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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Domenica Prima di Avvento [B]
Budrio, 30 novembre 2014


Cari fratelli e sorelle, ringrazio Dio, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, di vivere con voi questa Eucarestia di gioia. La vostra stupenda chiesa parrocchiale vi è restituita pienamente, in tutto il suo splendore.

Ma oggi la Chiesa inizia anche un nuovo Anno liturgico. L’Anno liturgico è il vero tempo del credente. Nello scorrere dei giorni, delle settimane, dei mesi viene ricordato tutto il Mistero di Cristo, dall’Incarnazione alla Pentecoste. In questo modo, l’Atto redentivo di Cristo, domenica dopo domenica, produce sempre più profondamente in noi i suoi effetti e trasforma la nostra persona. Mettiamoci dunque in ascolto della Parola di Dio.

1. Il profeta, nella prima lettura, descrive la condizione di una società umana che ha abbandonato il Signore, e quindi è privata della sua presenza: lasciata a se stessa. Ecco quale è la condizione: «tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento…ci hai messo in balia della nostra iniquità».

Due caratteristiche dunque ha la società senza Dio: una società che sta morendo, come vediamo in questi giorni accadere alle foglie degli alberi; non avere più alcun punto di orientamento certo, ma ciascuno si lascia trasportare dal proprio interesse. Un destino di morte; una coesistenza di egoismi opposti.

In una situazione di questo genere che cosa fa il profeta, che cosa dobbiamo fare noi? Pregare che il Signore ci ridoni la sua Presenza. «Tu, Signore, tu sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore…Ritorna per amore dei tuoi servi…se tu squarciassi i cieli e scendessi».

Cari fratelli e sorelle, è questo il nostro male peggiore: la dimenticanza di Dio, e quindi il ritenere che possiamo vivere una buona vita anche senza di Lui. Il tempo dell’Avvento che oggi iniziamo, ci liberi da questa grave malattia mortale, e  ci faccia rivivere l’esperienza dell’attesa di una Presenza, senza la quale «siamo avvizziti come foglie». Un’esperienza di attesa che diventa preghiera: «Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani».

2. L’apostolo Paolo ci dona grande consolazione nella seconda lettura. Egli ci assicura che la nostra attesa non è vana; che la nostra preghiera non è un grido lanciato nel vuoto. Ascoltate: «fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del suo Figlio Gesù Cristo Signore nostro».

Cari fratelli e sorelle, qual è la certezza che Dio non si dimentica di noi? La sua fedeltà. Egli non si pente mai dei doni che ci ha fatto; non li ritira mai. Siamo noi che possiamo “pentirci” di avere scelto il Signore, e “vagare lontano dalle sue vie”.

Quale dono ci ha fatto? Di chiamarci alla vita con Gesù; di essere suoi discepoli; a rinnovarci, a far fiorire la nostra umanità in Lui. Il sigillo indelebile di questa chiamata è stato il santo battesimo.

Dunque, fratelli e sorelle, mentre aspettiamo quell’incontro definitivo col Signore Gesù, viviamo nella speranza e non vaghiamo lontano dalle sue vie; invochiamo il suo Nome e ciascuno “si riscuota per stringersi a Lui”. Così sia.