza della Chiesa e nella Chiesa ad ogni suo discepolo.