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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Pasqua di Risurrezione
Cattedrale di S. Pietro
27 marzo 2005


1. "Ma l’angelo disse alle donne: non abbiate paura, voi. So che cercate Gesù il Crocefisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto". Carissimi fratelli e sorelle, il fatto indicato da queste semplici parole sta all’inizio di tutto il cristianesimo poiché esso costituisce il contenuto centrale della fede cristiana.

Essa infatti è primariamente la pura e semplice certezza di un fatto accaduto: Gesù il Crocefisso "non è qui", cioè non è finito nella corruzione del sepolcro, poiché "è risorto". Ed a sottolineare che si tratta di una risurrezione vera e propria, in senso fisico e non meramente spirituale o metaforico, Pietro ci ha appena detto: "abbiamo mangiato e bevuto con Lui dopo la sua risurrezione dai morti".

Il contenuto della nostra fede non esige dall’uomo che vi si accosta per la prima volta, di possedere una preparazione culturale ed una geniale intelligenza, non trattandosi di una difficile dottrina filosofica o religiosa da apprendere. Né esige una elevata vita morale, non trattandosi di una proposta etica rigorosa. È la pura e semplice accoglienza di una testimonianza che attesta un fatto accaduto: "e noi siamo testimoni" dice ancora Pietro.

Perché allora, fin dalle prime testimonianza, quella di Pietro e dei discepoli, l’uomo ha cercato di vanificare questo annuncio? Perché ha cercato di ritenerlo una farneticazione di fanatici o una menzogna di ciarlatani? Perché il governatore romano Festo disse a Paolo che gli testimoniava il fatto della risurrezione: "Sei pazzo, Paolo: la troppa scienza ti ha dato al cervello" [At 26,24]?

Perché abita nel cuore di ogni uomo la possibilità, la tentazione della "disperazione per debolezza". Che cosa è la disperazione, carissimi fratelli e sorelle? È che non c’è domani che non sia già prevedibile oggi; che non sia già nella serie indefinita dei giorni della vita. Questa disperazione ha una sorella siamese se così posso dire: la noia. E non per caso si dice: "annoiarsi a morte", poiché l’impossibilità dell’imprevisto è già la morte. Vita mortale si dice quando si parla della nostra vita, senza rendersi conto quale contraddizione in termini è racchiusa in questa definizione della nostra vita. Vita mortale è come dire circolo quadrato.

Questa disperazione non è segno né di malizia né di ostinazione [anche se prima o poi prende queste figure], ma di una profonda debolezza: non ci sono ragioni serie per ritenere che il domani non sia già prevedibile oggi; per non ritenere stoltezza il pensare ad una vita umana non mortale: ad una vita vitale. "Un imprevisto/è la sola speranza. Ma mi dicono/ ch’è stoltezza dirselo", ha scritto un grande poeta del secolo scorso.

Ebbene, la fede cristiana si presenta all’uomo precisamente come ragione incontrovertibile di speranza, in quanto notifica un fatto che ha rotto la serie prevedibile delle giornate, ha spezzato l’eterno e sempre uguale susseguirsi di morte e vita, ha trasformato la vita umana da vita mortale in vita vitale. Ragione incontrovertibile perché non consiste in un’argomentazione alla quale si può contrapporre una contro-argomentazione. Essa consiste in un fatto nei confronti del quale l’uomo può solo decidersi se ritenerlo accaduto, accordando fiducia a chi lo testimonia, oppure non accaduto, ritenendo le testimonianza non degne di fede.

L’apostolo Paolo ci dice tutto questa con mirabile semplicità: "togliete via il lievito vecchio, per essere nuova pasta, poiché siete azzimi. Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato".

2. "Cristo, nostra Pasqua": vorrei che faceste molta attenzione a queste parole dell’apostolo. Nostra Pasqua è Cristo: ciò che è accaduto a Cristo, è nostro e ci appartiene.

Che cosa è accaduto a Cristo? In Lui la nostra natura umana, tutto ciò che ci costituisce uomini, è stato radicalmente trasformato poiché Egli Gesù, morto e sepolto, è risorto: colla sua intera umanità è entrato in possesso della stesa vita incorruttibile ed eterna che è propria di Dio stesso.

Ma Egli è la nostra Pasqua. Quanto è accaduto in Lui è destinato ad accadere in ogni uomo. L’apostolo ci ha detto or ora questa certezza in maniera suggestiva. La pasta di cui siamo fatti non è più quella vecchia: siamo impastati di corruzione, di peccato, di noia e di egoismo e quindi non possiamo alla fine andare oltre all’attesa di un sepolcro. Ma se la Pasqua di Cristo diventa la nostra pasqua, diventiamo "pasta nuova", che non può conoscere come suo destino ultimo la corruzione del sepolcro. Il limite, anche quello estremo che è la morte, è stato vinto da Cristo che ci dona di partecipare a questa vittoria.

Ad ogni uomo perciò, di qualunque popolo, razza, e nazione, la Chiesa oggi dice che ha ragione di sperare, poiché non esiste nulla di più sicuro al mondo di questo fatto: Egli è risorto, come aveva detto.

Ha ragione di sperare perché quando la Pasqua di Cristo diventa la nostra Pasqua, siamo rinnovati alla radice stessa del nostro essere; nella nostra libertà.

E così questa speranza, la speranza che fiorisce dal sepolcro del Risorto, diventa nell’uomo che crede in Cristo fattore di creatività. Nasce un nuovo modo di sposarsi e di vivere l’amore fra l’uomo e la donna; l’uomo diventa consapevole della dignità del suo lavoro; nuove e più consistenti relazioni con gli altri diventano possibili; nella coscienza del singolo fiorisce il riconoscimento di un bene comune che ci appartiene come popolo. La vittoria di Cristo risorto sulla morte è il popolo cristiano. La fede nel Risorto genera un uomo nuovo e quindi un vera cultura e vere comunità umane.

Poiché Cristo "morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita": se uno è in Cristo risorto, è una nuova creatura.