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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Il perché della Chiesa nella scelta della regolazione naturale della fertilità
Fano, 1 giugno 1991


La ragione per cui la Chiesa cattolica pensa e insegna che la realizzazione di una procreazione responsabile possa avvenire solo attraverso l’esercizio della castità coniugale, che implica anche la continenza periodica, sono molte.

Il poco tempo a disposizione mi costringe a poco più che a una semplice enumerazione delle stesse, e lo farò da quelle di carattere più generale, muovendomi verso quelle sempre più specifiche.

 

1. La prima ragione, di carattere molto generale ma non per questo meno importante, è la seguente: la realizzazione di un progetto personale di procreazione responsabile è un problema di carattere etico e non di carattere tecnico. È, cioè, un problema dell’agire, non del fare umano.

La comprensione di questa prima ragione esige, in sede preliminare, che si chiarisca questa essenziale distinzione fra la dimensione etica e la dimensione tecnica di un problema. Il problema dunque è il seguente: come realizzare la propria sessualità coniugale, in modo che essa sia espressione di una volontà responsabilmente procreativa? Posta di fronte a questa domanda, la persona può imboccare fin dall’inizio due strade, due vie di soluzione molto diverse fra loro. O penserà, fin dall’inizio, che si tratta di un problema che interpella in primo luogo la sua libertà, in quanto questa è auto-possesso o auto-dominio della persona e capacità di integrare la dimensione psico-fisica della sessualità umana nella persona.

Oppure, penserà, fin dall’inizio, che si tratta di un problema nella cui soluzione la sua libertà (intesa nel significato suddetto) è solo marginalmente implicata, trattandosi piuttosto di trovare una soluzione che sia in primo luogo efficace.

Nel primo caso, la persona ha colto nel problema la sua essenziale dimensione etica; nel secondo caso la persona ha visto nel problema solo una questione di carattere tecnico, la cui soluzione dovrà essere cercata secondo il modello della razionalità tecnica.

La prima ragione, dicevo, per cui la Chiesa rifiuta il ricorso alla contraccezione e che il problema non è di carattere tecnico, ma etico. Visto cosa significa in generale quella distinzione, è giunto il momento di spiegare questa prima ragione.

La persona umana non è un fascio di forze impersonali, nei confronti delle quali la ragione ha solo il compito di trovare un equilibrio il meno instabile possibile. La persona umana, nella sua più intima essenza, è soggettività spirituale: capacità cioè di integrare in sé stessa la dimensione psico-fisica della sessualità, secondo un’abitudine di riverenza verso quei valori che sono in essa sessualità inscritti. E vedremo poi quali sono questi valori.

L’affidare la soluzione di un problema così profondamente umano ad una metodologia nella quale l’esercizio della propria libertà è ridotto al minimo, significa progettare soluzioni entro le quali, e alla fine delle quali, la persona sarà come decapitata di ciò che costituisce lo splendore del suo essere: la sua libertà.

Come sempre, quando si tratta di persona umana, il linguaggio dei simboli ha uno straordinario potere evocativo delle verità più profonde, dei misteri umani più venerabili. In che cosa consiste, simbolicamente, l’atto con cui si risolve il problema di una procreazione responsabile, quando è risolto con la contraccezione chimica? Nell’assumere una pillola! L’unico problema sarà di non dimenticare di farlo; dopo di che ogni problema è risolto. In che cosa consiste, simbolicamente, l’atto con cui si risolve il problema di una procreazione responsabile, quando è risolto nella castità che conosce e il momento dell’unione sessuale e il momento dell’astinenza? È impossibile individuarlo: si tratta di uno stile di vita, di una forma di esistenza, di una qualità della persona. Stile, forma, qualità: termini tutti che connotano la costruzione di un edificio, affidata all’intensità della propria libertà.

Potremmo dire, concludendo: la prima ragione dell’insegnamento della Chiesa è che solo la scelta di una regolazione naturale della fertilità è adeguata alla verità dell’uomo come soggetto libero. La contraccezione è contro la libertà dell’uomo.

 

2. La seconda ragione è più specifica. Solo la regolazione naturale della fertilità può esprimere una volontà che rimane sempre e comunque aperta alla vita, amante della vita. Al contrario, la contraccezione esprime sempre, almeno nel momento in cui è compiuta, una volontà contro la vita. Questa seconda ragione, che oggi sta riacquistando una straordinaria importanza nella nostra cultura occidentale, esige un fine e rigoroso approfondimento.

Inizio questo approfondimento chiedendovi di fare attenzione a un’esperienza che ciascuno di noi vive continuamente. La nostra libertà si trova spesso a dover scegliere non semplicemente fra un bene e un male, ma anche fra vari beni. Nel tempo libero si può ascoltare buona musica e godere della bellezza di uno spettacolo naturale. Si può scegliere di realizzare la propria vita nello stato coniugale o nella verginità consacrata. E così via. È un segno, questo, della nobile grandezza del nostro spirito, ma anche della sua debole limitatezza: non è infatti possibile realizzare (si noti bene: ho detto “realizzare”) ogni bene possibile. Dobbiamo scegliere. Tuttavia — e vorrei che a questo punto voi prestaste particolare attenzione —, nei confronti del bene che non abbiamo scelto, possiamo avere due attitudini profondamente diverse fra loro. Lo spiegherò con un esempio.

È impossibile scegliere (di realizzare) sia il bene della coniugalità sia il bene della verginità. Tuttavia si può scegliere il bene della coniugalità, o perché si ritiene che la verginità sia un male o perché si ritiene che la verginità è un bene, ma non conveniente per me: si ha così una volontà coniugale che può essere accompagnata da una volontà o CONTRA-verginale o semplicemente NON-verginale. Non è difficile notare subito la diversità psicologica, etica e antropologica fra una volontà coniugale CONTRA-VERGINALE e una volontà NON-VERGINALE. La prima è un rifiuto radicale del bene, della verginità, è una chiusura del proprio spirito nei suoi confronti. La seconda non rifiuta la verginità, è aperta verso di essa: semplicemente non ritiene che debba realizzarla. E c’è una profonda differenza etica. Se è vero che non ho l’obbligo di realizzare ogni bene possibile, perché non ne sono capace, è però altrettanto vero che la mia volontà non deve mai porsi contro un bene, giudicandolo un male.

Tenendo presente nel nostro spirito questa semplice e mirabile esperienza quotidiana, ritorniamo ora alla riflessione sulla seconda ragione. La fertilità presente nell’atto coniugale, quando è presente, rende possibile realmente ed immediatamente possibile, che una nuova persona umana venga all’esistenza. È questa la sublime grandezza, l’incomparabile preziosità della fertilità umana. Una nuova persona umana, infatti, non è un numero che si aggiunge alla serie, un nuovo individuo di una specie vivente: è qualcuno che ha in sé e per sé un valore infinito. È un bene che venga all’esistenza una nuova persona umana? Non c’è nessun dubbio: è sempre e comunque un bene. Non ho mai il diritto di dire, di fronte a qualsiasi persona: è un male che tu esista! Se è sempre un bene che esista una nuova persona umana, allora devo anche pensare che è sempre un bene l’atto che pone le condizioni perché esista una nuova persona umana: l’atto coniugale fertile è sempre un bene. Dobbiamo, allora, concludere: quindi gli sposi hanno sempre il dovere di compiere gli atti sessuali fertili? Non dobbiamo concludere così, semplicemente perché non esiste il dovere di realizzare ogni bene possibile.

Dunque: avere nel proprio cuore un’attitudine NON-CONCETTIVA non è sempre un male. Tuttavia, e siamo al nodo della questione, una persona (coniugata) può ritenere che, date le particolari circostanze in cui vive, la venuta all’esistenza di una nuova persona (di un altro figlio) sia un male: un male che deve essere rifiutato. È sorta nel cuore di questa persona un’attitudine che non é non-concettiva, ma CONTRA-CONCETTIVA.

Ora se non è sempre male non voler realizzare un bene, è sempre male non amare un bene, giudicare male ciò che è sempre bene.

Come si esprimono visibilmente, simbolicamente, queste due volontà in generale e queste due volontà in particolare? Quando una persona ama un bene, nel suo cuore, e lo stima, ma giudica di non potere-non dovere realizzarlo, semplicemente ella si astiene dal compiere quell’azione; che lo realizza quando una persona giudica di non potere-non dovere realizzare un bene, perché ritiene che esso semplicemente per lui non sia un bene, ma semplicemente un male, normalmente non è che si astenga dal compiere quell’azione che realizza quel (supposto) male, ma compie di solito quell’azione che distrugge quel male.

Quando un coniuge ama il dono della vita, la bontà insita nel dono della vita, ma giudica di non potere-non dovere compiere quel bene, semplicemente si astiene dal compiere quell’atto che lo realizza, cioè l’atto coniugale fertile. Cioè: evita di avere rapporti coniugali fertili.

Quando, al contrario, un coniuge ritiene che sia male donare la vita, egli non si astiene dall’avere rapporti coniugali nel periodo fertile, ma avendo rapporti, distrugge precisamente (o impedisce) quella fertilità che (e perché) egli ritiene essere un male: ricorre, cioè, alla condotta contraccettiva.

L’esposizione della seconda ragione può dirsi conclusa. In sintesi: la seconda ragione dell’insegnamento è che solo la scelta di una regolazione naturale della fertilità può esprimere l’amore del bene della vita; al contrario, la contraccezione esprime sempre un’attitudine contro la vita.

 

3. La terza ragione dell’insegnamento della Chiesa è ancora più specifica: solo la regolazione naturale della fertilità umana esprime la verità dell’amore coniugale; la contraccezione è una falsificazione dell’amore coniugale. Si tratta di una visione molto fine e molto suggestiva, alla base di questa terza ragione.

Vorrei anche in questo caso cominciare dal richiamare alla vostra attenzione un’esperienza che possiamo vivere (e sicuramente almeno qualche volta abbiamo vissuto).

La parola è un evento mirabile e misterioso, poiché è soprattutto essa che crea la comunicazione e quindi può creare la comunione inter-personale. La comunicazione-comunione interpersonale non è una questione di contiguità fisica: i sassi ammucchiati non sono comunicanti. Non è una trasmissione, per una sorta di induzione, dei propri stati d’animo all’altro. Non è l’uso che si fa gli uni degli altri per raggiungere un determinato scopo. Essa è mutua immanenza, è reciproca dimora dell’uno nell’altro, è — appunto — comunione.

Si comprende allora come la parola, e in genere ogni capacità espressiva, sia la prima ed originaria sorgente della comunione interpersonale. Essa, infatti, ci apre l’uno all’altro. Ma si comprende anche subito come tutto questo evento sia condizionato dalla sincerità, dalla veracità del proprio linguaggio.

La veracità è la condizione sine qua non, il presupposto implicito di ogni comunicazione umana. Ho visto amicizie essere completamente distrutte da una sola menzogna. È questa l’intima natura di ogni simbolo espressivo, della parola in primo luogo: la sua conformità allo spirito di chi la dice.

Ci sono tuttavia situazioni nelle quali ciò che è nel nostro spirito non deve essere comunicato ad altri: o quanto meno a chi ci sta chiedendo. In questo caso si è in diritto di deturpare l’intima bellezza del linguaggio, mentendo? La cosa non è cosi semplice. Fra il parlare dicendo il vero e il parlare dicendo il falso, esiste una via di mezzo: quella semplicemente di tacere. E così né si deturpa l’intima bellezza della parola né si viola empiamente l’intimo sacrario dello spirito. A Israele che desiderava sempre più ardentemente di vedere il volto di Dio non fu concesso di costruirne uno falso, poiché non era venuto ancora il tempo in cui Dio avrebbe mostrato il suo volto; fu chiesto solo di attendere, nella fede e nella speranza, la pienezza del tempo.

Vorrei, ancora prima di affrontare la riflessione sulla terza ragione, richiamare ancora un altro punto. Una delle scoperte penso più profonde fatta dalla antropologia filosofica contemporanea è che la sessualità umana, anche nella sua dimensione fisica, è un linguaggio della persona. È un linguaggio: essa ha in sé stessa la capacità espressiva, la forza di istituire quella comunicazione-comunione profonda di cui ho parlato prima. È veicolo di mutua immanenza, di reciproca dimora dell’uno nell’altro. Della persona; “ciò che” il linguaggio sessuale è capace di esprimere, il suo contenuto è la persona stessa, nella sua più intima soggettività. Tuttavia, questo linguaggio umano che è la sessualità ha due caratteristiche che lo rendono del tutto singolare fra le varie forme espressive della persona.

In primo luogo, esso appartiene ai cosiddetti “performative languages”: a quei linguaggi che hanno in sé una tale forza che non solo esprimono, ma realizzano ciò che esprimono. In secondo luogo, la natura particolare della sessualità umana (sulla quale non abbiamo ora il tempo di riflettere) fa sì che essa sia espressione, linguaggio della persona che si dona: non della persona che pensa, che soffre…: della persona che fa di sé stessa dono all’altra. In una parola: la sessualità esprime e realizza il dono di sé. E così, in questa scoperta dell’antropologia contemporanea trova una mirabile e suggestiva conferma quella dottrina cattolica secondo la quale l’atto sessuale coniugale è ciò che porta a compimento (“consummatio”) il sacramento del matrimonio.

Che altro è la sacramentalità del matrimonio, infatti, se non il simbolo reale del più grande atto d’amore che sia accaduto sopra questa “aiuola che ci fa tanto feroci”? L’atto d’amore di Cristo sulla Croce.

La riflessione etica ha allora visto in questa dimensione della sessualità umana (la sua capacità espressivo-realizzatrice) come il “principio architettonico” attorno al quale costruire l’edificio di una dottrina della sessualità.

Devo limitarmi a richiamare solo un punto di questa architettura: quello che è connesso col nostro problema. La fertilità, sulla cui bontà si fondava la seconda ragione, appare ora in una nuova luce. La paternità è il dono che la sposa fa allo sposo, nella sua auto-donazione; la maternità è il dono che lo sposo fa alla sposa , nella sua auto-donazione. E cosi, la sessualità in quanto capacità di porre le condizioni per il concepimento di una nuova persona e la sessualità in quanto capacità di dire-realizzare la reciproca donazione, non sono due modi contrapposti. Sono due dimensioni che convivono nella stessa sessualità umana e l’una riceve dal rapporto con l’altra nuovo valore.

Siamo così ora in possesso di tutti gli elementi per comprendere la terza ragione. Il ricorso alla contraccezione, che è l’alternativa ovvia alla regolazione naturale della fertilità umana, implica per sé stesso e in sé stesso una “riserva” nel dono che gli sposi compiono di sé stessi, divenendo una sola carne. Si intromette, obiettivamente, un linguaggio (quello contraccettivo) che contraddice il linguaggio espressivo dell’amore coniugale: si introduce una falsità nel linguaggio della sessualità.

L’esposizione della terza ragione può dirsi conclusa. In sintesi: la terza ragione dell’insegnamento della Chiesa è che solo la scelta di una regolazione naturale della fertilità può esprimere la verità intera dell’amore coniugale; al contrario, il ricorso alla contraccezione comporta obiettivamente una falsificazione dell’amore coniugale.

 

4. La quarta ragione dell’insegnamento della Chiesa è andata chiarendosi sopratutto in questo ultimo ventennio, anche come corollario delle due ragioni precedenti: solo la regolazione naturale della fertilità umana impedisce che si separi procreazione e sessualità umana. La quarta ragione, cioè, afferma che la capacità procreativa deve essere connessa colla sua capacità unitiva e che la capacità unitiva non deve mai sentirsi in diritto di distruggere la capacità procreativa, quando è presente.

Si noti bene subito che questa connessione non significa che la Chiesa “giustifica” l’esercizio della sessualità solo a causa della procreazione. Essa significa che sia un’attuazione contraccettiva della sessualità, sia una procreazione scissa artificialmente dall’esercizio della sessualità, sono contro l’uomo.

Non mi addentro ulteriormente nell’esposizione di questa tematica perché ci porterebbe a trattare di un tema, quello della procreazione artificiale, che non è l’oggetto del nostro seminario odierno.

Ciò su cui vorrei attirare la vostra attenzione, prima di terminare questo punto, è che la separazione della sessualità dalla procreazione, operata dalla mentalità contraccettiva, non poteva non condurre alla corrispettiva separazione della procreazione dalla sessualità. È questa separazione, ormai completa, operatasi dentro la nostra cultura, che distrugge e l’intimo valore della sessualità e l’intimo valore della procreazione umana.

 

5. Esiste una quinta e ultima ragione dell’insegnamento della Chiesa. Potremmo descriverla come la ragione “per contrarium” alle quattro ragioni precedenti. La quinta ed ultima ragione potrebbe, dunque, essere enunciata in questi termini: la verità delle quattro ragioni suddette trova una sua puntuale conferma, per contrario, là dove e quando si è voluto progettare un esercizio della sessualità, contrario a ciascuna delle medesime quattro ragioni già esposte.

- La nobilitazione della contraccezione come scelta di libertà ha prodotto una progressiva de-responsabilizzazione della persona nei confronti della propria sessualità.

- La nobilitazione della contraccezione ha aperto la strada alla legalizzazione dell’aborto, a una contraccezione abortiva e all’aborto contraccettivo.

- La nobilitazione della contraccezione (e la sua ampia diffusione) non ha affatto difeso ed approfondito il vincolo dell’amore coniugale (come si diceva), ma al contrario essa ha rotto non raramente questo vincolo.

- La separazione operatasi fra procreazione e sessualità ha avuto come effetto un progressivo permissivismo nell’ambito della sessualità, che è la distruzione pura e semplice di ogni forma di libertà.

In una parola: è la persona umana che sta distruggendo se stessa, poiché sta distruggendo la propria sessualità; sta deturpando la bellezza del suo essere persona, perché ha deturpato la propria sessualità.