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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Domenica XXVIII per Annum (C)
Cattedrale, 13 ottobre 2013


Cari fratelli e sorelle, poniamoci in un ascolto molto profondo della parola evangelica. Essa ci conduce al cuore della Rivelazione divina.

1. Iniziamo con il constatare alcuni fatti. Secondo la narrazione che i Vangeli fanno della vita di Gesù, Egli non si lamentava facilmente. Una cosa tuttavia lo addolorava particolarmente: l’ingratitudine.

L’apostolo Paolo nelle sue lettere non solo ci confida che la sua preghiera era spesso una preghiera di ringraziamento, ma raccomanda molto spesso ai suoi fedeli di ringraziare il Signore.

Noi chiamiamo l’espressione più alta della nostra fede, il rito che stiamo celebrando, "eucaristia", cioè ringraziamento.

Chiediamoci dunque: perché la gratitudine verso il Signore è un atteggiamento fondamentale della vita cristiana?

Partiamo da una costatazione molto semplice. Noi diciamo "grazie", esprimiamo cioè gratitudine, quando riceviamo un dono; quando ci fanno un piacere. Non diciamo "grazie" quando riceviamo ciò che abbiamo il diritto di ricevere.

Partendo da questa constatazione molto semplice, chiediamoci: il Signore ha degli obblighi verso di noi? ci deve qualcosa? No, cari fratelli e sorelle. L’apostolo Paolo si chiede: "chi gli ha dato qualcosa per primo, sì che abbia a riceverne il contraccambio?" [Rom 11, 35]. Noi iniziamo la nostra Professione di fede, dicendo "credo in Dio…creatore". Noi parliamo del dono della vita. Un salmo dice che nessuno ha così tanto denaro da comperare se stesso, divenendone proprietario al punto che potrebbe decidere di non morire mai. L’insegnamento nella sua semplicità è profondo.

Non solo l’inizio della nostra vita è dovuto ad un atto creativo di Dio, ma anche il suo perdurare è un dono di Dio. Faccio un esempio. Se accendo una luce in una stanza oscura, la stanza non è illuminata solo nel momento in cui accendo la luce, ma in qualsiasi momento.

Questa è la prima ragione per cui dobbiamo essere grati: Dio ci ha creati e ci conserva nella vita.

Ma c’è una ragione ancora più profonda, e più commovente. E’ la fede della Chiesa a rivelarcela, soprattutto attraverso la predicazione dell’apostolo Paolo. Egli ormai vecchio, scrivendo al suo discepolo Timoteo, e pensando alla sua vita, prima di persecutore e poi di apostolo, dice: "Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti ebbero creduto in lui per avere la vita eterna" [1 Tim 1, 15-16].

Ciò che è accaduto a Paolo, accade ad ogni credente in Gesù. Che cosa è accaduto? non è stato trattato dal Signore con giustizia, ma con misericordia. Non ha avuto ciò che si meritava, ma è stato perdonato. La giustizia di Dio nei nostri confronti non è una giustizia retributiva, ma una giustizia che perdona. Questo è il Vangelo; Gesù è venuto per rivelarci che questo è il vero volto di Paolo. Solamente in un caso Dio non ci perdona: quando non glielo chiediamo; quando abbiamo il coraggio di vantarci davanti a Lui; quando, di conseguenza, non siamo continuamente pieni di gratitudine perché siamo stati perdonati.

Se ora riprendiamo in mano la pagina evangelica, ne comprendiamo il profondo significato. Solo uno sui dieci lebbrosi ritorna a ringraziare perché è guarito. E Gesù è sensibile al segno di riconoscenza di quest’uomo. Gesù è sensibile, apprezza questo gesto e ne gioisce, perché vede che il Padre è glorificato. Vede che il samaritano ha capito che è Dio ad agire in Gesù.

2. Carissimi fedeli, fra poco imporrò le mani su un giovane, che diventerà diacono, in vista – se il Signore lo vorrà – del presbiterato.

Vorrei richiamare la vostra attenzione su due momenti della celebrazione del sacramento del diaconato.

Il primo è costituito da una promessa che don Marco farà davanti a Cristo e a voi, che siete il suo popolo santo. E’ la promessa di appartenere esclusivamente, integralmente, e per sempre a Cristo: la promessa del celibato.

Cari fratelli e sorelle, la promessa è una delle espressioni più alte della singolare dignità della persona umana. Gli animali non fanno promesse: solo le persone sono capaci di impegnarsi in promesse. E per sempre: che grande parola è questa! Caro don Marco, in quel "sì, lo prometto" che fra poco dirai, prendi nelle mani la tua persona – la libertà è possesso di sé stessi – e donala per sempre a Cristo. E da quel momento, la gelosia che Cristo sentirà per te non permetterà più che tu anteponga qualcosa a Lui.

Cari fratelli e sorelle, l’altro rito consiste nella consegna del Vangelo. Non è un fatto esterno: ti è dato perché tu lo accolga sempre più profondamente nel tuo cuore; lo proclami ai tuoi fratelli; lo viva nell’esercizio della carità.

 

Mi piace concludere con l’esortazione di S. Paolo: "ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è resuscitato dai morti". Il contenuto della memoria della Chiesa, ciò che essa ricorda sempre è la risurrezione di Gesù.

Sia così anche per voi, cari fedeli, soprattutto nei momenti più difficili, poiché "se con Lui perseveriamo, con Lui anche regneremo". Sia così anche per te, caro don Marco: predica Gesù risorto, fondamento incrollabile della nostra speranza.