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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Il dono della vita
Priolo, Siracusa - marzo 1995


Nel Vangelo del matrimonio è presente, al suo centro, il Vangelo della vita. Data l'importanza che esso oggi riveste, merita una riflessione a parte. Vorrei cominciare coll'indicarvi la porta d'ingresso in questo Vangelo. È come fosse una casa: se non trovi la porta non puoi entrarvi. Restandone fuori, non puoi vedere nulla dello splendore di questo edificio, dello splendore del Vangelo della vita.
Quale è questa "porta d'ingresso"? È la percezione della dignità di ogni e singola persona. Una percezione che deve essere netta, chiara, perspicace. Il primo punto della mia riflessione vuole aiutarvi ad averla.

1. - La dignità della persona umana

C'è un modo di vedere la persona umana, che impedisce di vederne la dignità. Voglio aiutarvi con un esempio. Proviamo a chiederci: 100 è un numero piccolo o e grande? Ad una domanda così posta, non è possibile dare una risposta. Il numero cento in sé considerato non è né grande né piccolo: è ciò che è. Ma se nella mia mente lo confronto con mille, esso mi appare piccolo; se lo confronto con uno, mi apparirà grande. Questo piccolo gioco aritmetico mi insegna una cosa molto importante. Se considero un individuo come un numero di una serie, come la parte di un tutto, esso mi apparirà di scarso valore. Al limite, di nessun valore se la serie di cui è parte è molto grande. Chiunque è disposto a dare facilmente mille lire se possiede cento milioni; ben difficilmente sarà disposto a farlo se possiede cinque mila lire.
Perché ho fatto questo discorso? Per aiutarvi a liberarvi da un modo di vedere l'uomo che impedisce completamente di vederne la dignità. Quale modo? Quello di considerarlo come un individuo che appartiene ad una specie vivente, come la parte di un tutto.
Che cosa è un individuo fra cinque miliardi: nulla, praticamente. Ora la persona umana non fa parte di nessun tutto: ciascuna persona umana è unica, è irripetibile, è insostituibile. La persona umana non è la ripetizione di un modello, la natura umana, così come un quotidiano ha la stessa matrice.
Sarebbe ridicolo che noi andassimo da un giornalaio, chiedessimo il nostro giornale e volessimo proprio una copia e non un'altra. Sarebbe ridicolo, Perché ogni copia è uguale all'altra.
Non è così della persona umana. Vorrei ora aiutarvi a capire meglio, a percepire questa unicità, questa irripetibilità, questa insostituibilità di ogni persona umana.
Se una persona perde una persona amata, possiamo consolarla dicendo: "non piangere esistono ancora tante persone umane"? nessuno lo farebbe, sapendo bene che il dolore nasce precisamente dalla perdita di quella persona, dalla coscienza che nessun'altra potrà prendere il suo posto. Questa esperienza è molto profonda, Perché ci aiuta a capire in quale contesto noi finalmente possiamo percepire l'unicità, l'insostituibilità, l'irripetibilità, di ogni persona umana. È solo l'amore che ci fa capire questo. A chi ama, la persona amata è di un valore assolutamente unico: essa non può essere scambiata in nessuna maniera.
Proprio partendo da questa esperienza dell'amore. possiamo finalmente compiere il passo decisivo. Riflettendo sull'esperienza precedente, qualcuno potrebbe dire: "non è vero che quella persona abbia un valore unico in se stessa e per se stessa: ha un valore unico solo nella e per la considerazione di chi l'ama, ma non per gli altri". Si potrebbe rispondere a questa difficoltà, dicendo: "sei proprio sicuro che il modo giusto di guardare una persona non sia lo sguardo d'amore, ma lo sguardo indifferente, per il quale tutti sono uguali ed intercambiabili?". Ma non è di questo che ora voglio parlare.

Diamo per vero quello che ha detto. E se esistesse uno sguardo d'amore per ogni persona che esiste, non sarebbe vero che per questi - per colui che vede ogni persona in questo modo - ogni persona sarebbe unica, insostituibile, dotata di una incomparabile preziosità? Ebbene un tale sguardo d'amore esiste ed è l'atto creativo e redentivo di Dio. Dobbiamo penetrare profondamente il mistero di questo "sguardo di amore" nel quale è racchiusa l'incomparabile dignità di ogni persona umana.
Partiamo da due testi biblici. Il primo è il Salmo 8. Esso dice: "Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, / la luna e le stelle che tu hai fissate / che cosa è l'uomo"? Ad una considerazione globale, quantitativa in cui confronto la parte (l'uomo) con un tutto (l'universo intero), l'uomo esce soccombente: che cosa è l'uomo?, niente, un piccolo frammento di un tutto immenso. Ma, fate bene attenzione, il salmista non si ferma a questo modo di considerare l'uomo. Egli aggiunge subito... "Perché te ne ricordi // ...Perché te ne curi?" Qui l'uomo è visto come sempre presente nella memoria di Dio, sempre oggetto della sua cura. Ed è a causa di questa presenza e di questa cura che il salmista resta stupito di fronte alla grandezza unica dell'uomo. Stupito perché ne scopre la grandezza proprio nello sfondo di un'esperienza della grandezza dell'universo che sembra schiacciare l'uomo. Ho parlato di "uomo". Ma di quale uomo si parla? Uomo qui significa umanità nel suo insieme? No, significa ogni singolo uomo. Per Dio, ogni singolo uomo è unico, insostituibile ed irripetibile. Gesù non dice che anche i capelli del nostro capo sono contati dal Padre e non ne cade nessuno senza che lo voglia? S. Tommaso ha espresso queste profonde verità con una formulazione stupenda, che il Concilio Vaticano II cita e che il S. Padre non si stanca di ripetere: l'uomo "in terra è la sola creatura che Dio ha voluto per se stessa" (GS. 24). Che cosa significa? Mentre ogni creatura è voluta in funzione del bene di un tutto di cui fa parte ed il singolo vivente è al servizio del bene della specie di cui è parte, la persona umana non è in funzione di niente. Essa è voluta per se stessa: cioè essa è amata. Proviamo a chiedere ad una persona umana che ha perduto la persona amata: "se fosse dipeso da te, avresti consentito che la persona amata morisse"? Certamente la risposta sarebbe negativa. L'amore vuole la vita della persona umana, ma l'amore umano non è onnipotente; la morte alla fine lo vince.
Ma l'amore di Dio è onnipotente. Ecco Perché non acconsente che la morte abbia potere sulla persona amata. E siamo così al secondo testo biblico. S. Paolo, nella Lettera ai Galati (2,20) dice: "Questa vita che vivo nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me". L'amore redentivo di Cristo ed il dono di se stesso non è generico: non è per il "genere umano". È per ciascuno; è per il singolo.

Ho terminato questo primo punto della mia riflessione. Essa aveva lo scopo di aprirvi la porta al Vangelo del dono della vita. Quale è la porta che vi introduce? È la percezione del valore unico, della preziosità incomparabile, in una parola della dignità di ogni e singola persona umana: una dignità infinita. Chi ha questa percezione, è illuminato dalla stessa luce dello sguardo con cui il Padre guarda ciascuno di noi ed il Cristo ha donato se stesso per ciascuno di noi.

2. - Il dono della vita

Nella luce abbagliante della dignità di ogni e singola persona, possiamo ora comprendere meglio il mistero del dono della vita, quale accade nel matrimonio. Partiamo ancora da un testo biblico (3. 14-15): "piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome". Esso ci rivela che ogni paternità (maternità), quindi anche quella che sta all'origine di ogni vita umana, "prende nome dalla stessa paternità divina". Ecco questo è il nucleo essenziale del Vangelo del dono della vita. Cerchiamo di balbettare qualcosa su di esso.
La Familiaris consortio afferma che i coniugi, come genitori, sono collaboratori di Dio Creatore nel concepimento e nella generazione di un nuovo essere umano. È questa la prima, grande affermazione del Vangelo del dono della vita. Possiamo averne una certa comprensione, partendo da un'esperienza molto semplice, ma molto profonda, che ogni padre e ogni madre ha vissuto. Quando due sposi vogliono un bambino, non possono decidere chi sarà quel bambino/a che stanno per concepire. Essi vogliono solo un/a bambino/a: nulla di Più. Quando poi lo vedono per la prima volta, dicono: "ecco, è lui, non un altro, il nostro bambino"! Ma chi ha deciso che fosse lui, non un altro? Chi ha stabilito che fra le infinite persone possibili fosse proprio questa a venire all'esistenza e non un'altra? Non certamente la volontà dei genitori. Non certamente la casualità biologica: nelle varie combinazioni possibili, regolate dalle leggi biochimiche del concepimento, è accaduta quella per cui è stato concepito lui e non un altro. La "casualità biologica" spiega solo il fatto che è venuto all'esistenza un individuo, questo e non un altro. Tuttavia qualsiasi altro avrebbe potuto essere il risultato delle combinazioni possibili: non è l'individuo che è importante, ma la specie. Ora chi vive l'esperienza della paternità-maternità sa che così non è. Nessuna madre direbbe al figlio che le viene mostrato per la prima volta: "sei tu, ma qualsiasi altro potrebbe prendere il tuo posto". Chi ha deciso che fosse lui e non un altro!
Dio stesso. E questa decisione è ciò che chiamiamo atto creativo di Dio. Ricordate ciò che abbiamo detto nel punto precedente. L'uomo è scelto, guardato con amore e voluto da Dio stesso. Dunque, all'origine di ogni persona umana sta questa scelta, questa decisione divina. Noi iniziamo la nostra professione di fede dicendo: "Credo in Dio Padre onnipotente, creatore".Chiediamoci: e quando Dio mi ha creato? È ovvio: nello stesso momento in cui sono stato concepito. L'atto del concepimento coincide con l'atto della creazione. Così i due sposi che donano la vita, si trovano coinvolti e come radicati in un "grande mistero" (Ef. 5,32): nella paternità-maternità umana Dio stesso è presente in un modo assolutamente diverso da come è presente ovunque. Il corpo della donna è il tempio santo in cui Dio celebra la liturgia del suo Amore creatore. Ho parlato di una presenza diversa. Ed infatti solo ogni persona umana è voluta da Dio per se stessa. Ma Dio creatore non ha voluto compiere il suo atto creatore se non nella forma del concepimento umano. Cioè: Egli ha voluto che gli sposi collaborassero al compimento del suo atto di amore. Non c'è persona umana che non sia stata concepita e che non sia stata creata: creazione e concepimento, Amore creativo di Dio ed amore coniugale degli sposi cooperano all'opera più grande che possa accadere, l'ingresso nell'esistenza di una nuova persona umana. Perché è l'opera più grande che possa accadere? Perché la persona umana è ciò che di più grande esiste nell'universo creato.
È un'esistenza che non è solo nel tempo, ma destinata all'eternità. E qui scopriamo un'altra fondamentale dimensione del Vangelo del dono della Vita. La nuova persona umana è destinata all'eternità: è portatrice di una predestinazione ad essere "santa ed immacolata al suo cospetto nella carità". Dio vuole che questa nuova persona sia vivente in Cristo: è stata creata per questo.
Di conseguenza i l dono della vita non si riduce al do no della vita fisica. La generazione trova il suo compimento nell'educazione della persona: donare la vita significa educare la nuova persona umana.
I genitori sono "i primi testimoni e ministri di questa nuova nascita dello Spirito Santo". Dio desidera la nascita dallo Spirito Santo per ogni nuova persona che viene al mondo. Egli la vuole come figlio adottivo nell'unigenito Figlio, che ci dà "potere di diventare figli di Dio" (Gv. 1,12) (cfr. Giovanni Paolo II, Lettera alle Famiglie, 22). Questa divina generazione si realizza nella Chiesa e mediante la Chiesa. I genitori cristiani sono l'espressione, la concretizzazione della maternità della Chiesa.
Possiamo dire di avere concluso la nostra seconda riflessione. Il Vangelo del dono della vita è il gioioso annuncio che ogni singola persona umana è dotata di una preziosità infinita: "ti ho amato fin dall'eternità". La creazione di una persona umana e la sua redenzione è l'atto più grande dell'amore divino. L'uomo e la donna, per il loro amore coniugale, sono chiamati ed hanno la missione di cooperare con questo amore creativo-redentivo .

3. - L'anti-vangelo del dono della vita

Se leggiamo attentamente l'annuncio con cui l'angelo rende noto all'umanità l'evento della salvezza, vediamo che egli indica come segno "un bambino avvolto in fasce". Ecco il segno della salvezza donata: un bambino. Tuttavia, proprio nei racconti dell'infanzia di Gesù, vediamo contrapposto a questo annuncio, all'annuncio della vita, la descrizione della minaccia alla vita. Gesù è subito ricercato per essere messo a morte; Erode uccide i bambini di Betlemme; Gesù deve fuggire per non essere ucciso. Queste pagine sono una grande profezia che svela il fondo oscuro di tutta la nostra storia quotidiana: c'è in atto uno scontro violento fra il vangelo del dono della vita ed il vangelo della morte, fra il Dio della vita e colui che fu omicida fin dal principio.
Nel punto precedente della mia riflessione ho parlato del vangelo del dono della vita. Dobbiamo conoscere profondamente il vangelo della morte per sradicare qualsiasi seme di esso dal nostro cuore. Dobbiamo conoscere bene come accade oggi lo scontro fra vangelo ed anti-vangelo, per stare dalla parte giusta. Questo terzo punto della mia riflessione vuole aiutarvi un poco ad avere questa nettezza di visione.
L'anti-vangelo della vita è espresso perfettamente nel modo con cui Satana induce l'uomo alla morte, sotto l'apparenza della vita (cfr. Gen. 3, 1-7). Se facciamo bene attenzione alle parole del tentatore, esse si costruiscono tutte attorno ad un "non è vero che...". L'anti-vangelo comincia subito e sempre con la menzogna, Perché vuole in primo luogo impedire all'uomo di vedere. Vedere che cosa? Il valore unico di ogni persona umana a causa dell'amore di Dio. La menzogna che il tentatore cerca di far penetrare nel cuore dell'uomo è la seguente: "non è vero che Dio ti ama: al contrario: Dio è invidioso del vostro bene: per questo "proibisce". Questa menzogna sta al centro dell'anti-vangelo della morte, Perché se l'uomo se ne lascia impossessare, viene come scardinato dall'essere, gli viene a mancare la terra solida su cui poggiare i piedi. Quella menzogna creduta genera, alla fine, il disprezzo della vita. Che valore ha questo ammasso di cellule che è l'uomo appena concepito? Si chiedono: che valore ha quest'uomo che ha così gravi handicaps o che è già così ammalato? Perché non eliminarlo? L'essere non è più amore.
Ma procediamo nell'analisi, nell'esegesi del testo-base dell'anti-vangelo della vita. Se la persona ha accettato nella fede il Vangelo della vita, essa si radica e si incardina in un'attitudine pratica di venerazione di ogni opera del Creatore, che è frutto del suo Amore. Ella si riconosce in un ordine che è l'ordine dell'Amore e in un Amore che è ordine. Una volta che la persona ha creduto alla menzogna, l'universo stesso appare ostile e l'uomo si colloca nella disobbedienza. La menzogna genera disobbedienza: "... come dei conoscendo il bene ed il male". La menzogna ha convinto l'uomo che è lui a decidere ciò che è bene o male. È il secondo elemento costitutivo dell'anti-evangelo della morte. È la coscienza dell'uomo a decidere in ultima istanza ciò che è bene e ciò che è male: lo splendore della verità (Veritatis splendor) è stato oscurato dalla notte della menzogna. Ed infine lei dice: io decido che fare di "ciò che è nel mio ventre".
L'uomo, cedendo alla menzogna, ha fatto alleanza colla morte. Questa è la radice dell'anti-evangelo della morte, che il tentatore cerca di seminare nel cuore dell'uomo. Quali sono i frutti di questa radice? Che cosa produce l'anti-evangelo della morte?
In primo luogo, nel cuore dell'uomo. È stato forse Agostino a descrivere con maggiore profondità, nella tradizione cristiana, i frutti dell'anti-evangelo della morte nel cuore dell'uomo. Egli lo fa nel famoso racconto del furto delle pere (cfr. Confessioni 2,4,9-6,14). Egli va a rubare delle pere. Perché, si chiede, lo feci? Non ne avevo bisogno: potevo avere la frutta che volevo. Non era che quelle pere fossero particolarmente buone: al contrario, erano immature. Ed infatti, dopo il furto le buttò senza neppure assaggiarle. Perché allora le rubò? semplicemente per affermare la sua libertà. Una libertà che egli pensava, per essere tale doveva possedere una totale autonomia da qualsiasi legge, come una sorta di onnipotenza divina. E quale risultato si trova nelle mani? Ecco come lo descrive Agostino: "Il prigioniero voleva imitare una libertà monca... con una tenebrosa similitudine di onnipotenza? Eccolo: questo servo fuggitivo dal suo padrone, che ha raggiunto un'ombra.
O corruzione, o mostro di vita, o profondità di morte"! La profondità della morte: ecco il frutto. Ma questi frutti sono prodotti anche nell'ambito della società. Vediamo quali sono questi frutti, diciamo, sociali.
Il primo è stato l'introduzione di leggi che permettono l'aborto, anzi che fanno obbligo allo Stato di prestare il proprio contributo all'uccisione degli innocenti già concepiti e non ancora nati. È difficile vedere in tutta la sua gravità che cosa questo significhi. Vorrei aiutarvi con una riflessione abbastanza semplice. Chi è la persona che per prima si accorge che una nuova persona umana è entrata nell'universo? È la donna che ha concepito. Essa esclama, per prima: "c'è qualcuno che prima non c'era: è in me, ma non è qualcosa di mio". Questa esperienza è unica; essa è l'eco nel cuore della donna della gioia stessa che Dio prova nel creare questa nuova persona. Eva infatti dice: "Ho acquistato un figlio dal Signore". L'essere di questa nuova persona dipende dall'atto della volontà creativa di Dio; l'essere di questa nuova persona dipende dall'atto della volontà della donna che sente di avere acquistato un figlio dal Signore.
È da questo mirabile incontro tra il cuore di Dio ed il cuore della donna, che sgorga l'umanità: è questa la sorgente dell'uomo. Ora che cosa fa l'uomo nel cui cuore fruttifica l'anti-evangelo della morte? dice: "tu puoi uccidere questa nuova creatura, il suo essere dipende da te". L'uomo è padrone dell'uomo: la definizione stessa dell'anti-socialità umana. L'aborto inquina la sorgente stessa di ogni rapporto sociale.
L'altro frutto è la nobilitazione della contraccezione Vorrei che prestaste attenzione a questo punto. Non sto parlando del ricorso alla contraccezione in una coppia di sposi che, pressati da vari problemi, ritengono, sbagliando, di dover ricorrere ad essa per risolverli. Sto parlando della esaltazione della contraccezione come di una liberazione della donna. Liberazione da che cosa? Liberazione per che cosa? Liberazione dalla fertilità che viene vista sempre più come un inconveniente, qualcosa che sarebbe meglio che non ci fosse, alla fine un male. Perché un male? Perché impedisce un esercizio della sessualità "libero e responsabile", si dice. Liberazione per un esercizio della sessualità nel quale la libertà abbia totale indipendenza. La "salute riproduttiva" di cui molti parlavano in preparazione e durante la Conferenza del Cairo significava precisamente questo. "Tenebrosa similitudine di onnipotenza", diceva S. Agostino. La definizione è rigorosamente precisa. È una similitudine tenebrosa di onnipotenza: essa si realizza nel distruggere le fonti stesse della vita. L'altro frutto è la conseguenza di questa "tenebrosa similitudine di onnipotenza" e consiste nella piena legittimazione dell'omosessualità. Intendo riferirmi ai vari tentativi, che hanno già ottenuto i primi risultati, di equiparare pienamente l'esercizio eterosessuale della sessualità nel matrimonio alle convivenze omosessuali. L'anti-evangelo della morte ha raggiunto così la sua pienezza, il suo compimento: l'omosessualità è sterile! L'omosessualità è la fine della vita, della storia, Perché nega la creazione come tale. Non a caso la nobilitazione dell'omosessualità ha sempre coinciso colla morte della civiltà in cui essa era fatta.
Abbiamo il segno di questo anti-vangelo della morte: un segno terribile, tragico. Presso tutte le culture, anche le più primitive, due sono i simboli fondamentali della gioia e della vita: la sessualità e il sangue. Ora che cosa sta accadendo? Proprio la sessualità e il sangue sono diventati i pericoli della morte nell'AIDS. Si tratta di uno stravolgimento radicale della creazione nella quale è stato annunciato l'anti-evangelo della morte. Come il nemico di cui parla la parabola, nel campo di Dio che è la creazione. Satana ha seminato il suo anti-vangelo della morte.

Conclusione

A chi riflette seriamente su questo scontro fra Vangelo della vita e cultura della morte sorge inevitabile nel cuore la domanda sull'esito finale di questo scontro.
Nel libro dell'Apocalisse leggiamo una pagina d'impressionante attualità. Il veggente vede il libro nel quale sta già scritta tutta la storia dell'umanità: chi lo legge potrà conoscere fin da ora gli esiti finali delle nostre umane vicende.
Tuttavia quel libro è chiuso con sette sigilli e non si trova nessuno in cielo, in terra, sottoterra che sia capace di rompere quei sigilli, aprire il libro e leggerlo. Il libro fu dato all'Agnello immolato. Egli solo ne può spezzare i sigilli e lo può aprire. Egli solo conosce il segreto finale della storia umana. Ma questo esito finale non ci è estraneo, poiché esso già ci coinvolge: di esso ciascuno di noi è già responsabile nella sua misura propria. È nel cuore di ciascuno di noi che il Vangelo della vita si scontra colla cultura della morte e da come finisce questo scontro dipende quale società stiamo costruendo. E così ciascuno diventa cosciente che non è fuori di sé, ma in sé che deve cercarsi il germe della fine e del fine. Più precisamente: nell'esercizio della sua libertà chiamata ad accogliere il Vangelo della vita, rifiutando le insidie della cultura della morte. È in se stessi che lo scontro accade.
"Dove è il tuo Dio?". La domanda, che faceva versare lacrime al salmista, può esserci rivolta anche oggi dallo scettico e dal disperato. Può essere rivolta a noi stessi da noi stessi. Ed essa attende risposta. Dove è? Quale è il luogo della Sua Presenza: luogo, entrando nel quale, dimorando nel quale, l'uomo possa celebrare la festa della sua beatitudine? Trovo la risposta in una mirabile pagina di S. Agostino.
"Quando qui gli uomini celebrano le loro feste anche se si tratta di feste lussuriose, sono soliti collocare alcuni strumenti musicali dinanzi alle loro case, oppure ingaggiare suonatori, insomma suonare qualche musica che lusinghi ed ecciti la sensualità. Udendola c'è dice chi passa? Chiede di che cosa si tratta. Risponderanno che si tratta di una festa. Ci diranno che è una festa natalizia, oppure che si tratta di nozze, affinché non sembrino fuori luogo quei canti, e la lussuria sia scusata con la festa. Nella casa del Signore eterna è la festa. Non vi si celebra una festa che passa. l festoso coro degli angeli è eterno; il volto di Dio presente dona una letizia che mai viene meno. Questo giorno di festa non ha né inizio né fine. Da quella eterna e perpetua festa risuona un non so che di canoro e di dolce alle orecchie del cuore; purché non sia disturbata dai rumori del mondo. Il suono di quella festa accarezza le orecchie di chi cammina nella tenda e osserva i miracoli di Dio nella redenzione dei fedeli e rapisce il cervo alle fonti delle acque". (Enar. in Ps.41,9; NBA XXV, pag. 1017).
È nella comunione col Cristo, che è la Chiesa, che si ha quell'esperienza di bene, fonte inesauribile di una speranza che non delude.
Perché in questo luogo che è la Chiesa l'uomo sente come l'eco della festa eterna, è convinto della verità del Vangelo della vita e della falsità della cultura della morte? C'è un detto, una promessa, fatta da Cristo l'ultima sera della sua vita terrena, che ci dona la risposta a questa domanda: "E quando Egli (lo Spirito, il Consolatore) sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio".
Lo Spirito che scruta la profondità di Dio può pienamente, interiormente convincere l'uomo del peccato: dell'ingiustizia insita nella decisione di non credere al vangelo della vita. Egli fa sentire nel cuore dell'uomo la Verità e l'Amore, mostrando per contrarium la menzogna della cultura che porta alla morte. In questa presenza si costituisce la comunione che è la Chiesa, nella quale si ritorna all'originaria alleanza col Dio vivente: alle fonti della vita.